Come una storia d'amore
di Nadia Terranova
Giulio Perrone ed., maggio 2020
pp. 114
€ 15 (cartaceo)
Penso che prima o poi questa città me la toglierò di dosso con un coltello e sanguinante mi metterò sulla strada del ritorno a casa, ammesso che mi ricordi quale sia. (p. 95)
«L'unica è raccontersela come una storia d'amore»: sono parole che incontriamo verso la fine del nuovo libro di Nadia Terranova, uscito da poco per Giulio Perrone editore. Di primo acchito potrebbe sembrare una raccolta di racconti, e invece preferisco vederlo come un romanzo corale, in cui alcune donne alla ricerca di sé si fanno io-narranti per il tempo di uno squarcio nella loro vita, ma anche nella loro visione di Roma. C'è una Roma diversa per ognuna, una Roma che non è solo sfondo, ma testimone, compartecipe, oggetto di un corteggiamento che a volte porta a buon esito (o meglio, a un non-esito), altre volte a una incomprensione che crea l'inevitabile distacco.
Ecco perché possiamo vedere il rapporto tra le protagoniste e Roma come una storia d'amore, in cui talvolta, davanti all'ennesima non accettazione, si resta drammaticamente esclusi (come in Via della Devozione), talaltra ci si innamora nonostante certe contraddizioni che possono parere difetti (come in Corvi al Pigneto). Altre volte ancora Roma è teatro di piccoli grandi drammi familiari (come in Due sorelle), mentre in Il primo giorno di scuola raccoglie i desideri apparentemente strambi di una protagonista alla ricerca di sé:
In un settembre esageratamente triste mi ero messa in testa di studiare due cose: l'ebraico e le persone felici. (p. 30)
Sì, ci sono incipit così che lasciano completamente storditi per la loro asciutta pregnanza, e che si chiariranno via via, che troveranno compimento nel corso della storia, o che invece resteranno impigliati in un gorgo di pensieri della protagonista («Il giorno in cui sono entrata nella lavanderia sbagliata la mia vita era incagliata in una zona morta e quando avevo qualcosa da sbrigare nel mio quartiere la sbrigavo sempre pensando ad altro», p. 48). Ecco come, a volte ci si trova ad assistere a vicende prima impensate: quasi per caso, come si legge nell'incipit altrettanto bruciante di L'ora di libertà:
Mi siedo al centro del mondo, cioè nel bar più anonimo e sciatto del mio quartiere, dietro un bicchiere di vino frizzante e delle noccioline; detesto il frizzante e la vista delle noccioline mi nausea ma fa freddo, ho naso intirizzito, le orecchie intirizzite, le nocche fredde e blu. Qui dentro fa caldo, e mi basta. (p. 57)
Acclimatarsi: è un verbo che funziona bene per queste prime righe, ma è un verbo che può essere esteso a tutta l'opera; Roma è lì, policroma, multiforme, con epoche e forme che cozzano o che dialogano tra loro attraverso secoli e forme diverse di arte o di vandalismo. Eppure Roma è una amante conscia delle proprie potenzialità, ed è per questo che è molto esigente: chiede di essere accettata per quella che è, e le protagoniste di queste storie non hanno alternativa. Chi sceglie di non abitarla - preferendo forme di autoreclusione coatta (come nella prima storia) o virtuale (come in La felicità sconosciuta), resta automaticamente tagliato fuori. Perché in quest'opera Nadia Terranova racconta anche la solitudine, la piccolezza di chi si misura con grandi temi, dalla felicità al dolore, con quesiti che vanno ben oltre il contingente:
Esiste davvero, poi, il dolore degli altri? O registriamo la sua esistenza solo quando per semplice casualità sfiora e amplifica il nostro? (p. 72)
E gli echi tra le diverse storie tornano, sono echi talmente forti da risuonare e suggerire l'ipotesi, appunto, di un romanzo corale: ecco perché è bene, se vi avvicinate a Come una storia d'amore, leggere questo centinaio di pagine accettando il totale rapimento che nascerà fin dall'inizio. Da qualche storia veniamo inevitabilmente toccati in modo più intimo, per una profonda osmosi tra il nostro vissuto e quello delle protagoniste, ma, anche quando questo non succede, si resta profondamente ammirati dallo stile di Nadia Terranova: asciutto, dove serve, più ampio e sognante in alcuni brani dall'accento assolutamente lirico, come la lettera di chiusura dedicata a R., che al tempo stesso può essere Roma o un qualsiasi nome proprio.
GMGhioni
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