Atlante delle fortune di mare
di Cyril Hofstein
illustrazioni di Karin Doering-Froger
traduzione e cura di Luciano Làdavas
L’ippocampo, 2020
pp. 132
€ 19,90 (cartaceo)
di Cyril Hofstein
illustrazioni di Karin Doering-Froger
traduzione e cura di Luciano Làdavas
L’ippocampo, 2020
pp. 132
€ 19,90 (cartaceo)
Chi, perlomeno durante l’infanzia, non ha fantasticato per ore e ore dopo avere letto storie di comandanti e marinai, velieri e galeoni, viaggi per commercio e per avventura, battaglie navali e naufragi? Tutte le vicende che prevedono una navigazione – proprio come quelle che compiono la loro parabola in volo – stimolano la nostra immaginazione minorenne (siamo pur sempre creature essenzialmente terrestri) e non smettono di affascinarci anche in età adulta, complici le molte metafore, similitudini e cariche simboliche che lungo la nostra strada tendiamo con l’attribuire alla dimensione acquatica e a quella celeste. Generazioni di uomini, d’altra parte, hanno dedicato la loro esistenza al mare, ritrovandosi protagonisti sia di eventi che fecero la Storia (la scoperta dell’America non è che il caso più macroscopico, per non parlare dei molti conflitti che vennero regolati a galla o per via sottomarina) ma anche di imprese più infauste e meno popolari, sebbene non per questo meno cariche di suggestione e, spesso e volentieri, mistero. Nel suo Atlante delle fortune di mare, appena pubblicato da L’ippocampo nella sua versione italiana, Cyril Hofstein ha raccolto alcune di queste vicende, consegnando al lettore un volumetto che come prima cosa gli chiede di attribuire un nuovo significato proprio all’espressione da cui trae il suo titolo:
«nell’espressione “fortuna di mare”, il vocabolo “fortuna” non ha nulla a che vedere con la ricchezza o con la ricerca di un tesoro degli abissi. Per gli armatori e le agenzie assicurative, è prima di tutto un caso di forza maggiore proprio del diritto marittimo e una realtà giuridica che definisce i rischi connessi alla navigazione, dal semplice ritardo fino alla perdita di corpo e beni. Le “fortune di mare” sono quindi gli accidenti dovuti al mare, e qualsiasi altro evento causato in mare da fatto fortuito o da ostacolo insormontabile» (p. 9).
Dopo l’Atlante di botanica poetica, l’Atlante di zoologia poetica e l’Atlante delle zone extraterrestri – perfetti per gli appassionati di piante, fiori, animali, stelle e pianeti – L’ippocampo arricchisce dunque questa collana “esplorativa” con un titolo dedicato agli amanti del mare e delle storie marinaresche. Ma attenzione: quello in esame non è un libro da spiaggia e nemmeno un volume di biologia subacquea, bensì una raccolta di trentuno storie aventi in comune (con rare eccezioni, tra cui quella del grande veliero Belem) la mala ventura capitata a chi nei secoli abbia voluto intraprendere audaci imprese tra le onde. Suddiviso in cinque parti corrispondenti alle aree in cui ebbero luogo le tragedie – Mari e coste di ponente, Dal Baltico al grande Nord, Mari e coste di levante, Caraibi, Dal Pacifico all’Oceano Indiano – il libro di Cyril Hofstein si presta in effetti a essere definito un florilegio di disgrazie: ben poca letizia, difatti, ne accompagna la lettura, al netto del numero di affondamenti, ammutinamenti e affogamenti corredati da incendi, ibernazioni e sospetti casi di cannibalismo tra gli equipaggi. C’è dunque del macabro nello sciabordio dei flutti ostili che inzuppano le pagine, ma del resto non è proprio in virtù delle rispettive cattive stelle che certi accadimenti passano dalla cronaca nera alla narrazione popolare per finire consacrati dalla leggenda? Così è anche per queste storie sfortunate fatte di partenze senza approdi, di perdite di uomini e di beni, di capitani tanto esperti e coraggiosi quanto improvvisati e avventati, di carichi di merci e di preziosi destinati all’inabissamento e alla trasformazione postuma in tesori da ricercare con speranza tra relitti e fondali. Un certo sollievo visivo, tuttavia, arriva dalla veste grafica del volume e dalle tavole che accompagnano le narrazioni (a cura di Karin Doering-Froger), quasi una conferma ulteriore di come, nell’andare per mare, sia sempre necessario avere contezza della propria rotta: precedute da titoli e sottotitoli d’atmosfera e incorniciate da altri accorgimenti grafici che ne fanno individuare subito il dove e il quando (un piccolo mappamondo e una data in alto sulla sinistra, più l’indicazione precisa delle coordinate del misfatto), tutte le vicende sono corredate da una mappa atlantica a tutta pagina che mostra ingrandimenti terrestri, coste, isole, acque ghiacciate o allo stato liquido, con opportune gradazioni di colore che ne suggeriscono la profondità. Bianco, blu e verde si alternano in una varietà di tinte ora più chiare ora più scure, che sovrapposte a una varietà di linee continue o tratteggiate – l’andamento dei meridiani e dei paralleli, la scia di un compasso o di un goniometro, l’impronta di una bussola – danno vita a specchi d’acqua stilizzati in cui si riflettono l’ambizione e l’avventura di pirati e lupi di mare vissuti decenni e, più spesso, secoli fa.
Chi ha una predilezione per questo genere di vicende e dunque vanta già nella sua libreria un discreto numero di romanzi e racconti incentrati sul rapporto tra gli esseri umani e il mare, non resterà indifferente a questo ultima pubblicazione L’ippocampo. Inutile dire che una vacanza in barca (molto più che una lussuosa crociera) rappresenterebbe la circostanza di lettura ideale, ma anche un litorale e un orizzonte cristallino a scelta si prestano bene al suo apprezzamento: a ben guardare, Atlante delle fortune di mare è difatti, e non in seconda istanza, un libro filosofico, che vuole ricordare all’uomo la necessità del senso del limite e l’esistenza di una proporzione naturale che lo riconduca all’impotenza al cospetto di un elemento come l’acqua, notoriamente ostile alla superbia di certi folli voli.
Cecilia Mariani