La mente del corvo. Ricerche e avventure con gli uccelli-lupo
di Bernd Heinrich
Adelphi, 2019
Titolo originale: Mind of the Raven. Investigations and Adventures with Wolf-Birds
Traduzione di Valentina Marconi
€ 35,00 (cartaceo)
€ 14,99 (ebook)
€ 14,99 (ebook)
Più di cinquecento pagine dedicate a usi, costumi, peculiarità, curiosità sui corvi. Perché? Vedo la domanda stamparsi negli occhi sbarrati dei miei interlocutori, quando accenno sottovoce all’impresa in cui mi sono imbarcata. Le risposte sono molteplici e aumentano col procedere delle pagine lette, anche se alle prime venti verrebbe da rispondere: “Non ne ho idea”.
Dunque, innanzitutto perché si tratta del terzo volume di Animalia, preziosa collana di Adelphi dedicata all’etologia animale, che mi aveva già dato grandi soddisfazioni con i primi due (trovate qui e qui le recensioni ai primi due) e che promette sempre nuove meraviglie. In secondo luogo, il corvo è un animale affascinante, non a caso protagonista di miti e opere letterarie, oggetto dell’osservazione di storici e naturalisti fin dall’antichità (si pensi ai commenti di Tucidide e Plinio il Vecchio).
I corvi dipendono biologicamente da animali di grossa taglia. Quando gli uomini erano cacciatori, i corvi erano compagni rispettati e ispiratori di poeti e diedero origine a numerosi miti sulla creazione. Se c’erano dei corvi in zona, i grandi mammiferi non potevano essere lontani. I corvi erano sinonimo di cibo e felicità. Ma le cose cambiarono quando diventammo allevatori sedentari. I corvi si trasformarono presto in presunti sterminatori di agnelli, vennero visti come uccelli del malaugurio e profeti di sventura. furono perseguitati senza sosta perché venivano associati alla morte e al male. La loro capacità fisica di uccidere era stata sopravvalutata, mentre la complessità e la raffinatezza delle loro risposte comportamentali, che sono la loro vera forza, erano state sottovalutate. (p. 225)
Un animale forse non simpatico, sublime devastatore degli spazi domestici, con un carattere particolare per cui chi si propone di addestrarlo, finisce in realtà per esserne addestrato. Eppure indubbiamente intrigante. Lo pensa sicuramente Bernd Heinrich, professore di Biologia all’Università del Vermont, che ha dedicato più di un ventennio allo studio attento della specie, compiendo esperimenti sul campo e allevando diversi esemplari in alcune voliere appositamente predisposte. La sfida, lo confessa fin dalla Prefazione, è molto ardua: è difficile infatti osservare il Corvus corax, il corvo imperiale, nel suo ambiente, per la naturale timidezza della specie, ma anche per via dei continui spostamenti dei gruppi non residenti; senza contare che la specificità individuale – la personalità – dei singoli esemplari rischia di rendere difficoltosa la formulazione e la conferma di ipotesi generali.
L’elemento di forza del volume di Heinrich, che riesce a far scorrere con insospettabile rapidità le centinaia di pagine di cui è composto, è una sapiente combinazione tra gusto narrativo e ironia. Se la quantità di dati raccolti è enorme, così come le informazioni fornite al lettore, altrettanto fitta è l’aneddotica con cui viene arricchita la trattazione. Appare invece attenuata, per deliberata presa di posizione, la parte valutativa, di cui a tratti si avverte la mancanza: per l’autore, è più importante l’osservazione, la descrizione dei fenomeni, piuttosto che la pretesa di etichettare e fornire puntuali spiegazioni per tutto. Il mondo dei corvidi è infatti talmente variegato che “non saremo mai in grado di comprendere tutto ciò che accade nella mente di un corvo: come l’infinito, è una meta irraggiungibile. Ma la parte interessante è il viaggio” (p. 24). Certo è che, se il viaggio dura tanto quanto il libro, si sente a tratti l’esigenza di qualche punto fisso che vada oltre la pur curiosa e avvincente esplorazione di casi ed episodi. E se non si può dire che manchino del tutto, certo è che sono nettamente minoritari rispetto alla sezione di resoconto di quanto visto, notato, esperito.
Per il lettore profano, del resto, i capitoli più gustosi sono quelli in cui ci si allontana dalla ricerca scientifica per dar spazio alle avventure rocambolesche e spesso divertenti di cui Heinrich è stato protagonista nelle sue interazioni con la specie in esame. Ad esempio, in quello dedicato a “Un corvo in famiglia”, si narrano le storie di Jakob e Merlin, due corvi “domestici”, a modo loro, piccoli ed equilibrati dittatori nel cosmo ordinato di un appartamento, o di una roulotte.
Quanto poteva impiegare un corvo a distruggere un appartamento? Secondo i miei calcoli, non più di tre minuti, massimo cinque. Forse il dottore viveva in una caverna, l’unico ambiente chiuso in cui riuscivo a immaginarmi il piccolo terrorista urbano? [...] Mentre salivo in ascensore per raggiungere l’appartamento al quarto piano, mi immaginai di trovarmi davanti una scena simile ai postumi della visita di un elefante nella proverbiale cristalleria, anche se sapevo che un corpo avrebbe agito con più metodo e curato la distruzione dei dettagli. (p. 70-71)
Oltre a quelli degli altri, poi, lo studioso osserva con gusto anche i propri pennuti, considerati alla stregua di parenti a tratti dispettosi. Nel corso del volume, nel vederli crescere e ritornare attraverso i capitoli, si finisce per affezionarsi a Golia, Pennabianca, Ciuffo, Houdi, Mancina... pur sapendo che quello con loro, per il loro “padre putativo”, non potrà che essere un rapporto a termine, poiché il corvo rimane un animale fondamentalmente libero, non realmente addomesticabile. Così diventa un piacere, per l’autore come per il lettore, anche vederli acquistare un’autonomia e magari andarsene, intraprendendo finalmente la loro strada.
Il lavoro dello studioso dei corvidi richiede enorme pazienza, una discreta abilità nello scalare tronchi altissimi e pareti rocciose, e può essere anche abbastanza frustrante, perché l’osservazione continua solleva molte domande e offre di contro poche risposte definitive. E, tuttavia, nel testo non mancano parentesi liriche dedicate alla meraviglia tanto del mondo animale, quanto del paesaggio, poiché “la natura è il paradigma di verità e bellezza” (p. 105) e Heinrich ha modo di esplorarla di frequente, di viverla con intensità, nel corso delle sue ricerche.
La vita dei corvi non viene esaminata nel volume soltanto per quanto riguarda i singoli individui o i rapporti tra appartenenti alla stessa specie, ma anche nelle relazioni con altri animali.
Particolarmente interessante risulta allora la sezione dedicata ai corvi come “uccelli-lupo” o “uccelli-uomo”, storicamente ed evolutivamente predisposti a creare legami vantaggiosi con i cacciatori più abili. Per avere prove di questo, l’autore coinvolge alcuni ricercatori attivi nel parco di Yellowstone, dove si reca anche di persona, per osservare le interazioni tra corvi e lupi e verificare come i corvi siano in grado di instaurare un rapporto quasi simbiotico, di reciproca utilità e cooperazione, con i branchi locali. Non è un caso se, nel folklore, le due specie sono spesso associate. Lo stesso, del resto, vale per corvi e uomini, soprattutto nelle leggende norrene o nord europee in senso lato. Odino, ci ricorda l’autore, detto anche dio Corvo, “aveva sempre due lupi al suo fianco e due corvi sulle spalle. I lupi e i corvi lo accompagnavano a caccia e in battaglia. I corvi sono dunque associati ai lupi da migliaia di anni, ma sono anche associati alla mente, agli uomini e agli dei” (p. 361). Per studiare la sussistenza di un legame tra corvi e uomo in un contesto non condizionato dalla violenza, Heinrich ha deciso di raggiungere l’Artide, dove tra i cacciatori eschimesi e i corvi questa “relazione atavica” pare essersi mantenuta. La descrizione dell’avventura è suggestiva e all’insegna della scoperta dell’ignoto:
Non appena misi piede a terra a -29 gradi, sotto una leggera nevicata, avvistai immediatamente i corvi che volavano a coppie o in gruppi di tre contro lo sfondo del cielo bianco che si confondeva con il mare e con la terra. Il profilo degli uccelli spiccava netto contro le nuvole. I loro richiami erano immediatamente riconoscibili, anche se parlavano un dialetto diverso da quello a cui ero abituato. Da quel momento in poi, quasi ogni giorno sentir richiami o variazioni di suoni che non avevo mai udito prima. (p. 364)
Particolarmente intrigante risulta l’ipotesi che, in contesti particolari, corvi e umani siano diventati complici e quasi compagni di caccia, sfruttando a proprio vantaggio le attitudini dell’altra specie, così come la batteria di esperimenti tentati per sondare l’effettiva intelligenza dei corvi, la loro socialità, o l’esistenza di una coscienza. Nel complesso, il volume di Bernd Heinrich esplora qualunque aspetto della vita del corvo il lettore possa immaginare, e si spinge ben oltre, nel guardare a quella che si configura come una realtà animale oggettivamente complessa da molteplici punti di vista. Certo, a differenza dei precedenti volumi della collana, questo è il più specificamente centrato sull’etologia del suo protagonista, mancando di quella teoria filosofica di fondo che animava gli altri e li rendeva più adatti anche a un pubblico di “umanisti”. Pur senza scoraggiare del tutto loro, questo rimane un saggio ricchissimo, adatto maggiormente ai cultori delle scienze, che troveranno al suo interno tante e tali curiosità da guardare definitivamente al corvo con occhi nuovi.
Carolina Pernigo
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