Gusci. Una storia d'amore e guarigione
di Livia Franchini
Mondadori, maggio 2020
pp. 276
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Le storie finiscono, ma dopo dieci anni di vita insieme, è possibile lasciarsi con la freddezza che troviamo nelle prime pagine di Gusci di Livia Franchini? Ruth sta lavando i piatti, una sera come tante altre, quando Neil inizia la discussione che cambierà per sempre le loro vite. Rimasta sola nella casa che condividevano, ridotta a un guscio vuoto, Ruth si guarda attorno e rivede oggetti che rimandano alle loro abitudini, a cominciare da una lista della spesa che testimonia le loro diete, i vizi, ma anche i compromessi: insomma, gli ingredienti essenziali di una vita insieme.
Ecco che da qui la narrazione tradizionale subisce una virata: i diversi ingredienti presenti nella lista diventano i titoli dei capitoli successivi, capitoli in cui l'autrice ci porta a scoprire la vita di Ruth prima, dopo e durante la relazione con Neil, ma al punto di vista femminile si alterna quello del protagonista maschile. Ecco allora che scopriamo, se ancora avevamo dubbi, che i fatti non sono oggettivi, ma a seconda di come vengono interpretati possono portare a prendere una scelta o un'altra.
La relazione sostanzialmente equilibrata agli occhi di Ruth è vista invece come una situazione sempre più soffocante da Neil, che manifesta anche fisicamente i sintomi del suo disagio. Ma per andare più a fondo, per scoprire davvero che cosa passa nella mente dei due personaggi, Livia Franchini lascia che siano le loro comunicazioni a parlare: sms dei tempi che furono, chat tra Ruth e le sue amiche (ammesso che si possano definire davvero tali), email che Neil manda a ragazze conosciute su siti di incontri o viste in azienda,...
Insomma, quel che Livia Franchini prova a fare in questo romanzo per molti versi sperimentale, è quello di fare un passo indietro, di non far mai sentire la propria voce, ma di passare ai personaggi la facoltà di esprimere quel che desiderano. O, almeno, di lasciarli agire, perché spesso anche Ruth si muove, lavora e riprende la sua vita ma sempre come un "guscio vuoto", che si lascia riempire dalle vite degli altri, pur tenendosene in disparte, quando può. Continua a lavorare nella casa di cura per anziani dove ha sempre fatto l'infermiera, intrattenendo con quelle che sono le sue colleghe e amiche rapporti superficiali. Superficiali come organizzare un addio al nubilato per la ragazza che tutte ricordano come la più inafferrabile, la seduttrice seriale; eppure, ecco che lei si sposa, quando invece Ruth si ritrova da sola, insospettabilmente. Sì, anche l'invidia è un sentimento che serpeggia, per quanto grigia, sibillina, nelle pagine del libro, mentre Ruth partecipa alla preparazione della festa di addio al nubilato restando più volte infastidita dalla frivolezza delle altre ragazze, senza fare cenno alla sua storia finita.
E anche Neil, niente da fare: si camuffa continuamente dietro una scrittura sorvegliata e seduttiva (quasi ridicola, per noi lettori), troppo pieno del suo bisogno di scrivere per non accorgersi della stupidità della sua interlocutrice digitale, molto più giovane di lui e interessata a tutt'altro. La discrasia, ancora una volta, è affidata alla lingua, che mette subito in rilievo l'enorme distanza, tesa quasi all'incomunicabilità, tra i due. Ma ognuno ha l'urgenza di scrivere di sé e di rivolgersi alle proprie illusioni, più che a una persona reale.
C'è un vuoto - in Ruth come in Neil - da riempire, e solo quando i due smetteranno di essere "gusci" potranno ricominciare davvero e portare a compimento il cammino di "guarigione" a cui si allude nel titolo.
Questo esordio è decisamente ambizioso, a cominciare dalla ricerca mimetica della lingua, che cambia di registro e di stile, e che sicuramente ha richiesto impegno per la traduzione (Livia Franchini, benché sia di origine italiana, ha scritto il romanzo in inglese e Veronica Raimo si è occupata della traduzione nella nostra lingua, o meglio di una trasposizione, con anche alcune varianti, come spiega l'autrice). Qualcosa, tuttavia, fa pensare a un'occasione in parte mancata: lo stile decisamente letterario dei primi capitoli porta i lettori a farsi l'illusione di trovare altrettanto nelle pagine successive, ma il continuo cambiamento di registro richiede spesso di dover ripartire daccapo con le aspettative, doversi riadattare. E qualche volta il passaggio da uno stile all'altro diventa fastidioso, così come i contenuti di certe pagine piuttosto superficiali (certo, Ruth ne prende le distanze, ma perché noi lettori dovremmo perderci tanto tempo?): si vorrebbe che tutto il romanzo fosse come quelle prime pagine, brillanti, alte, praticamente perfette.
GMGhioni
Questo esordio è decisamente ambizioso, a cominciare dalla ricerca mimetica della lingua, che cambia di registro e di stile, e che sicuramente ha richiesto impegno per la traduzione (Livia Franchini, benché sia di origine italiana, ha scritto il romanzo in inglese e Veronica Raimo si è occupata della traduzione nella nostra lingua, o meglio di una trasposizione, con anche alcune varianti, come spiega l'autrice). Qualcosa, tuttavia, fa pensare a un'occasione in parte mancata: lo stile decisamente letterario dei primi capitoli porta i lettori a farsi l'illusione di trovare altrettanto nelle pagine successive, ma il continuo cambiamento di registro richiede spesso di dover ripartire daccapo con le aspettative, doversi riadattare. E qualche volta il passaggio da uno stile all'altro diventa fastidioso, così come i contenuti di certe pagine piuttosto superficiali (certo, Ruth ne prende le distanze, ma perché noi lettori dovremmo perderci tanto tempo?): si vorrebbe che tutto il romanzo fosse come quelle prime pagine, brillanti, alte, praticamente perfette.
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