Questo amore
di Roberto Cotroneo
Mondadori, 2008
pp. 140
€ 9,00 (al momento fuori catalogo)
Anna non sa cos’è l’amore. L’ha intuito, forse, nel bagliore di un raggio di sole, in una strada polverosa della sua infanzia, ma senza mai esserne certa. Anna l’amore lo impara con Edo, Edo con i suoi sogni e i suoi completi chiari, Edo forte e saldo, Edo che porta girasoli in una giornata d’inverno (lampo di luce, come i limoni di Montale). Con Edo, Anna si costruisce presente e futuro.
Com’era l’amore prima? Non c’era. C’era un sentiero proprio dietro casa. Un tratturo che d’estate diventava un nastro bianco. Un pomeriggio era passato da lì un ragazzo bruno. E io l’avevo guardato dalla finestra. Avrò avuto otto anni. Pensai che doveva essere quello l’amore. E che era durato il tempo di un orizzonte della finestra. Non capivo cosa ci fosse di eterno in un sentimento del genere […]. Ma forse l’eterno sta nella capacità di tenere vivo un attimo di orizzonte, aspettando che si ripresenti. Quando aprii la porta a Edo ho rivisto nella mia memoria quella finestra. Se qualcuno mi avesse detto che Edo era quel ragazzo io ci avrei creduto.
Si sono trovati per caso: lei, insegnante di lettere, gli ha dato ripetizioni per consentirgli di prendere il diploma da privatista in un liceo classico. Lui sogna di aprire una libreria che sia anche nido, luogo di incontro e di scambio, di esperienza e di crescita per chi vi mette piede. Grande appassionato della poesia contemporanea, Edo dispensa a tutti un consiglio o una parola, pur rifiutandosi categoricamente di servire chi secondo lui non merita i suoi libri.
Poi, un giorno, all’improvviso, qualcosa si rompe nella sua coscienza: una mattina, alzandosi, Edo non riconosce più la casa, le bambine, Anna. Si guarda intorno sperduto, mantenendo solo la memoria automatica dei gesti, anche quelli più complessi, come annodare la cravatta (“mi ero alzata dentro un silenzio che non sapevo leggere e andai a cercare un uomo che si era perso nella sua casa: perché si era perso nella sua mente”). Il romanzo si fa dunque cronaca di un’assenza, che è dapprima mentale, poi anche fisica, quando l’uomo scompare, senza lasciare traccia.
Per Anna si apre quindi un baratro, un vuoto d’aria e di senso, che non diventa mai però disperazione: nonostante gli amici, o le figlie che crescono, cerchino di richiamarla alla sua vita, la invitino ad andare avanti, la donna rimane sorretta dalla certezza che Edo ci sia ancora, da qualche parte, e che prima o dopo ritornerà. Mossa da questa fede cieca, dapprima lo cerca, nei luoghi da lui amati o seguendo gli indizi delle sue passioni letterarie, dopodiché si prepara ad accoglierlo. L’esistenza si fa dunque sospensione trepida, attesa inesausta dell’amato.
Con il tempo, ho capito quanto il non esserci possa diventare una forma della presenza spesso più intensa della presenza stessa.
Da anni non ho domande da fare. A parte una, che non posso rivolgere a nessuno: Edo, ora, dove sei?
Anna sperimenta, nel trascorrere dei giorni e poi degli anni, un nuovo isolamento, nato non soltanto dalla mancanza della persona cara, ma anche dall’incomprensione degli altri, perché “con il dolore puoi sedurre. Non puoi farlo con l’attesa. Nell’attesa sei sola”.
In questo libro, che pur riserva alla fine un imprevedibile colpo di scena, in grado di rovesciare ogni presupposto e ogni aspettativa, ciò che conta è il percorso: la storia di un amore (“Questo amore. / Così violento. / Così Fragile.”, come ci ricorda Jacques Prévert) descritto con una lingua che si richiama continuamente alla poesia, che si fa poesia essa stessa. Il volume diventa infatti anche un itinerario attraverso la lirica del Novecento, grazie ai molteplici tasselli, nascosti o rivelati nel testo, ma soprattutto rivela il valore fondante della poesia, sottolineando come la parola possa esprimere e racchiudere il senso di un’esistenza, parlare davvero e tuttora alla vita: “la poesia è la memoria di tutti: la sua, la mia, quella del mondo”.
Carolina Pernigo