Il viaggio, come metafora della vita, le difficoltà e la spinta a rialzarsi; casa, intesa come luogo ma soprattutto come affetti da cui rifugiarsi quando tutto crolla. Bea Buozzi ha scritto un romanzo delicato, pieno di ironia e leggerezza, capace di strappare più di un sorriso dolceamaro al lettore che segue le avventure di Diana, antieroina fragile e un po' ingenua, ma determinata a trovare la propria strada.
Una storia che contiene più chiavi di lettura, costruita con piacevole leggerezza, ma che inquadra anche bene un certo ambiente professionale e conquista con la sua protagonista a metà strada fra Bridget Jones e Carrie Bradshow.
Debora Lambruschini ha fatto due chiacchiere con l'autrice, riflettendo su alcuni spunti interessanti della narrazione, in un dialogo che apre quello di stasera, in diretta sulla nostra pagina Instagram.
Debora Lambruschini ha fatto due chiacchiere con l'autrice, riflettendo su alcuni spunti interessanti della narrazione, in un dialogo che apre quello di stasera, in diretta sulla nostra pagina Instagram.
Dietro l’apparente leggerezza (che non vuol dire superficialità) di Love Trotter, si rivelano via via molte tematiche e spunti interessanti: il viaggio, naturalmente, tema portante della narrazione, ma anche l’importanza degli affetti, di un luogo – o una persona – da chiamare casa, la capacità di ripartire. E un invito a pensare il viaggio in modo meno turistico, magari anche con una certa attenzione all’impatto ambientale, una tematica attualissima. Cosa ne pensi, sono questi gli aspetti che a tuo avviso il lettore dovrebbe cogliere di Love trotter?
Credo che il viaggio rappresenti una perfetta metafora della vita. Nascendo comincia quello più importante e in fondo di viaggi è piena ogni singola esistenza. Ognuno ne ha di unici e irripetibili. È viaggio il percorso scolastico, una carriera, le nuove sfide. Ma sono viaggi anche i rapporti e le relazioni interpersonali. Si viaggia all’interno dei sentimenti e gli amori stessi sono viaggi di due sconosciuti che si incontrano per caso e percorrono un tratto insieme. Così come le famiglie quelle in cui nasciamo (unico viaggio che riceviamo d’ufficio) e quelle che scegliamo di costruire. I percorsi di crescita sono viaggi che traghettano dall’infanzia all’età adulta e ogni volta che si conclude un viaggio, la valigia che viene svuotata ha come corrispettivo i ricordi che sono stati creati. Quindi, per tornare alla tua domanda, il viaggio non è solo luogo o destinazione fisica, ma anche un percorso negli affetti e nelle persone. In particolare, dopo tre mesi di lockdown, il viaggio rappresenta un’utopia, intesa come un non luogo che necessariamente non serve esista sulle cartine ma che è necessario per rendere ogni giorno migliore. I toni leggeri sono una cifra che ormai mi accompagna, convinta che il modo migliore per affrontare le tempeste sia sorriderci sopra aspettando sottocoperta che passino.
Love trotter di Bea Buozzi SEM, 18 giugno 2020 pp. 250 € 17 (cartaceo) € 8,99 (ebook) CLICCA QUI PER COMPRARE IL LIBRO |
Diana è un’antieroina nel suo essere fragile e nel non mentire sulle insicurezze che porta con sé. E’ umana, sbaglia in molti campi della sua esistenza. Si attornia di persone che spesso non conosce, affronta scelte sopra le sue possibilità e rifiuta i consigli di chi le apre gli occhi, ma non si vergogna dei suoi errori che considera un valore aggiunto. Cade spesso, sbaglia di frequente, si spezza ma si rialza sempre. Diana è un vaso sbeccato e pieno di crepe ma ricostruito con la tecnica della colla d’oro giapponese. Forse non impara dai suoi errori ma se li tatua addosso, e cerca di migliorare ripartendo da essi. Accade che pianga ma mai che si pianga addosso. Quanto alle difficoltà Diana applica due teorie: la prospettiva del bicchiere, per cui non è mezzo vuoto ma solo in attesa di essere nuovamente riempito e quella dei piccoli passi, secondo cui, quando si affrontano difficoltà che hanno la fattezza di una montagna, bisogna solo guardare a terra, muovendo un passo dopo l’altro.
C’è una spiccata vena romantica in questa storia, scelta che in qualche modo contrasta con quelle che sembrano essere le tendenze recenti dell’editoria (ma anche dello spettacolo), di presentare eroine fuori dagli schemi, indipendenti, libere. Secondo te nel personaggio di Diana si avvera una sorta di mediazione fra questi due aspetti? Io per certi versi lo trovo coraggioso, come se volessi dare l’idea che in fondo possiamo desiderare entrambe le cose, senza vergognarci dell’una o dell’altra.
La scorsa settimana ho rivisto in tv credo per l’ennesima volta Notting Hill, ma pur conoscendo a memoria parecchie battute (ndr Cavalli e segugi), è stato come ritrovare un gruppo di vecchi amici. Di quelli a cui non devi dire nulla anche se sono passati anni ma che riconosci al primo sguardo. La commedia romantica, non so se sia di tendenza, ma è quella cioccolata calda da gustare in inverno mentre fuori nevica. È un little black dress che va bene su tutto. Anche se all’inizio, Diana è un’eroina contemporanea, emancipata nelle sue scelte, libera di gestire la sua indipendenza e il suo lavoro come meglio crede, poi, fa un percorso a ritroso, verso le radici e i valori veri, scoprendo che l’apparenza di cui si circondava era solo una cornice transitoria ed effimera.
Da addetta ai lavori ho trovato molto interessanti anche gli spunti sul mondo redazionale e della comunicazione in generale: le dinamiche di un giornale, la sfida del blog, la creazione di contenuti di qualità e la competizione… insomma, qui e là ci sono anche spunti utili per chi si approccia a questo mestiere!
I blog dalla loro comparsa hanno rivoluzionato l’approccio alla scrittura, assumendo un ruolo in alcuni brillanti casi, competitivo con interlocutori ben più rinomati. E’ il vantaggio della rete che consente di divulgare contenuti in tempo reale aprendosi a un pubblico potenzialmente illimitato. Oggi i blog continuano a offrire contenuti alternativi, magari più di nicchia e dedicati a un determinato target, sebbene la nuova frontiera della comunicazione ormai consolidata sia quella dei social network dove lo storytelling spesso strizza l’occhio a contenuti incrociati, in cui le immagini non sono più didascalie a supporto delle parole ma possono diventare il contenuto portante (penso ad Instagram o Pinterest) oppure, contenitori dove la sintesi costituisce il vantaggio competitivo (come Twitter).
Il viaggio, dicevamo, è il cuore pulsante della narrazione, al centro anche della tua esperienza con il progetto “naticonlavaligia”; eppure, una delle chiavi di lettura che mi è parso di ritrovare nel romanzo è, per contro, il concetto di “casa”: un luogo, ma soprattutto una rete di affetti. Prima fra tutti nel meraviglioso personaggio di Regina, la madre della protagonista. Sei d’accordo con la mia lettura? Cosa ne pensi?
La voglia di parlare di viaggi, è nata prima che ne fossi consapevole. Da bambina viaggiavo con un taccuino, battezzato “diario di bordo” su cui a fine giornata incollavo, carte di gomme da masticare, biglietti di treni o ingressi di musei e ognuno riportava un commento. Sebbene il viaggio appartenga al DNA di ogni nomade stanziale, sapere che al rientro ci sarà chi ci aspetta rende piacevole anche il ritorno. Perciò la famiglia o meglio le famiglie quella in cui si nasce, quella che si sceglie e quella degli amici che la vita regala sono radici imprescindibili. Regina è un personaggio che si è raccontato da solo, ed è la quercia che offre riparo a Diana senza mai giudicarla. Sa che le difficoltà sono trampolini verso la felicità e che ogni ostacolo è solo un’opportunità per ritrovarsi migliori. Crede che il tempo possa solo migliorare le cose ed è una sincera (ma mai superficiale) ottimista. E’ stata un compagno di viaggio ideale: lei e la rondine che porta sull’anello.
Intervista a cura di Debora Lambruschini
Riproduzione delle fotografie autorizzata dalla casa editrice
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