di Filippo Venturi
Milano, Mondadori, 2020
pp. 204
€ 17,10 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Il romanzo precedente di Filippo Venturi, Il tortellino muore nel brodo, già recensito sul sito, fu una vera e propria rivelazione poiché portò allo scoperto una nuova penna, una delle più interessanti degli ultimi anni. La sagacia, il ritmo narrativo, lo humor: tutto in quel libro era stato magistralmente calibrato – come in una ricetta ben costruita – per la creazione di un’opera davvero piacevole. L’unica pecca? La paura che un romanzo così ben riuscito potesse essere un piatto unico, un’unica portata, senza ulteriori sviluppi di quel personaggio che – abbozzato nel primo romanzo – prometteva davvero molto bene. E invece, dopo un paio anni da quell'uscita, Filippo Venturi offre oggi al nostro palato una nuova pietanza letteraria, rispondendo alle aspettative di quei lettori che avrebbero volentieri continuato a leggere le avventure del protagonista. Tuttavia, una volta ricevuta la notizia dell’uscita del nuovo romanzo, c’era da capire se sarebbe stato all'altezza del precedente. Dopo un’attenta lettura e una riflessione (o digestione, se vogliamo stare nell'ambito culinario) altrettanto approfondita, ci siamo fatti un’idea a tale riguardo.
Cominciamo dall'inizio: Emilio Zucchini, Zucca per gli amici, è un oste che dirige una trattoria a Bologna, città famosa in Italia e nel mondo non solo per la sua storica Università (la più antica del mondo occidentale) e per le sue iconiche torri ma anche per la sua cucina, unica e di altissimo livello. “Bologna: la dotta, la grassa, la rossa”, così la città viene definita proverbialmente ed Emilio Zucchini è un oste che rispetta la fama del capoluogo emiliano poiché sa fare bene il proprio lavoro, conosce i segreti del mestiere e quelli per mettere sul fuoco un ragù eccellente. Per sfortuna sua (ma fortuna dei lettori), però, in un modo o nell'altro, Emilio capita sempre in mezzo a qualche vicenda che lo allontana dai suoi amati fornelli e lo indirizza sulla strada di indagini investigative che lo coinvolgono in prima persona. Se nell'episodio precedente, infatti, l’oste si era trovato a collaborare al ritrovamento della figlia di un suo amico, la quale era stata rapita, ora egli si trova alle prese con un nuovo caso, ancora più intricato del precedente: nel corso di una serata, apparentemente come le altre, Emilio si ritrova con una cliente che accusa sintomi allergici e – nella confusione che segue di lì a poco – contemporaneamente un ammanco di cassa poiché all'improvviso spariscono le mance dei suoi dipendenti. Una bella somma che Emilio è disposto a tutto per ritrovare. I suoi passi, però, si incrociano presto con quelli del commissario Iodice, il quale deve risolvere il furto di uno dei quadri più importanti custoditi nella cattedrale di San Pietro, il duomo di Bologna, quello della Madonna di San Luca. Le tre vicende si intrecciano tra loro fino a creare una matassa intricata e apparentemente difficile da risolvere, tuttavia tutto alla fine giunge ad una sua risoluzione portando allo scoperto segreti e collegamenti inaspettati.
Con Gli spaghetti alla bolognese non esistono, Venturi risponde più che positivamente alle aspettative di coloro che si erano goduti il primo romanzo, confermando il suo talento di scrittore. Di nuovo, l’autore riesce a tenere incollato al libro il lettore, non annoiandolo mai e anzi trascinandolo pagina dopo pagina, vorticosamente, verso il finale. La magia che si era verificata con la prima opera si avvera per una seconda volta e di nuovo i capitoli scorrono velocemente, nel desiderio di conoscere gli sviluppi della vicenda.
Qualcosa di diverso, tuttavia c’è: in questo nuovo episodio l’abilità narrativa di Venturi pare proprio essersi evoluta in positivo, poiché leggendo il libro si ha l’impressione di una scrittura più decisa, più sicura, maggiormente capace di manovrare il racconto. Le vicende che si intersecano, ad esempio, in un primo momento scorrono parallele, per poi intrecciarsi tra loro, e se questo è un espediente già noto in letteratura è tuttavia notevole il modo con cui Venturi riesce poi a raccordare il tutto, disseminando piccoli indizi qua e là in modo tale da rendere il lettore non solo spettatore della vicenda che viene raccontata, ma partecipe del processo di investigazione. Lo stesso si può dire per quanto riguarda una delle peculiarità della sua scrittura, ovvero l’ironia. La capacità di Venturi di mescolare tensione investigativa e humor è davvero unica e spesso è la voce narrante ad assumersi questo compito, riuscendo sempre a strappare un sorriso ai lettori. Valgano come esempio queste poche righe, di certo non pienamente rappresentative della sua capacità:
«Di Emilio Zucchini si possono dire tante cose. Alcune buone, altre meno. Come di tutti quanti, del resto. Zucchini è una persona perbene. È onesto, caparbio e sereno. Ma è anche un gran testardo, presuntuoso e superbo. […] È un altruista egocentrico: si sbatte per il prossimo nella misura in cui la cosa lo gratifica. Semplificando tutto ai minimi termini, si può dire che Emilio Zucchini è un tipo tranquillo. Di quelli che si arrabbiano di rado. Ma ora è arrabbiato, e tantissimo. E questo lo rende alquanto pericoloso. È proprio quello che sta dicendo ai ragazzi, che ha riunito d’urgenza. È affranto. È incazzato nero. E ha deciso che andrà fino in fondo. (Ecco la caparbietà) […] Nessuno può prendersi gioco di lui, a maggior ragione un misero ladro di polli. Anzi, una ladra di polli, visto che è stata lei, ormai è chiaro. Le mance se l’è fregate Miss caschetto naif. È andata in bagno, gli ha fatto gli occhi dolci, due moine, l’ha distratto e tac, ha preso i soldi. Poi ha inscenato il malore, è salita sull'ambulanza e ha salutato la compagnia. Un gran bel piano. (Signore e signori: la perspicacia.)»
Inoltre, a riprova di una evoluzione rispetto al primo libro, i personaggi sono meglio descritti, le loro psicologie più approfondite, ma soprattutto, in quest’opera troviamo una sfumatura lievemente più oscura che era sconosciuta al libro precedente. Infatti, alcuni personaggi, come quello del rapinatore, offrono allo scrittore l’occasione per delineare una fisionomia più tenebrosa, decisamente nuova rispetto a Il tortellino muore nel brodo e questo chiaroscuro regala una maggiore maturità espressiva alla sua scrittura.
Resta immutato, invece, il sentimento di amore profondo che l’autore prova per la propria città. Una vera e propria dichiarazione d’amore, come nelle righe seguenti:
«È molto presto, per lui, ma tutt'intorno la città sta già prendendo vita. Qualcuno al bar sta bevendo il caffè, i pescivendoli urlano le offerte del giorno da dentro il negozio, mentre qualche turista corre con la mantellina impermeabile sulle spalle e la guida sotto il braccio. Ci sono rivoli d’acqua che fuoriescono da alcuni tombini intasati e pozzanghere grandi quanto laghi su cui “l’acqua fa i tortelli”, come dicono a Bologna quando la goccia batte così forte sull'asfalto da rimbalzare indietro e produrre l’effetto ottico di un tortellino chiuso a regola d’arte».
Riesce facile capire quanto sia la deformazione professionale di quest’uomo a fargli vedere tortellini nelle pozzanghere ma esso è anche un canto d’amore profondo per una città che conia modi di dire e metri di paragone sempre a sfondo culinario. Per fare un esempio, Emilio Zucchini ha aperto un profilo Instagram per il suo ristorante, tuttavia, ci dice il narratore, sapere quanti follower seguono “La Vecchia Bologna” per lui «ha lo stesso peso specifico di un piatto di tortellini al pesto».
Quello che sembra evidente è la costante crescita della scrittura di Venturi, e possiamo quindi concludere rinnovandogli il plauso e la lode e con essi augurarci – per una seconda volta – che presto possa dare alle stampe una nuova puntata di quest’opera letteraria per regalarci nuove appassionanti avventure.
Valentina Zinnà