Due rimbalzi
di Diana Pintus
Prospero editore, 2018
pp. 237
€ 15,00
“Il rimbalzo è un fenomeno che si verifica quando un oggetto in movimento, colpendo una superficie rigida, prende nuova energia e riorienta la propria traiettoria” (p. 9), ci viene detto subito in una delle brevi prefazioni al volume. Ma due rimbalzi sono anche quelli concessi al tennis per chi lo pratica dalla carrozzina. Questi due elementi, oltre a spiegarne il titolo, restituiscono alla perfezione anche lo spirito di questo breve romanzo per giovani adulti, scritto da Diana Pintus, già ideatrice del progetto di Storie Paralimpiche, pensato per la diffusione, tramite un blog dedicato, delle storie degli atleti disabili in Italia e nel mondo.
I protagonisti sono due ragazzini che si trovano in un momento di stallo della loro esistenza, in bilico sull’orlo di un cambiamento ancora da definire nella sua traiettoria: Francesco ha quindici anni e un incidente l’ha costretto in sedia a rotelle, stroncando una possibile carriera da sportivo. Adesso, limitato dalla presenza assillante di genitori troppo amorevoli, troppo accudenti, cova una rabbia che non sa spiegare, e che a tratti lo paralizza. Cleiton invece di anni ne ha tredici; orfano di madre, con un padre alcolista e violento, vive una vita al limite della legalità, certo segnata dalla povertà e dalla necessità di arrabattarsi per portare a casa il pane.
Anche lui è arrabbiato, con la sorte che lo ha svantaggiato, con le aspettative di chi lo vorrebbe impegnato a riscattare il suo futuro, come Adriana, sorta di madre putativa:Ci sono giorni in cui rientro a casa e mi aggrappo a quella vista, e giorni in cui vorrei cancellarla, quella cartolina, tratto per tratto, perché sembra che qualcuno l’abbia messa lì apposta per ricordarmi che non è il mondo a essere orribile ma io a non avere il biglietto d’ingresso per la bellezza. E che oggi sarà solo un altro giorno passato a fare quello che qualcun altro si aspetta da me, a raccogliere le lattine che lasciano per terra quelli che possono permettersi di bere, a vendere caramelle sul treno, a occuparmi della nonna, a non deludere Adriana, a prendermi cura dei miei fratelli e di mio padre. A fare le cose giuste per qualcun altro, o a sbagliare per qualcun altro. Ma cosa vorrei io? Cosa piacerebbe a me? (p. 78-79)
Anche Cleiton a volte vorrebbe non sentire niente, perché rendersi insensibili e indifferenti al mondo è l’unico modo per non soffrire, per non essere feriti. I due adolescenti sono quindi entrambi soli, entrambi prigionieri, entrambi hanno qualcosa da imparare. Le loro strade si incrociano alle Paralimpiadi del 2016, in Brasile, dove Francesco è presente in veste di cronista e Cleiton per lo più si imbuca come spettatore, o raccoglie lattine da rivendere per fare qualche soldo. Il loro, inizialmente, più che un incontro è uno scontro: violento, rifiutato. Entrambi hanno dei forti pregiudizi reciproci: Francesco vede Cleiton come un piccolo teppista di strada, per Cleiton i disabili sono tutti “ritardati”. Eppure, nella sfida che si lanciano reciprocamente, c’è qualcosa che li attrae, nella combattività inaspettata dell’altro ognuno riconosce in qualche modo uno spirito affine. Non è un’amicizia immediata, la loro: ragazzi fragili, già troppo colpiti dagli eventi, si prendono alla larga, con prudenza. Salvo scoprire, nel giro di poco, che nell’altro si annida la possibilità di una salvezza, di una liberazione: la possibilità di esperire la diversità radicale e, quindi, di immaginare vie diverse per la propria esistenza. Mentre proseguono le competizioni e si accumulano medaglie, raccontate con passione da Francesco nel suo blog, durante una fuga improvvisata e a suo modo rocambolesca, la loro amicizia fiorisce, mentre si disvela la terza grande protagonista del romanzo: la città di Rio, colorata e contraddittoria, luogo di vita e di malavita, di ricchezza e povertà, di disperazione e di gioia pura, luogo in cui è possibile riscoprirsi e reinventarsi, così come si reinventa lei, alle soglie del nuovo millennio: “Rio, per me, è come il tronco di un albero, fatta di anelli concentrici, uno in più per ogni esperienza fatta, per ogni anno diverso, per ogni sbaglio, per ogni strada percorsa fino in fondo” (p. 192).
Due rimbalzi presenta sicuramente qualche ingenuità: qualche minima incongruenza nei dialoghi e nella trama, la titolazione un po' goffa dei capitoli, o il linguaggio utilizzato dai protagonisti, non sempre congruo con quello che potrebbero effettivamente padroneggiare due ragazzini di quell’età, e in relazione agli specifici contesti d’appartenenza. Eppure la storia funziona, perché riesce a indurre un immediato senso di immedesimazione. Il sentire dei giovani protagonisti è infatti, quello sì, profondamente credibile, verosimile. Nelle paure, le insicurezze e le imperfezioni di Cleiton e Francesco il lettore giovane può riconoscere le proprie. La tematica dello sport come luogo sano di sfida con se stessi e di superamento del limite rimane immediatamente accessibile, così come interessante è la rassegna di atleti paralimpici – e di discipline poco note e tutte da scoprire – che vengono dispiegati tra le pagine. Soprattutto, però, ciò che convince è la trattazione dei temi fondamentali di ogni romanzo di formazione: il bisogno di indipendenza, l’amicizia; quei colpi di testa che è necessario assecondare per diventare grandi e che, al contempo, devono scontrarsi con le preoccupazioni e i limiti posti da chi ci ama e desidera proteggerci; la comprensione, soprattutto, del fatto che, per imparare a conoscersi, è necessario talvolta provare a guardarsi con lo sguardo di un altro. E che, in quello sguardo, si aprono per noi infinite strade.
Carolina Pernigo
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