Storie parallele.
1- La regione muta
di Péter Nádas
Bompiani, 2019
Traduzione di Laura Sgarioto
pp. 544
€ 24 (cartaceo)
€ 14,99 (ebook)
“Non c’è bisogno di costruire un labirinto quando l’intero universo è un labirinto” (Jorge Luis Borges)
E un labirinto sono le Storie parallele dove ci conduce Péter Nádas, la regione muta che costituisce il primo volume di una monumentale trilogia, pubblicato da Bompiani e tradotto da Laura Sgarioto, che presumibilmente si concluderà nella primavera del 2021.
Nádas ci ha lavorato per diciotto anni e a dire il vero questa non rappresenta una novità assoluta perché l’autore ungherese non è nuovo a queste imprese letterarie se consideriamo che anche al precedente Libro di memorie ha dedicato ben undici anni della sua vita.
“Ancora nell’anno memorabile che vide il crollo del celebre Muro di Berlino, non lontano dalla statua di marmo ormai ingrigita della regina Luisa fu rinvenuto un cadavere. Questo accadde qualche giorno prima di Natale...”
L’incipit dà l’idea di un thriller, o di un giallo, ma non è così. È vero che per un po’ di pagine l’autore si concentra sul cadavere, sull’identità del giovane Döhring, studente in psicologia e filosofia, che lo ha scoperto mentre faceva jogging, su tanti piccoli e dettagliati indizi per scoprire l’identità del morto fino ad accompagnarlo dentro la sala autoptica, ma tutto finirà lì. Il morto viene messo da parte e l’attenzione dell’autore si concentrerà sul giovane Döhring che nel frattempo sarà stato interrogato e lasciato libero. È a lui che Nádas rivolgerà le sue attenzioni intrecciando una storia labirintica che, attraverso continui sbalzi temporali, ci porterà a ripercorrere la storia ungherese del ventesimo secolo.
Anche in “Storie parallele”, così come nelle sue opere precedenti, il nazismo, la deportazione degli ebrei e i fatti della rivoluzione del ‘56, saranno temi spesso ricorrenti. E allo stesso modo lo saranno i temi del sesso, della bisessualità di alcuni personaggi, il desiderio e il piacere. Non sono temi centrali, ma ricorrono di frequente.
Ovviamente in questo primo volume non sapremo mai cosa c’entra tutto questo con il ritrovamento del cadavere nel malfamato parco di Berlino. Nádas non lo spiega, anzi: «Ognuno nella propria oscurità» dirà a un certo punto. Aggroviglia tutto e costruisce quel labirinto dove imprigiona il lettore per più di 500 pagine catapultandolo nell’atmosfera cupa, nebbiosa e piovigginosa dell’Europa e dell’Ungheria a cavallo della seconda guerra mondiale:
“[...] cadeva una pioggerella fine. Così fine che sembrava piuttosto una nebbia stillante. Non voleva smettere. In giornate come questa la città si rabbuia e si riempie di umidità sotto una pesante cappa di nuvole [...]”
C’è tanta nebbia in questo primo volume, ma non c’è una trama. Non c’è una storia focalizzata su un singolo personaggio, ma ci sono “storie parallele” che ci faranno conoscere una miriade di personaggi che Nádas descrive con una cura quasi maniacale anche nei loro atteggiamenti più intimi.
Da qualche parte confluiranno queste storie. Alcuni indizi disseminati lo lasciano presupporre e probabilmente tutto si chiarirà quando leggeremo gli altri due volumi che compongono la trilogia. Dobbiamo avere solo pazienza e aspettare. Al momento, sembra dirci l’autore, non è necessario capire.
Si può perdonare questo giochino? Direi di sì se l’autore è Péter Nádas, il cui nome è costantemente alla ribalta per il Nobel e che insieme al compianto Péter Esterhazy e a Laszlo Krasznahorkai è considerato tra i più grandi scrittori ungheresi della letteratura contemporanea.
Leggerlo è una sfida non da poco. Un tour de force che strema sì il lettore, ma che alla fine sarà soddisfatto per aver portato a termine una vera e propria impresa.
Liborio Volpe