Biloxi
di Mary Miller
Edizioni Black Coffee, maggio 2020
Traduzione di Leonardo Taiuti
pp. 304
€ 15 (cartaceo)
€ 5,99 (ebook)
€ 5,99 (ebook)
C’è una storia semplice che ho letto in questi giorni e che, come le cose migliori, semplice lo è solo in apparenza, per quell’immediatezza che cela appena sotto la superficie sentimenti e spunti più complessi di quanto riveli in apparenza. Ed è anche una di quelle storie che ricorderò dei giorni strani che stiamo vivendo, quando le parole e il tempo hanno avuto una sostanza diversa da prima.
Biloxi, di Mary Miller, scrittrice americana originaria di Jackson, Mississippi, è un romanzo che commuove e fa sorridere allo stesso tempo, racconta la solitudine e le distanze, le parole che mancano o non sono mai quelle giuste, le incomprensioni all’interno di una famiglia, la depressione. Questa è la parte buia, commovente. Ma ce n’è un’altra, intrinsecamente legata alla prima, che è scoperta, affetto, speranza e umanità. E questa è la parte della storia in cui Louis, il protagonista e narratore, incontra Layla, una cagnolina meticcia un po’ sovrappeso. Non un prima e un dopo, non in senso tradizionale almeno, ma un po’ dell’una e dell’altra parte che si mescolano e confondono, tra cadute e nuove aspettative.
Mary Miller è bravissima nel raccontare piccoli angoli di mondo – in questo caso Biloxi, appunto, cittadina lungo la costa del Golfo del Mississippi – e vite ordinarie in storie dolceamare, dettagli minimi e all’apparenza insignificanti che all’improvviso si caricano di senso e parlano anche di noi, dei nostri sentimenti, a migliaia di chilometri di distanza dalla vita di uomini e donne di una qualunque contea del Sud degli Stati Uniti. Le sue storie, malinconiche e allo stesso tempo divertenti, a tratti bizzarre, umanissime, hanno il tocco lieve di una narratrice sensibile ai gesti misurati, alle rivelazioni minime che si caricano di significato, avvicinano il lettore anche quando in apparenza nulla lo accomuna con il protagonista, con i luoghi. Perché in fondo, in Biloxi almeno, tolta l’ambientazione, le stravaganze di Louis e dei personaggi con cui entra in contatto, quello che riconosciamo perfettamente è ancora una volta la riflessione su famiglia e affetti, uno dei temi più fecondi della letteratura mondiale che si declina in innumerevoli spunti. Se è vero che tutte le famiglie felici si assomigliano, lo è anche il fatto che raccontarne la crisi, le distanze e le incomprensioni è materia letteraria tra le più fertili.
Il matrimonio di Louis è andato in pezzi dopo quasi una vita intera e quello che resta è il vuoto: di una casa silenziosa, sporadici contatti con il mondo esterno e le persone, un rapporto inconsistente con la figlia adulta, l’attesa di qualcosa che cambi. Non è neppure più il tempo della rabbia o delle domande su cosa sia andato storto, se sia possibile in qualche modo rimediare. Ma come si può, dopotutto, rimediare a una vita intera?
Mi aveva lasciato, ma era lei a essere arrabbiata. Presumo di essere stato arrabbiato anch’io per un po’: all’inizio avevo provato sconcerto, poi rabbia, dopo di che avevo saltato a piè pari le altre fasi, qualsiasi esse fossero, e c’era stato solo il nulla, o il quasi nulla, se si considera l’occasionale fitta tipo pugnalata quando mi tornava in mente qualcosa di carino, seguita da un’ondata di nausea prima del ritorno dell’ottundimento, che era quasi piacevole a dirla tutta, o almeno non era spiacevole. (p. 40)
Le giornate scivolano e si accumulano una sull’altra, come le lattine di birra consumate in poltrona. In attesa, si diceva, di un cambiamento, qualcosa a dare il senso. L’eredità paterna, grazie alla quale fare progetti e lasciarsi tutto alle spalle, ricominciare?
È l’incontro con Layla, paffuta meticcia, a segnare una svolta, esattamente come quella, casuale, che compie Louis per non incontrare la ex moglie e si ritrova di fronte al cartello “cani gratis”.
Non ero mai stato tutto il mondo di qualcuno. Avevo avuto accanto delle persone, prima una famiglia e poi un’altra, ma c’erano stati talmente tanti problemi tra i singoli membri che non eravamo mai sembrati un gruppo, solo un insieme di individui che tentavano di non pensare ai propri grattacapi sottolineando i difetti e le colpe degli altri. E andava benone finché non se la rifacevano su di me. (p. 32)
Prendersi cura di Layla, dare un ritmo nuovo alle giornate, è un cambiamento graduale che apre Louis a possibilità inaspettate. Ma quella raccontata da Mary Miller non è una favoletta un po’ banale sull’amore per la vita scoperto grazie all’affetto di un cane, su seconde possibilità e rinascita, è una storia di esseri umani imperfetti, fragili, che fanno sbagli cui non sempre è possibile rimediare, che ci provano, arrancano, tornano indietro, si buttano. Di mariti che molto probabilmente non troveranno perdono, di padri che proveranno a colmare le distanze – si, anche grazie a un cane – e non è detto che non sia troppo tardi, di avventure sentimentali tragicomiche, di solitudini che si incontrano.
[…] mia figlia. Appena era diventata grande aveva smesso di piacermi senza aver fatto nulla per infastidirmi. Un giorno non aveva più avuto bisogno di me, e non avevamo avuto più niente da dirci. (p. 49)
Del desiderio di cambiare che era sepolto da qualche parte e che ha trovato uno stimolo per fare i conti con le proprie mancanze, dando un nome a quell’apatia e profondo disagio. Di uomini e donne un po’ inadeguati, non per cattiveria ma per umanissime mancanze, sullo sfondo di un mondo che invece sa essere crudele: è la Biloxi in cui ancora riconoscibile il segno della devastazione portata dall’uragano Katrina, il clima teso di odio e aggressività a pochi giorni dalle presidenziali del 2016, il divario sempre più grande fra ricchi e poveri, bianchi e minoranze, ma anche da piccoli atti di meschinità quotidiana – un uomo che da via senza alcun diritto un cane, una ladruncola apatica e approfittatrice – i rapporti superficiali, le piccole meschinità di ogni giorno.
«Mi sa che è stato questo cane a ispirarmi a fare qualche cambiamento». «In effetti sembri, non lo so…» disse «più contento». Lo disse come se fosse tutt’altro che positivo, ma del resto alle persone non piaceva mai quando cambiavi, in meglio o in peggio che fosse. La prendevano sul personale. Tutti volevano sapere esattamente cosa aspettarsi dagli altri, e se li sorprendevi in qualche modo andava a finire che mettevano in discussione loro stessi. (p. 83)
È l’umanissima imperfezione dei rapporti a rendere così interessante il romanzo di Mary Miller, a renderlo “reale”, riconoscibile come quello spaccato di mondo entro i cui confini si muovono i personaggi. Vite come tante, tra piccoli fallimenti e felicità semplici, raccontate con l’immediatezza della prima persona, la lingua scarna, pulita, di un uomo comune, cresciuto dentro precisi confini geografici e culturali, l'essenzialità della parola derivata dalla forma breve.
È su questi elementi che sembra concentrarsi l’interesse narrativo di Miller, un quotidiano semplice, il normale scorrere dei giorni, fra piccole gioie e sconfitte; non servono alla trama grandi traumi o stravolgimenti, la sensibilità del narratore è tutta concentrata su questi dettagli minimi, appunto, ed è la stessa sensibilità richiesta al lettore che in quell’incedere regolare trova la vita riconoscibile nella pagina.
Credo Biloxi si possa leggere in molti modi: come la storia di un uomo e il potere salvifico dell’incontro con un cane, come amara riflessione sulla fine dell’amore e l’incapacità di comprendere davvero l’altro (sia un coniuge che un figlio, le persone che ci stanno accanto), come un canto di illusioni infrante. Tutte queste cose sono vere, ma in parte e connesse fra loro. Biloxi è, soprattutto, una storia di speranza e umanità: di rapporti ed esseri umani imperfetti, del desiderio di un cambiamento che cerca solo una scusa per essere messo in moto. Di solitudini e rinascita, due elementi che forse oggi, alla luce di quanto stiamo vivendo, possiamo capire in modo nuovo. E no, il lockdown non ci renderà necessariamente migliori, così come un cane da solo non potrà salvarci da noi stessi e dall’abisso in cui siamo sprofondati. Ma forse ci daranno il senso di questi giorni, nuovi rituali a scandire le giornate e una capacità di ascoltarci davvero, finalmente, e trovarlo lì, dentro di noi, il desiderio di un cambiamento.
Di Debora Lambruschini