Il giudice e il suo boia
di Friedrich Dürrenmatt
Adelphi, 2020
Traduzione di Donata Berra
Traduzione di Donata Berra
pp. 121
€ 10,00 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
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3 novembre 1948. Ulrich Schmied, promettente sottotenente della polizia di Berna, viene trovato morto nella sua automobile, ferma sul ciglio della strada, in un luogo e in un momento apparentemente incongrui. Le indagini vengono assegnate all’ormai anziano commissario Bärlach, uomo sopra le righe e per questo inviso alle autorità, “un grosso, vecchio gatto nero a cui piace mangiare i topi” (p. 23). Procedendo lungo la scia di un sospetto inconfessato e incomprensibile ai più, compreso dapprima anche il lettore, Bärlach si fa affiancare nel processo investigativo da Tschanz, giovane agente zelante e ambizioso, affinché questo trovi le prove concrete di quella che per lui è già una certezza. Le ricerche li portano nel cuore della campagna svizzera, dove un ricco uomo d’affari, apparentemente intoccabile, conduce le sue losche attività e organizza feste esclusive. Allo stesso tempo, l’indagine è anche un percorso a ritroso nella vita del commissario, che ci proietta indietro nel tempo fino a quarant’anni prima, in un’oscura bettola di Costantinopoli.
Qui l’ancora giovane Bärlach aveva fatto conoscenza con una figura inquietante e preso coscienza per la prima volta dell’esistenza della pura malvagità, quella che agisce per capriccio, ma anche di un aspetto irriducibile del proprio carattere: “ogni volta, aveva subìto il fascino del male, il grande enigma che lui, ogni volta, si sentiva irresistibilmente chiamato a risolvere” (p. 37). In quel luogo di malaffare, l’altro uomo, come lui giovane, ma di tempra diversa, l’aveva coinvolto in una terribile scommessa, che li aveva legati da quel momento e per sempre. L’altro sarebbe diventato quindi la sua nemesi, il suo riflesso oscuro, il polo negativo della sua sorte. La sfida lanciata e raccolta sarebbe diventata il destino di entrambi (“La nostra partita [...] non la possiamo abbandonare”, p. 102).
Come questo si ripercuota sul presente di Bärlach non può essere svelato a livello di eventi, ma merita di essere indagato sotto il profilo simbolico. La grande capacità di Friedrich Dürrenmatt è infatti quella di costruire trame che sono meccanismi perfetti, in grado di avvincere, quasi intrappolare, il lettore fino all’ultima pagina, e allo stesso tempo che rimandano sempre ad altro, a una più profonda riflessione esistenziale, sul conflitto inesausto tra bene e male, o sul ruolo della letteratura, o sullo statuto dei generi. È davvero possibile orchestrare il delitto perfetto, quello che non è mosso da alcun interesse personale, ma dalla semplice volontà di perpetrare l’offesa? Può l’intelletto piegato al dolo avere la meglio sull’etica? E lo sforzo di chi vuole impedire la realizzazione di un simile piano malvagio potrà mai avere fine, se non con la sconfitta definitiva, o con una compromissione dei propri ideali? A queste domande Dürrenmatt prova a dare risposte (anche nei romanzi successivi). La scelta interessante è di non farlo attraverso i protagonisti, ma attraverso uno dei comprimari, uno scrittore che – un po’ a tradimento – viene consultato come testimone durante le indagini. È proprio lui, anche in virtù della propria confidenza con le dinamiche del mondo e della propria capacità di indagare, a poter interpretare lucidamente i fatti, svelarne le trame nascoste:
Anche lui era una specie di investigatore, disse, ma senza poteri, senza Stato, senza leggi e senza prigioni alle spalle. Faceva parte anche del suo mestiere tenere d’occhio la gente. (p. 81)
Lo scrittore è infatti colui che si inventa la realtà, ma anche la osserva e studia; è colui quindi che può trovare la chiave che gli altri non riescono a individuare. Egli riesce a leggere lucidamente il comportamento del Nemico, per cui “il male è espressione non di un principio filosofico o di una pulsione, bensì della sua libertà: la libertà del nulla. [...] Per studiare quest’uomo è la sua libertà si potrebbe sacrificare la propria vita” (p. 83).
E allora forse solo chi non ha più nulla da perdere, chi è disposto ad abdicare alle proprie più salde convinzioni in nome di un bene superiore, può sconfiggere una volta per tutte questa forma del male, questo “demonio in forma umana” (p. 118) e la vicenda può raggiungere le sue vette di compiutezza.
Carolina Pernigo