Durante questa quarantena, spesso, si è detto dell'importanza della lettura, perché capace di trasportarci dalla nostra realtà a quella del romanzo (o del saggio, del dramma, del poema) che stiamo leggendo. Si è evidenziato qualcosa che alcuni già sapevano: il potere di evasione e di occupare la mente che ha il libro, a tal punto da farci dimenticare, durante la lettura, della drammatica situazione in cui stiamo vivendo. E di lasciarci, dopo, una piacevole sensazione per qualche tempo: creando aspettative e attese (che meravigliosa cosa il tempo dell'attesa come anticamera dell'esperienza) su quanto ancora dobbiamo leggere.
Tra i libri che mi hanno aiutato ad evadere, e arricchito in un modo che il prezzo di vendita del libro non rispecchia, vi è Microcosmi, di Claudio Magris. Un testo che già dal titolo contiene una eco suggestiva: siamo tutti chiusi nel nostro microcosmo in queste settimane e, in un gioco di specchi del tutto involontario, visto che il libro ha più di vent'anni, d'improvviso Magris ci proietta in altri mille microcosmi, quasi tutti angoli luminosi di quella striscia di terra che è frontiera da sempre: Trieste, il Friuli, l'Istria. Vi sono divagazioni, come il capitolo dedicato alla collina di Torino, nel quale l'autore ci dà, forse, la definizione più esatta di Piemonte:
Tutto il Piemonte è una frontiera lungo le Alpi che diventa a poco a poco Stato, una terra di nessuno che diviene forza centripeta e accentratrice. [...] Piemonte misterioso e squadrato, misterioso perché squadrato, asciutto ed essenziale come il grande stile dell'epica che stringe l'esistenza in unità e le dà senso.
Dal nostro microcosmo, quindi, viaggiamo verso altri microcosmi in cui incontriamo e conosciamo personaggi del presente e del passato che sono un tutt'uno con l'ambiente che li circonda. Non si tratta di dramatis personae che si muovono su di uno sfondo, ma di una soluzione unica in cui personaggio e ambiente si fondono. Il narratore, dal canto suo, sembra portarci per mano, spiegando con rassicurante fermezza i dettagli del microcosmo che stiamo visitando, senza mai dare una visione d'insieme, che il lettore recupera alla fine di ogni capitolo rimettendo insieme i pezzi sparsi.
Tuttavia, Microcosmi ha anche molto da dire e da insegnare a chi scrive. Non solo la lettura è esperienza evasiva, arricchente, ma lo è anche la scrittura nella misura in cui rifugge l'ego e la vanità dell'artista per mettere al centro l'altro. Magris non fa altro che accogliere in un esercizio di immedesimazione che è un viaggio nel viaggio: perché non è la sua esperienza itinerante a contare, ma quella statica dei microcosmi che visita. La scrittura e la lettura si compenetrano; lettore e narratore diventano un tutt'uno con l'autore e insieme guardano i luoghi e le persone che visitano: lasciandoli parlare, esprimere, manifestarsi. Di ogni tappa di questo viaggio ci portiamo dietro qualcosa: l'accoglienza dello scrittore avviene nella misura in cui lascia ad ogni dettaglio impadronirsi di un pezzetto della sua narrazione, della sua prosa che si fa cangiante. Aspera e dura in Istria, territorio conteso, lacerato, dove la frontiera prende la forma della sua insensatezza, dei luoghi "simbolo del secolare tributo di violenza che spesso esige un confine", dove "i nomi rimbalzano da una grafia e da una riva all'altra" dell'Adriatico. Oppure, ecco che la prosa si fa cortese e misurata, ordinata, sabauda se vogliamo, quando attraversa i paesi della collina torinese. O anche asburgica, di palazzi di stucchi e piazze regolari, quando siamo a Trieste.
La scrittura stessa quindi diviene esercizio del viaggio, con l'umiltà di chi sa che "scrivere significa sapere di non essere nella Terra Promessa e di non potervi arrivare mai, ma continuare tenacemente il cammino nella sua direzione, attraverso il deserto". E a noi lettori non resta che farci guidare nella traversata.
Alessio Piras