di Murielle Szac
Illustrazioni di Olivia Sautreuil
Traduzione di Fabrizio Ascari
L’ippocampo, 2019
pp. 303
€ 19,90
Nel prendere in mano Il racconto di Artemide di Murielle Szac, edito da Ippocampo nella preziosa edizione con le illustrazioni di Olivia Sautreuil, il lettore adulto si chiede subito perché proprio Artemide. Pur appartenendo a tutti gli effetti al novero delle divinità olimpiche, questa rimane infatti (ma, si scoprirà, solo apparentemente) una figura un po’ marginale nell’ambito delle vicende mitologiche, così come delle riscritture odierne e attualizzanti. Sicuramente messa in ombra dal fratello Apollo, abbagliante della luce solare a cui è associato, ma anche dalle altre dee dalla presenza o il carattere più dirompenti (la rancorosa Era, la seducente Afrodite, la saggia Minerva), di lei si ricorda solitamente che è giovane, vergine, dedita alla caccia. Adesso, Murielle Szac ci mostra quanto siamo stati ciechi, poco accorti: perché nella sua narrazione, che riprende la struttura episodica del romanzo d’appendice (o, più direttamente, delle serie TV, a cui il pubblico giovane a cui l’opera è rivolta è sicuramente più avvezzo), si recuperano la complessità, la poliedricità, le sfaccettature complesse di una dea che è anche però, per quanto contraddittorio questo possa sembrare, giovane donna.
Figlia inizialmente misconosciuta dal padre, che le preferisce il fratello maschio, Artemide si ricava a forza il proprio posto nel mondo, e nel pantheon greco. Sa cosa vuole e, con incredibile determinazione, lo ottiene, non limitandosi ad aspettare, ma attivandosi in prima persona, formulando esplicitamente richieste molto precise:
Figlia inizialmente misconosciuta dal padre, che le preferisce il fratello maschio, Artemide si ricava a forza il proprio posto nel mondo, e nel pantheon greco. Sa cosa vuole e, con incredibile determinazione, lo ottiene, non limitandosi ad aspettare, ma attivandosi in prima persona, formulando esplicitamente richieste molto precise:
“Per prima cosa voglio una tunica color zafferano con un bordo rosso; poi voglio essere, come mio fratello, colei che porta la luce; ma voglio anche essere colei che regna sugli animali selvatici, sui boschi, sulle foreste e su tutte le montagne. Sarò colei che protegge ma anche caccia le bestie. [....] Vorrei anche avere come compagne ottanta ninfe venute dall’oceano e dell’isola di Creta. Si prenderanno cura delle mie vesti e dei miei cani da caccia. [...] Ti chiedo un ultimo favore: [...] non voglio sposarmi mai. Fa’ che io sia eternamente la dea vergine.” (p. 23, 24)
A queste, Zeus aggiunge doni e incarichi ulteriori (“Avrai tutto ciò che mi hai chiesto e molto di più ancora. Ti nomino anche guardiana dei porti, delle strade e dei sentieri. E non una sola città ti sarà consacrata, ma ben trenta che ti apparterranno”, p. 24) e così le Moire, che faranno di lei la dea che dovrà “proteggere ed educare i giovani, [...] accompagnarli dall’infanzia all’adolescenza, e di condurli poi fino all’età adulta” (p. 26). Data la molteplicità e la complessità degli incarichi, Artemide è dea in continuo movimento e, grazie alle immagini suggestive che accompagnano la narrazione, ci sembra di vederla: figurina scattante, il lampo delle gambe sempre in corsa, i lunghi capelli che le rimbalzano sulle spalle, mentre attraversa le foreste e incontra personaggi sempre nuovi. Artemide diventa così, nella ricostruzione proposta dall’autrice, una sorta di filo conduttore che attraversa le principali storie della mitologia greca, quelle sì assai note. A volte protagonista, a volte solo testimone, o piccolo pungolo per gli eventi, Artemide ci permette di incontrare i grandi nomi dell’epica e della tragedia antica: al seguito di Chirone, riuniti in una sola volta troviamo Eracle, Asclepio, Achille, Giasone, Atteone e Atalanta; sappiamo bene quante e quali strade prenderanno poi questi personaggi e li ritroviamo nell’opera nel loro divenire, non sempre lungo o fortunato, soprattutto se il fato si mette di mezzo. E, insieme e oltre a loro, ecco affastellarsi altri nomi, attinti da diverse tradizioni, provenienti da altri luoghi, ma ugualmente familiari: Medea, Fedra e Ippolito, Anchise ed Enea, Orione, di cui Artemide per la prima volta si innamora, e tanti ancora, a costruire una galleria fittissima in cui sembra davvero non manchi nessuno. Abilità dell’autrice è quella di tessere una tela in cui i fili vengono intrecciati sapientemente a creare un ordito efficace, che narrativamente funziona anche a livello di raccordo tra le diverse vicende, grazie alle continue esplorazioni di Artemide, che non esita ad avventurarsi, talora sotto mentite spoglie, nei luoghi più remoti e impensabili, dagli Inferi fino all’interno delle mura di Troia o addirittura nella pancia del famoso cavallo di legno.
La dea del resto rimane di fatto una giovane in ricerca, che non riesce a trovare la sua collocazione naturale insieme agli altri dei, sull’Olimpo, in una gabbia dorata in cui dilagano valori che non può accettare, e preferisce ricercare una perfetta simbiosi con la natura che la circonda:
Aveva capito che quella vita nella dimora degli dei non la interessava. Le amicizie sull’Olimpo non erano fedeli, gli odi erano violenti. Ciò che brillava aveva troppa importanza. Sognava la penombra dei boschi. Era laggiù il suo vero posto, nella natura, meno crudele in fondo degli occupanti del palazzo paterno. (p. 111)
Tutto il suo eterno e instancabile viaggiare può essere letto allora come metafora di un percorso di crescita, di un desiderio di radicamento, e questo giustifica anche l’importanza che, nel testo, acquista Chirone, saggio e affidabile maestro. Lungo il percorso, nessuna delle tappe della formazione manca all’appello: l’amicizia, il dolore, l’amore, il desiderio di vendetta, la relazione con le figure parentali, il bisogno di affermare la propria posizione e la propria volontà in un contesto prettamente maschilista...
La struttura episodica, se crea una frammentazione forzata (e assolutamente voluta) del flusso narrativo, consente del resto una lettura più ponderata, magari in famiglia, offrendo l’occasione di riflettere e dialogare su temi fondamentali per ogni bambino o bambina che si apprestino a diventare giovani adulti. Anche le immagini, con le forme stilizzate e le campiture di colore accostate liberamente a creare sagome evocative e prive di contorni, contribuiscono a fare di questo volume un oggetto non solo molto bello, ma perfetto da sfogliare e leggere insieme, all’interno di un percorso che coinvolga non solo la protagonista, ma anche il giovane lettore.
Carolina Pernigo