Il mio Morandi
a cura di Luigi Magnani
Johan & Levi, 2020
pp. 148
€ 16,15 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Accade talvolta di assistere al felice istante in cui la lingua italiana raggiunge la miglior espressione di forma, concetto e fine, un momento di rara bellezza nella selva di una comunicazione bistratta da vocaboli stranieri ed una forzata modernizzazione, che spesso creano un senso di profondo estraniamento ed alienazione nel lettore. Un libro raffinato, Il mio Morandi, che racchiude tra le sue pagine sentimenti di vera amicizia e stima, tra il collezionista Luigi Magnani (1906-1984) e l’artista Giorgio Morandi (1890-1964). A partire dal dolce utilizzo di quel “mio” nel titolo dell’opera, è possibile intuire il profondo legame, che legava i due fini pensatori, una simbiosi di opposti, che si incontravano nella contemplazione metafisica di spazi, natura e luce. Il mio Morandi di Luigi Magnani fu pubblicato per la prima volta negli anni Ottanta e riedito da Johan & Levi in occasione della mostra L’ultimo romantico, dedicata al collezionista, presso la Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo, nell’ambito delle iniziative per Parma Capitale Italiana della Cultura 2020.
All’interno della Villa dei Capolavori, sede della Fondazione Magnani-Rocca, un tempo abitazione di Luigi Magnani, sono conservati capolavori dell’arte di inestimabile valore e dal respiro internazionale. Opere di Dürer, Tiziano, Rubens, Goya, Monet, Renoir, Canova e Cézanne, condividono lo spazio con un’ampia collezione di quadri di Giorgio Morandi, creati in diversi salienti passaggi del percorso creativo del Maestro bolognese.
Morandi fece dell’isolamento una naturale condizione d’esistenza, preferendo essere compreso ed apprezzato da pochi estimatori, rifuggendo l’esposizione mediatica ed il clamore della massa. Visse con le tre sorelle, Anna, Dina e Maria Teresa all'interno dello spartano atelier-appartamento in via Fondazza a Bologna, facendo della contemplazione una forma di raffinata arte visuale. Una poetica del silenzio e dell’analisi contemplativa dello spazio, delle forme e cromie cittadine rievocate in oggetti di uso quotidiano, una sobria disciplina dell’anima, che sembrano ancor più apprezzabili in questo preciso momento storico che coinvolge tutta l'umanità. Un periodo in cui la pandemia, causata dal Covid19, ha costretto milioni di persone all’isolamento forzato, portando l’attenzione dell’individuo verso un vissuto scandito da ritmi lenti ed introversi, monotoni a tratti e contemplativi.
La profondità intellettuale, delle osservazioni filosofiche delle dinamiche sottili del cosmo, dà vita all'ossessiva, quanto pacata, rappresentazione su tela di un universo di sfumature, incarnate da archetipi che, se guardati distrattamente rischiano di essere fraintesi ed associati al loro uso comune, mentre obbediscono a logiche e fantasie creative ben più complesse, di un mondo immaginato ed immaginifico di architetture emozionali, che reinventano l'oggetto slegandolo dalla sua primaria funzione d'utilizzo.
L’attento occhio di Magnani, che ama circondarsi dei più fini pensatori del suo tempo, riesce a cogliere la “fenomenologia” morandiana in tutte le sue declinazioni, proteggendola, accudendola e consegnandola al futuro.
“Mostrandomi una pietra ebbe a dirmi: “Anche questa potrà divenire un giorno oggetto dell’arte futura”, e che ai fini dell’arte “non v’era grande differenza tra un bosco e il complesso delle nervature di una foglia, tra un sasso e una montagna”. Lo aveva detto anche Cézanne che egli riecheggia.”
La metafisica di Morandi, dal fascino misterioso, si distingue dai contemporanei De Chirico e Carrà, la sua innata predisposizione all’arte della misura, crea dialoghi rarefatti tra oggetti apparentemente estranei, esasperando il senso di isolamento, identificando in questa coscienza del limite un alto valore morale di stampo ellenico.
Si possono cogliere tutte le sfumature del percorso concettuale di Morandi tra le pagine del libro di Magnani, che si propone al lettore come una squisita disanima della produzione artistica, ma anche un’esperienza sinestetica ai confini tra critica e poetica, completata da un nutrito corpus di lettere scambiate tra il collezionista e l’artista fino al giorno della sua morte, avvenuta nel 1964. L’ideale patto di Morandi con gli elementi della natura, viene esposto con meticolosa documentazione delle diverse fasi che hanno costituito con coerenza l’opera di uno degli artisti più identificativi del ‘900 italiano, analizzando i diversi rapporti con l’Impressionismo, il Futurismo ed il Cubismo.
“I giovani non sanno più vedere” lamentava Morandi; un vedere che non si limitasse a percepire l’occhio delle cose, ma che animasse la loro materialità, che come voleva Goethe, procurasse al concreto “L’onor dell’idea”; il vedere di un occhio che è già in se stesso esigenza di creazione, per cogliere l’oggetto quale immagine contemplata e trasportata dalle semplici forme naturali nella sfera ideale dell’arte e dello stile, secondo la sua misura.
Il mio Morandi è una lettura intensa, che definirei “trasformativa”, in grado di accendere la passione per la conoscenza “alta”, attraverso il racconto di un’amicizia nata nel 1940, anno che segna l’incontro tra queste due personalità affascinanti ed uniche, destinate a lasciare un segno di generosa bellezza nel paesaggio culturale internazionale.
Il libro è arricchito da una prefazione di Stefano Roffi, direttore scientifico della Fondazione Magnani-Rocca, e da una postfazione di Daniela Ferrari sulla critica morandiana.
Elena Arzani
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