di Linda Barbarino
il Saggiatore, 2020
pp. 192
€ 17,00
€ 7,99
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Difficile scrivere de La Dragunera, opera prima di Linda Barbarino, edita da il Saggiatore. Il lettore deve innanzitutto fare i conti con la prosa a cui è affidata la narrazione, un impasto linguistico in cui trionfa il dialetto siciliano, che rivive sulla pagina e che ricorda inevitabilmente la scrittura ibrida di Andrea Camilleri, ma che può risultare arduo a chi non lo padroneggia. Dalla pagina emerge però anche la dura realtà della campagna di Verga, il lavoro che fiacca gli spiriti, le logiche patriarcali che dominano la collettività, l’elemento incongruo che deve essere espulso dal tessuto sociale, la donna condannata dal pregiudizio altrui.
In questo caso, la storia si articola intorno a due protagoniste, a due modi di intendere la sensualità e la femminilità, che paiono opposti e sono in realtà molto più vicini di quanto sembri. Al centro della trama, ci sono quindi due donne diverse, diversamente segnate dallo stesso sguardo maschile.
Da un lato c’è Rosa, che fa la prostituta perché non ha trovato altro mezzo sopravvivere dopo un’infanzia povera, eppure ricordata come felice, idealizzata nel ricordo, nonostante le prepotenze di una sorella viziata ed egoista. A dividere il presente di Rosa c’è Paolo, cliente favorito, l’unico che attenda con ansia e per cui provi un sentimento che non si lascia sopprimere, nonostante sia fuori luogo e probabilmente destinato all’infelicità:
C’aveva provato a lasciarlo, a pensare che non era cosa, però appena quello le friscava, sentiva come se l’afferravano da sotto e la tiravano, fino alla bocca dell’anima. (p. 21)
Fin da subito, tuttavia, si avverte stridente una contrapposizione di sguardi: quello saldo di Rosa, carico della dignità di chi, pur con un lavoro disonorevole, è riuscito a costruirsi una vita stabile, a procurarsi una casa pulita, a mantenersi da solo (“col mestiere se l’era pagato un posto dove stare”, p. 22) e quello definitivo di Paolo, che invece, pur provando piacere in sua compagnia e nutrendo per lei un certo affetto, non riesce ad andare nel giudizio oltre alla sua professione (“ci piaceva che quella bedda fimmina era anche buona per chiacchierarci e sfogarsi [...]; una brava fimmina era, peccato che faceva la buttana”, p. 23). Sul loro rapporto, nel progredire delle pagine, cala inoltre l’ombra lunga delle tensioni che il giovane accumula nella vita domestica.
In secondo piano, nel testo, c’è infatti anche un conflitto tra due uomini: Paolo, “giovanottino tutto nervi e spirtizza” (p. 29), che ha lasciato la scuola per aiutare il padre coi campi e il bestiame e ora si fa carico della famiglia, non riesce a tollerare il fratello Biagio, pingue, pacifico, che ha mollato tutto per andare a fare il questurino al Nord ed è tornato anni dopo; Biagio che non ha mai fatto nulla in fretta nella sua vita, se non sposare la Dragunera, strega, figlia e nipote di streghe, devastante “come la tempesta di vento e acqua a capo di verno” (p. 27). È questo il secondo polo del femminile: accusata di essere interessata solo alla “robba” di don Tano, carica di sensualità, la Dragunera irrompe anche nella vita di Paolo come un pericolo. In occasione della vendemmia, la donna si presenta diversa dal solito: meno elegante, meno superiore. Eppure i suoi occhi verdi lampeggiano, i suoi seni premono la vestina leggera, e Paolo la guarda per la prima volta con desiderio. E odia ancora di più quel suo fratello che se l’è presa, e che è tornato a casa dopo anni e ora magari pretende pure di fare da padrone.
Femmine e travaglio, travaglio e femmine. Così era stato per lui, sempre, e si toccava i muscoli daccapo e pensava alla Sciandra quando la stringeva e la teneva immobile nel letto, ma l’immagine di sua cognata ci si posò sopra come una coperta scura. (p. 71)
Mentre la “magara” si infila nella coscienza e nei sogni e diventa ossessione, sfacciata, dirompente, inestirpabile, gli equilibri descritti all’inizio del romanzo si guastano e tra le pagine si consuma un dramma di passioni e gelosie che finisce per travolgere anche tutti i comprimari.
La storia segue alternativamente le vicende dei protagonisti, in un continuo cambio di punti di vista e di scarti tra presente e passato. Solo la Dragunera rimane nell’ombra, fedele al suo mistero, guardata soltanto attraverso gli sguardi altrui e quindi persistentemente impenetrabile.
Nonostante alcuni aspetti della trama rimangano non pienamente sviluppati, e lascino quindi una certa curiosità al lettore, quello di Linda Barbarino si configura come un esordio forte, sicuro, dalla grande densità emotiva, in grado di restituire il colore sanguigno di un’epoca, di un luogo, di una lingua.
Carolina Pernigo
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