Pillole d'Autore: la metafollia di Henry Miller in "Tropico del Cancro"

Henry Miller 
Tropico del cancro
Feltrinelli, 2013 

Traduzione di Luciano Bianciardi 

Pp. 272 
€ 9,50 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)

Pubblicato nel 1934 dalla casa editrice parigina Obelisk Press, sotto la guida dal padre di quel Maurice Girodias che poi rifonderà la casa editrice paterna con il nome di Olympia Press e che vent’anni dopo sarà l’unico a voler pubblicare Lolita di Vladimir Nabokov. Stampato e distribuito clandestinamente negli anni ‘60 dalla Feltrinelli, nella meravigliosa traduzione di Luciano Bianciardi che, pregio davvero unico per una traduzione, riesce a non invecchiare. Basta pensare alla storia di questo libro per capire che quando abbiamo in mano Tropico del Cancro, teniamo in mano un mondo. Un libro che non si fa rinchiudere nello spazio delle pagine, che inizia ben prima di pagina uno, e termina senza una conclusione; che spalanca le porte al mondo intero, a tutta la società degli artisti parigini più poveri e immorali, popolando le sue pagine con un turbinio che, come dice Mario Praz nella sua prefazione, ricorda un po' un quadro di Hieronymus Bosch. Allo stesso modo in cui Miller fa entrare il mondo nelle sue pagine, non può esimersi dal parlare del sistema letterario in cui è immerso, in un movimento centrifugo che viaggia da Rimbaud a Dante Alighieri, passando per Goethe, per poi tornare ogni volta con una brusca virata proprio qui, al libro che abbiamo in mano. 
Per noi, lettori di un altro secolo, forse la feroce novità del libro si è persa, e le suggestioni che cerchiamo nei libri sono ormai altre; ma l’autoconsapevolezza di star scrivendo un’opera inaudita per la propria epoca è ben presente in Miller, e informa tutti quei brani in cui il libro parla di sé stesso, decostruendosi, per poi ricostruirsi sotto i nostri occhi. Lasciamo la parola a Henry Miller. 

E questo allora? Questo non è un libro. È libello, calunnia, diffamazione. Ma non è un libro, nel senso usuale della parola. No, questo è un insulto prolungato, uno scaracchio in faccia all’Arte, un calcio alla Divinità, all’Uomo, al Destino, al Tempo, all’Amore, alla Bellezza… A quel che vi pare. Canterò per voi, forse stonando un po’, ma canterò. Canterò mentre crepate, danzerò sulla vostra sporca carogna.
Per cantare bisogna prima aprire la bocca. Ci vogliono un paio di polmoni, e qualche nozione di musica. Non occorre avere fisarmonica, o chitarra. Quel che conta è voler cantare. E dunque questo è canto. Io canto. (p. 15)

Una sola cosa m’interessa, ora, e ha per me un’importanza vitale: registrare tutto quello che nei libri è omesso. Nessuno, che io sappia, ha usato finora quegli elementi che sono nell’aria, e che danno scopo e motivo alla nostra vita. Soltanto gli assassini paiono trarre dalla vita una sufficiente contropartita per ciò che vi mettono di loro. Il secolo vuole violenza, ma abbiamo soltanto esplosioni abortive. Le rivoluzioni sono tagliate verdi, oppure riescono troppo in fretta. La passione si estingue subito. Gli uomini ripiegano sulle idee, comme d’habitude. Nulla dura più di ventiquattr’ore. Viviamo un milione di vite nello spazio di una generazione. Dallo studio della entomologia, o della vita nelle profondità marine, o dell’attività cellulare, noi ricaviamo più…
Il telefono interrompe questo pensiero, che non sarei mai riuscito a completare. Viene qualcuno per affittare l’appartamento… (p. 24)

Proprio stamani, andando all’ufficio postale, abbiamo dato al libro l’imprimatur definitivo. Abbiamo messo assieme una nuova cosmogonia della letteratura, Boris ed io. Sarà una nuova Bibbia, l’ultimo libro. Tutti quelli che han qualcosa da dire la diranno, là dentro, anonima. Daremo fondo alla nostra epoca. Dopo di noi non più libri, almeno per una generazione. Finora abbiamo scavato nel buio, solo l’istinto ci ha guidato. Ora avremo un recipiente in cui versare il liquido vitale, una bomba che, a gettarla, sconvolgerà il mondo. Ci metteremo dentro quanto basta per dare agli scrittori di domani trame, drammi, poesie, miti, scienze. Il mondo si potrà nutrire del nostro libro per mille anni a venire. Solo a pensarci quasi ci annienta.
Per cento anni e più il mondo, il nostro mondo, è stato in agonia. E non un uomo, in questi ultimi cento anni, è stato abbastanza pazzo per mettere una bomba nel buco del culo del creato e di farlo saltare in aria. Il mondo marcisce, muore a poco a poco. Ma ci vuole il coup de grâce, ci vuole, per farlo andare in pezzi. Nessuno di noi è intatto, eppure abbiamo in noi tutti i continenti e i mari che stanno fra i continenti e gli uccelli dell'aria. Noi dobbiamo sopprimerla, l'evoluzione di questo mondo che è morto ma che ancora non è stato sepolto. Noi nuotiamo alla superficie del tempo e ogni altra cosa è annegata, sta annegando, annegherà. Sarà un fatto enorme, il libro. vi saranno oceani di spazio in cui muoversi, deambulare, cantare, ballare, arrampicarsi, bagnarsi, far salti mortali, gemere, violentare, assassinare. Una cattedrale, una cattedrale vera e propria, alla cui edificazione contribuiranno tutti quelli che han perduto la propria identità. Ci saranno messe per i poveri morti, preghiere, confessioni, inni, lamenti funebri e chiacchiere, una specie di criminale sventataggine; ci saranno rosoni e gronde scolpite e accoliti e altri a reggere i cordoni del carro funebre. Si potrà entrare coi cavalli al galoppo per le navate. Si potrà battere la testa contro i muri: non cedono. Pregare nella lingua preferita, accovacciarsi sugli scalini e dormire. Durerà mille anni almeno questa cattedrale, e non ci saranno repliche perché i costruttori saranno morti e la formula anche. Faremo stampare cartoline, organizzeremo giri turistici. Costruiremo una città attorno alla cattedrale, creeremo una libera comunità. Non ci occorre il genio: il genio è morto. Ci occorrono mani forti, spiriti disposti a piantarla con i fantasmi e a mettere su carne… (p. 37)

“Un giorno scriverò un libro su di me, sui miei pensieri. Non voglio dire un saggio di analisi introspettiva… voglio dire che mi stenderò sul tavolo operatorio e metterò in mostra le budella… ogni cosa, accidenti. Qualcuno l’ha già fatto prima? Di che diavolo sorridi? Ti sembra ingenuo?” (p. 132)

Pure, non riesco a levarmi di mente lo scarto che c’è fra idee e vita. Uno scarto permanente, per quanto noi cerchiamo di celarlo con una lucida tenda. E non va. Le idee debbono sposarsi all’azione; se in loro non vi è sesso, non vi è vita, non c’è azione. Le idee non possono esistere da sole nel vuoto del pensiero. Le idee sono in rapporto con la vita: idee di fegato, idee di reni, idee interstiziali, ecc. Se fosse stato sol per amore d’un’idea, Copernico non avrebbe infranto il macrocosmo esistente e Colombo non avrebbe dato alla fonda nel Mar dei Sargassi. L’estetica dell’idea produce vasi di fiori e i vasi di fiori si mettono alla finestra. Ma se non c’è né pioggia né sole a che serve mettere i fiori fuori della finestra? […] Fino ad oggi, per quanto mi riguarda, ho avuto idea di abbandonare la base aurea in letteratura. La mia idea, in breve, è di offrire una resurrezione dei sentimenti, di raffigurare la condotta di un essere umano nella stratosfera delle idee, cioè in un accesso di delirio. (p. 229)

E dopo che tutto mi fu passato tranquillamente di capo provai una gran pace. […] Così quieta scorre la Senna che quasi non ti accorgi della sua presenza. È sempre lì, tranquilla e discreta, come una grande arteria che scorre nel corpo dell’uomo. Nella quiete meravigliosa che calava su di me, mi parve d’aver scalato la vetta d’un alta montagna; per un poco potevo guardarmi attorno, cogliere il significato del paesaggio.
Le creature umane formano una strana fauna, una strana flora. Da lontano paiono trascurabili; da vicino possono sembrare brutte e cattive. Ma soprattutto occorre che abbiano intorno aria, spazio sufficiente – spazio, anche più che tempo.
Il sole tramonta. Sento questo fiume che scorre dentro di me, il suo passato, la terra antica, il clima mutevole. Le colline gli fan dolce corona: il suo corso è stabilito. (p. 295)


Cappello introduttivo e selezione dei passi a cura di Marta Olivi
Riferimenti bibliografici: ed. Feltrinelli, Collana Universale Economica, 11° edizione (1988)



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“E questo allora? Questo non è un libro. È libello, calunnia, diffamazione.” Sicuramente non si può dire che non siamo stati avvertiti; la falsità non si può annoverare tra le numerose accuse imputabili all’opera d’esordio di Henry Miller, ambientata e pubblicata nella Parigi degli anni ’30. Dopo quasi un secolo di peripezie editoriali, come il processo per pornografia negli Stati Uniti e la vendita sottobanco in Italia, la potenza di questo romanzo giunge al lettore di oggi ancora immutata. Un vero e proprio attacco frontale, che dapprima ci indigna, e poi ci scaraventa in un vortice di visioni inaudite. Con un unico scopo: “registrare tutto quello che nei libri è omesso.” A breve sul nostro sito, le #pilloledautore di Tropico del Cancro a cura di @m.andorla. . #criticaletteraria #consiglidilettura #libromania #librisulibri #bookish #instabook #books #bookoftheday
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