Orwell.
Etoniano, poliziotto, proletario, dandy, miliziano, giornalista, ribelle, romanziere, eccentrico, socialista, patriota, giardiniere, eremita, visionario
di Pierre Christin e Sébastien Verdier
Con la partecipazione di André Juillard, Olivier Balez, Manu Larcenet, Blutch, Juanjo Guarnido e Enki Bilal
Traduzione di Fabrizio Ascari
L’ippocampo, 2020
p. 160
€ 19,90
Sin dalla copertina, su cui campeggiano un nome, un volto dai tratti decisi e una lunga serie di attributi associati a quel volto, a quel nome, si capisce che la vita di Orwell sfugge a ogni tentativo definitorio. Pur essendo morto decisamente troppo giovane, infatti, Eric Blair ha avuto un’esistenza ricca e sfaccettata, assolutamente inimmaginabile per chi abbia conosciuto l’autore magari soltanto grazie ai suoi romanzi più noti, La fattoria degli animali e 1984.
Stratificata e composita risulta peraltro anche l’opera, in cui le illustrazioni di Sébastien Verdier, a tratti illuminate dai tocchi di colore di Philippe Ravon, sono alternate a tavole realizzate, con stili, tratti e cromatismi diversi, da altri disegnatori, allo scopo di rendere possibile un accesso più completo, poliedrico, all’opera e alla personalità dello scrittore britannico. La sua stessa voce del resto viene restituita da Pierre Christin, che sceglie di riportare, evidenziandoli con caratteri dattiloscritti, ampi stralci derivati dagli interventi di carattere autobiografico di Orwell stesso. L’ampio formato del volume permette una totale immedesimazione, una piena fruizione del dettaglio delle singole immagini, mentre il lettore accompagna il giovane Eric dalle piccole incongruenze della sua infanzia ai tormenti del collegio in Inghilterra, dal periodo degli studi alla scelta spiazzante di entrare nella Polizia Birmana e tornare in Oriente, seguendo le orme paterne e ritornando sulle tracce delle proprie stesse origini.
L’esperienza birmana è traumatica per il giovane ufficiale, che percepisce le forti dissonanze del colonialismo e inizia a provare disprezzo per tutto ciò che rappresenta. Al suo ritorno in Inghilterra, Eric inizia a calarsi, letteralmente con tutto sé stesso, negli anfratti della vita cittadina, facendosi osservatore e studioso di una società in cui i deboli soffrono di condizioni terribili, eppure riescono comunque a farsi maestri di vita (“gli ‘ultimi degli ultimi’ erano le persone che volevo frequentare”). È da questa attenzione antropo- e sociologica che deriverà quello sguardo pungente sul mondo moderno da cui scaturiranno le opere distopiche dell’età matura. È da questa immersione profonda nell’esistenza che nascerà George Orwell. E il fiume della contea di Suffolk a cui lo scrittore si ispirerà per lo pseudonimo con cui otterrà la fama diviene nel volume simbolo e metafora ricorrente dello scorrere di un’esistenza dominata da un’irrefrenabile energia vitalistica.
Gli ultimi anni trascorrono per lui all’insegna dell’idealismo: sono gli anni della seconda guerra mondiale e Orwell contesta “gli orribili compromessi delle democrazie con Hitler”, tanto da provare ad arruolarsi, respinto per le sue precarie condizioni di salute. Sono gli anni delle opere che lo consacrano al successo, in qualche modo mettendo in ombra le precedenti. Sono gli anni dei cambiamenti (l’adozione di un figlio, la morte della moglie, il tempo trascorso a Jura, nelle Ebridi). Sono gli anni del Grande Fratello.
Le tavole procedono fitte, di dettagli e di parole. Paiono equilibrate le quattro sezioni in cui si articola il testo: Orwell prima di Orwell; Blair inventa Orwell; Orwell orwelliano e la conclusiva Dopo Orwell. A quest’ultima, semmai, si può rimproverare un’autocitazione da parte di Christin di cui non si vede la reale utilità e che non riesce a non sembrare un’operazione pubblicitaria. Il piccolo cedimento sul finale, tuttavia, si può perdonare considerando l’intelligenza dell’autore, che per l’intero sviluppo del volume non ha esitato a tirarsi indietro, a togliere spazio al proprio testo per lasciarne di più alla viva voce del protagonista. In un’opera che continuamente stupisce per la variabilità delle tecniche e l’imprevedibilità della composizione, trovano spazio anche alcune fotografie reali di Orwell.
Così, dall’insieme complessivo del testo, appare chiaro che il ritratto del grande scrittore non può essere univoco: vi sono tanti Orwell, tutti differenti, pur se accomunati dal particolarissimo modo di esprimersi acquisito durante gli studi a Eton. Nei giorni della segregazione, in cui il tempo pare rarefatto o troppo denso e il concetto di distopia assume una concretezza nuova, può essere curiosa e forse rassicurante la riscoperta di George Orwell come un uomo dai mille slanci e dai mille luoghi, profondamente riluttante a ogni tentativo di inquadramento. In questa operazione, il volume che esce oggi per le edizioni L’ippocampo diventa guida preziosa, oltre ad essere un più che riuscito prodotto artistico.
Carolina Pernigo