di Silvio Valpreda
add editore, 2020
pp. 144
€ 14,00 (cartaceo)
All’inizio mi sembrava che i luoghi si potessero classificare in base all’impatto che l’azione dell’uomo aveva avuto su di loro.
Questo non voleva dire esprimere un giudizio morale. La natura priva di contaminazione umana non era migliore o più pura, era solo qualcosa di diverso da un luogo fortemente antropizzato. (p. 16)
Come si legge nella bandella di
sinistra, «Capitalocene è un termine coniato nel 2016 dal sociologo inglese
Jason W. Moore per descrivere un’epoca in cui i parametri più rilevanti che
regolano il pianeta Terra non sono più biologici, ma economici».
La scelta di Valpreda di optare per
un libro illustrato per mostrare degli appunti sulla nuova era – così recita il
sottotitolo in copertina – che noi tutti stiamo vivendo si rivela più che
vincente: accompagnate a una narrazione leggera che si potrebbe definire
aneddotica, le immagini oltrepassano l’elemento saggistico-descrittivo per arrivare
a toccare le corde emotive del lettore. Sfogliando le pagine di Capitalocene, infatti, non stiamo
parlando di qualcosa, bensì piuttosto la stiamo vivendo; siamo immersi nel
qualcosa che, a sua volta, percepiamo ogni giorno intorno a noi.
Valpreda sceglie sei esempi – le distese
del Serengeti, le pianure abbandonate delle Highland scozzesi, la pacifica
Norvegia, gli agglomerati ultra urbanizzati del Giappone, la disabitata isola
di Lavezzi al largo della Corsica – che, coprendo uno spettro ampio di
urbanizzazione, di fatto esemplificano ogni ambiente terrestre: dai
luoghi più disabitati fino alle città metropolitane più antropizzate, l’autore
ci mostra l’impatto che l’uomo e il capitale hanno avuto e stanno avendo sul
mondo. Non solo, però: ci mostra anche – o forse soprattutto – l’impatto che il
capitale ha avuto e sta avendo sull’uomo. Perché, se è vero che le Highland scozzesi sono
state trasformate da quegli esseri umani che per
secoli le hanno abitate, è anche vero che molti di loro sono stati poi cacciati da quelle terre affinché alcuni altri (pochi) umani potessero renderle terreno di caccia dei cervi e di pascolo
per le pecore; lo stesso dicasi per quanto avvenuto nel quartiere di
Tsukishima, a Tokyo, nel quale l’industrializzazione forzata del Novecento ha
portato a uno stravolgimento epocale delle abitudini di vita dei giapponesi,
fino a rendere «un ambiente creato dall’uomo [… non] ospitale per l’uomo: né
per il ricco, né per il povero» (p. 100).
Dopo aver sorvolato questi sei
luoghi, Valpreda pone una domanda scomoda; forse la domanda che oggi, nell’epoca
del capitalismo avanzato e della globalizzazione, risulta la più posta in ogni
angolo del mondo: quanto costa? La teoria di fondo del libro, infatti, è che ogni
essere vivente – esattamente come le cose – oggi esista «perché ha un valore
economico» (p. 120). Con una sola domanda e delle considerazioni finali, l’autore
ci obbliga a porci dei quesiti fondamentali sullo stato delle cose; a chiederci come siamo arrivati a considerare qualcosa da sempre ritenuto sacro, come la vita, quantificabile e numerabile. È ancora il capitalismo uno strumento dell'uomo, o è forse vero il contrario? A leggere Valpreda, pare che stiamo assistendo a un processo di ipostatizzazione: vale a dire che stiamo rendendo autonomo e autosussistente (quasi reale, dunque) qualcosa che è sempre e solo stato un concetto. Il capitale rischia di assumere uno statuto ontologico, arrivando ad avere la stessa rilevanza degli esseri umani stessi. Da qui alla sua completa sottomissione il passo è breve. Staremo a vedere, quindi.
In conclusione, bisogna dire che Capitalocene non è un testo completo: è troppo scarno, infatti, per
poter indagare a fondo un argomento che richiedere pagine e pagine di approfondimenti,
esempi e teorie specialistiche. C’è anche da dire che, sin dalla copertina, è
palese che sviscerare il tema non sia nelle mire del libro. Si parla, di appunti, senza contare i soli sei esempi scelti.
A chi è rivolto dunque un testo del
genere? Non a chi ha già nozioni sull’argomento ed è in cerca di completezza d'informazioni; piuttosto, il lettore ideale è colui che percepisce nell’aria un
sentore di bruciato e ha bisogno di un forte impatto emotivo per decidere di
voler effettuare una prima sorvolata sul tema. A questo lettore
ideale il libro di Valpreda non può non lasciare sensazioni forti.
David Valentini