Heartbreaker
di Claudia Dey
Traduzione di Marina Calvaresi
Edizioni Black Coffee, 2020
pp. 295
€ 15 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
Cosa succede quando la fama dell'autrice precede, di gran lunga, il libro? A questa domanda, magari banale, magari capziosa, non abbiamo trovato scampo quando abbiamo preso in mano, per la prima volta, Heartbreaker di Claudia Dey. Già perché Dey è sicuramente un nome molto importante per il mondo culturale canadese (e anglo-americano in generale). Infatti è una sceneggiatrice di successo, nonché autrice di film horror e pure cofondatrice di un marchio di abbigliamento che definire cool è riduttivo, visto che stiamo parlando di Horses Atelier. Insomma un personaggio a tutto tondo, quindi, che già con Stunt, il suo romanzo precedente, aveva fatto molto parlare di sé. Eppure abbiamo davanti, anzi tra le mani, Heartbreaker, in una bella edizione Black Coffee tradotta egregiamente da Marina Calvaresi. E allora com'è questo libro? Beh, semplice, questo libro è una montagna russa.
Il paragone con l'iconica attrazione da parco di divertimenti non è peregrina perché si presta, almeno a nostro avviso, ottimamente nel descrivere e la tecnica narrativa del romanzo e la nostra personale fruizione, anche a livello di gusti e di altalena di emozioni, dello stesso. Perché se una scrittrice ambienta il proprio libro nell'anno 1985, vi inserisce un sacco di citazioni di musica pop del periodo e, come se non bastasse, tratteggia atmosfere da classico film anni Ottanta, deve per forza prevedere che i riferimenti a serie cult di questi ultimi anni come Stranger Things si sprecheranno, sia in sede di recensioni che in sede di collegamenti da parte del pubblico. Però, e qui Claudia Dey riesce a fare sin da subito un netto scarto con questi epigoni, se state aspettando la classica storia anni Ottanta, beh, verrete spiazzati, almeno per due ragioni.
La prima è che Dey costruisce il proprio romanzo con una sintassi molto particolare, fatta di frasi secche e, solo apparentemente, non concluse. Un linguaggio particolare, che rende bene l'idea di un calco sia dal parlato che dal pensato dei protagonisti. Protagonisti che sono altrettanto particolari, vero com'è che la famiglia di Pony Fontaine, la ragazza adolescente con la quale si apre il libro, non è proprio la classica "famiglia in blue-jeans", per citare l'omonima serie di grande successo degli anni Ottanta. No, tutto il contrario, e qui sta il secondo grande elemento spiazzante.
Heartbreaker è ambientato nel bel mezzo di una sorta di comunità "pseudo-mormonica": lì, praticamente ai confini della civiltà, un gruppo di persone, ribattezzate "padri pellegrini", ha installato una specie di "villaggio ideale" in cui donne e uomini seguono regole precise, abbastanza bislacche e dove la vita è, per davvero, una vita di comunità. L'unico elemento che squaderna questo ordine prestabilito è la presenza, anzi per meglio dire, l'apparizione, quasi epifanica, di Billie Jean Fontaine, che non è solo la madre di Pony, ma anche l'unica nota dissonante in uno spartito magari povero di note ma coerente con se stesso rappresentato dal gruppo dei padri pellegrini.
Ecco questi due grandi scarti fanno sì che il libro in questione non sia un libro derivativo, ma possieda una forte, anzi fortissima anima propria. Un'anima talmente particolare che potrebbe risultare davvero stornante per il lettore. E qui, scusandoci forse per il ritardo, andiamo a spiegarvi il perché abbiamo usato la similitudine con le montagne russe per Heartbreaker. Il romanzo di Claudia Dey, va detto, inizia in maniera non semplice per il lettore casual. Infatti occorre abituarsi alla già citata lingua del libro, piena di scatti, di non detti e di frasi a metà.
Poi però, grosso modo dopo un'ottantina di pagine, pure meno, il libro ingrana e ci sono momenti di grande livello, come ad esempio il capitolo dedicato al cane, l'inseparabile cane di Billie Jean che, molto probabilmente, è la parte migliore di tutte. Ecco, qui Heartbreaker raggiunge l'apice dell'ideale montagna russa: siamo sulla vetta, vediamo tutto dall'alto e già pregustiamo la discesa, ripida e improvvisa certo ma anche piena di sorprese. Billie Jean è infatti una ragazza, e poi una madre, che appare letteralmente dal nulla, un giorno come tanti, un giorno come tutti, quando scende, anzi proprio si getta da una berlina in corsa rischiando l'osso del collo. Appare senza una ragionevole spiegazione e all'improvviso. Non è un angelo, ma un messo proveniente dal mondo esterno, quel mondo che, volenti o nolenti, la comunità aveva posto ai margini della propria esistenza, essa stessa nata dai margini della civiltà americana.
Dopo questo momento centrale del libro, che dura a lungo e conquista la curiosità del lettore, inizia la parte finale e la discesa. La discesa c'è, ed è il lento ma costante disvelamento della backstory di Billie Jean, che diventa trama principale. E quindi la tensione che il lettore ha accumulato nella prima parte centrale, diciamo così, via via viene soddisfatta e scaricata verso la fine, quasi verso la fine però. Già, perché quasi al termine della storia, ecco che il libro, di nuovo, quasi si blocca, e ritorna a macinare lentamente come all'inizio di una montagna russa.
Non sappiamo se sia stato voluto da Dey questo doppio rallentamento oppure sia capitato, tuttavia, a nostro avviso, se il primo è perfettamente diegetico al dipanarsi della storia, il secondo ci è apparso abbastanza anti-climatico, specie per un romanzo che eravamo convinti di avere finalmente "in mano", dopo aver compreso la sua lingua e il suo modo di dipanarsi davanti a noi e invece, all'ultimo, ci è sfuggito.
In conclusione, comunque, come avrete capito, questo Heartbreaker è una di quelle giostre che, nel luna-park della letteratura di questo strano anno, conviene proprio che non vi perdiate. Anche a costo di rimanere un poco delusi quando scenderete: ma l'emozione di essere arrivati in cima con le vostre game o, per meglio dire, con i vostri occhi, sarà un'emozione unica e preziosa.
Mattia Nesto