di Romina Angelici
Flower-ed, novembre 2019
Prefazione di Francesco Marroni
pp. 224
€ 16 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
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George Eliot è stata croce e delizia per molti di noi anglisti. Tra i giganti dell’epoca vittoriana, del suo Middlemarch Virginia Woolf ha detto essere «uno dei pochi romanzi inglesi scritti per persone adulte», si inserisce in una tradizione ricchissima e allo stesso tempo ne prende le distanze, ne rimaneggia il sentire, sposta il punto d’osservazione; la sua immensa erudizione, le posizioni intellettuali, la ricerca puntuale dietro ogni testo e parola rendono la lettura dei suoi romanzi un piacere che si avvicina più allo studio che al diletto, talvolta allontanando un po’ il lettore intimidito, se non dalla mole, dalla stratificazione dei contenuti che gli si aprono davanti. Poi, c’è il dato biografico ad aggiungere sfumature alla storia letteraria e umana. Intanto George Eliot è lo pseudonimo maschile scelto da Marian Evans in un’epoca in cui era prassi comune per le scrittrici celare la propria identità dietro nomi maschili, così da poter essere giudicate tra pari, prive di pregiudizi e protette da una maggior libertà di espressione; nel caso di Eliot, queste ragioni si intrecciano al desiderio di prendere le distanze da un certo tipo di letteratura femminile tanto lontana dalla propria sensibilità di scrittrice e intellettuale e, soprattutto, mantenere il più possibile il riserbo sulla situazione personale, alquanto delicata, ossia il legame sentimentale durato quasi tutta la vita con G. H. Lewes, già sposato, con cui vivrà senza mai poterne diventare legittimamente la moglie, ma convivendovi come tale, fino alla morte di lui. La scrittrice osannata dalla critica, amata dal pubblico, perfino dalla regina Vittoria e dalla figlia Luisa, pagò comunque tutta la vita l’ipocrisia della società vittoriana. Quella società, appunto, le cui contraddizioni e il conformismo ha saputo rielaborare nei propri romanzi, in un erudito intreccio di realismo, indagine psicologica, pensiero positivista e visione soggettiva.
I romanzi di Eliot forse non sono di facile accesso, ma lo sforzo richiesto per addentrarsi in quel mondo intriso di tragicità e lotta, viene ripagato dalla consapevolezza di trovarsi di fronte a una sensibilità unica, una forza d’intelletto costretto dentro la gabbia delle convenzioni:
Voi non potete immaginare la sofferenza di sentirsi la forza d’ingegno di un uomo ed essere una fanciulla (Gateano Negri, George Eliot e la sua vita nei suoi romanzi, cit. p. 24)
Ciò detto, è innegabile che l’approccio ai romanzi di Eliot non può essere fatto a cuor leggero, ci si addentra in un mondo che non lascia consolazione alcuna, tanto per impegno richiesto al lettore quanto per la vena pessimistica che quasi sempre li attraversa. Siamo lontanissimi dalla lettura di Dickens, Austen, Brontë, Gaskell, Gissing, solo per citarne alcuni. Eppure, una volta entrati nel mondo di Eliot se ne resta totalmente affascinati per la profondità delle riflessioni e gli innumerevoli spunti cui ci costringe.
Il mondo accademico si interessa in maniera compiuta alla produzione letteraria di Eliot soprattutto da metà Novecento e oggi l’autrice è universalmente riconosciuta come una delle voci più importanti dell’età vittoriana e, più in generale, della letteratura inglese moderna. Non mancano, di conseguenza, saggi e testi critici, a partire dalle primissime pubblicazioni circa l’opera e la vicenda biografica a cura di contemporanei di Eliot, per proseguire con numerosi studi e considerazioni da parte di critici, intellettuali, colleghi scrittori. Il saggio biografico di Romina Angelici “Vorrei che dal cielo piovessero rose”, pubblicato alla fine dello scorso anno da Flower edizioni, si colloca quindi in un filone prolifero, in cui non mancano importanti contributi anche in lingua italiana, tra i quali non possiamo non citare gli studi del prof. Francesco Marroni, verso i quali la stessa autrice del saggio in questione non nasconde il profondo debito e che firma la prefazione al testo.
In un panorama tanto ricco e strutturato, un saggio come questo di Angelici rischia di perdersi, nonostante un’evidente conoscenza della materia e l’accuratezza della ricerca letteraria e biografica su cui si poggia. Per non cadere in errore, probabilmente, la cosa più opportuna da fare è quella di non fraintendere lo scopo di questo saggio che non mira certamente a colmare vuoti nell’analisi critico bibliografica degli studi su Eliot o aprirsi a nuovi spunti e analisi; l’intendo di Angelici, o, almeno, quello che personalmente vi ho riscontrato, è fornire al lettore non esperto strumenti utili per avvicinarsi ai testi dell’autrice inglese, delinearne il profilo biografico e ripercorrere le opere con puntuali riferimenti a studi critici e riflessioni ad opera di contemporanei di Eliot fino a testi più recenti.
Ne deriva un saggio godibile, che pone la stessa attenzione su ogni opera di Eliot, dalle prime novelle fino ai conclamati capolavori, ne ricostruisce sommariamente la vicenda biografica nei tratti più salienti e funzionali all’indagine critica, per riassumerne quindi il percorso intellettuale e gli elementi che ne caratterizzano la produzione narrativa. Vi sono qui e là spunti di riflessione e analisi personale che si rivelano interessanti, ma che si inseriscono in uno sguardo d’insieme sull’opera, delineando in maniera lineare il profilo critico, biografico, fino alla ricezione delle opere di Eliot da parte dei suoi contemporanei. È un buon saggio per approcciarsi a una scrittrice che, come si diceva, molto spesso paga lo scotto di essere considerata troppo erudita, di difficile accesso; questo è vero, i romanzi di Eliot non possono essere letti distrattamente, ci richiedono uno sforzo, che tuttavia verrà ampiamente ripagato.
Ecco, se le intenzioni di Angelici sono state ben intese, questo saggio-biografia può essere sicuramente apprezzato, soprattutto dai lettori che vogliano avvicinarsi compiutamente ai romanzi di George Eliot, straordinaria interprete di quel conflitto tra istinti individuali e società, fra tradizione e progresso, apertura e ipocrisia, che hanno caratterizzato l’epoca vittoriana.
Una donna, ancora una volta, che ha provato a non farsi costringere entro ruoli e regole imposte.
Di Debora Lambruschini
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