di Sharon M. Draper
Feltrinelli, 2017
Titolo originale: Out of My Mind
Traduzione di Alessandro Peroni
pp. 256
€ 13,00 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
Melody ha undici anni e non ha ancora mai detto neanche una parola. Melody infatti è affetta da tetraplegia spastica, una sindrome che limita il corpo, ingabbiando nel suo caso una mente particolarmente funzionante e ricettiva. Fin da quando è piccola, la bambina capisce infatti tutto ciò che accade intorno a lei, memorizza un incredibile bagaglio di parole, assimila concetti e conoscenze, anche in virtù di una spiccata memoria fotografica... eppure, al di fuori dei suoi genitori e della signora V, nessuno lo sospetta: tutti si fermano al suo corpo contratto, ai movimenti inconsulti degli arti nei momenti delle crisi, al fatto che non possa esprimersi se non con versi gutturali e a tratti sbavi. Nessuno immagina la sua ironia, la sua sensibilità, la sua lucidità nel guardare al mondo e comprendere le persone:
Ci sono così tante cose che la mamma non sa. Sono incapace di dimenticare qualcosa: tengo stipato nella mente ogni attimo della mia vita. Credo che sia un bene, ma è anche molto frustrante. Non posso condividere niente di tutto questo con gli altri, e niente se ne va mai via. […]
La maggior parte della gente non è consapevole del vero potere delle parole. Io invece sì.
I pensieri hanno bisogno di parole. Le parole hanno bisogno di voce. Io adoro il profumo dei capelli appena lavati della mamma. Adoro sentire la barba ispida del papà, prima che si rada.
Ma non mai potuto dirglielo. (p. 14, 15)
Sharon M. Draper è abile nel descrivere la frustrazione di chi non può comunicare l’universo che si porta dentro e si trova invece a fare i conti con la cecità, o con la schietta stupidità, del prossimo, spesso accresciute da timori infondati e pregiudizi (che non coinvolgono necessariamente solo i suoi coetanei, ma anche troppi adulti). Melody (Out of My Mind, nel titolo originale, decisamente più centrato) è la storia di una crescita, del tentativo di una ragazzina di fuoriuscire da una bolla, che è quella determinata dalla sua condizione, ma anche dall’isolamento imposto dagli altri, o dal desiderio di protezione dei famigliari, talvolta ulteriormente limitante. Dalla bolla si esce grazie alla forza di volontà, a persone che sanno guardare oltre la superficie, alla presenza di modelli forti (come l’inarrivabile Stephen Hawking) e alla intuizione che la tecnologia può arrivare laddove il corpo non riesce. Saranno quindi delle macchine (una sedia a rotelle automatica, un computer specifico con sintetizzatore vocale) a ridare autonomia, ma soprattutto la parola, a Melody, e a metterla nella condizione per farsi conoscere e provare a realizzare un’ambizione personale: “Mi sento come Cristoforo Colombo che scopre l’America. Era sempre stata lì, ma fu lui il primo al mondo a trovarla. Mi chiedo se gli battesse il cuore come a me adesso” (p. 115).
Molto adatto alla lettura per una scuola secondaria inferiore, ma anche per il primo biennio della superiore, questo romanzo colpisce per il desiderio di non semplificare una tematica molto sfaccettata: l’inclusione del disabile è complessa, non pienamente realizzata neanche a livello scolastico.
Nella prima parte del volume, Melody rimane chiusa, insieme ad altri ragazzi “speciali” in una stanza dall’arredamento stucchevole e infantile, costretta da insegnanti spesso inadeguati a ripetere all’infinito l’alfabeto, o le addizioni, ascoltando canzoncine per bambini. Gli studenti dell’aula H-5 sono considerati un grande unicum al di là delle specificità individuali molto marcate e delle differenti patologie che li affliggono, e tenuti imprigionati in una sorta di stasi infinita, almeno fino all’arrivo di una docente illuminata che lotterà per farli partecipare maggiormente alla vita dell’istituto. Anche quando i ragazzi vengono accolti nelle classi regolari, peraltro, la ricezione da parte degli altri insegnanti e studenti non è sempre sana e naturale: talvolta nasconde una irrisione neanche troppo velata, spesso si ingolfa su un imbarazzo e un disagio che i portatori non sanno gestire, a tratti si ammanta infine di un pietismo inutile e sgradito. E, se c’è chi non se ne rende conto ed è comunque contento, così non è per Melody, attenta decifratrice delle espressioni e dell’animo umano, molto sensibile ai pensieri altrui.
Anche la scelta di Draper di non risolvere tutti i nodi in un finale lieto e compiacente si rivela quella giusta: non sarebbe infatti verosimile una conclusione in cui tutte le tensioni vengono accomodate, tutti i pregiudizi stemperati, tutte le persone miopi riportate a più lungimiranti visioni del mondo. Quello su cui si può lavorare è invece la crescita interna della protagonista, che impara a trovare il proprio posto nel mondo, ad accettare se stessa per quello che è e a capire cosa sia veramente importante per lei. Il percorso è in parte simile a quello descritto da un altro caposaldo della letteratura per ragazzi, Wonder di R.J. Palacio, ugualmente efficace dal punto di vista narrativo, ma meno problematizzante in relazione alla tematica affrontata. Melody è allora una lettura che ogni insegnante può senza indugio aggiungere alla lista dei consigli per l’estate, in quanto portatrice di valori positivi, di spunti di riflessione trasmessi attraverso una prosa lieve, lineare e accessibile, ma anche in quanto strumento possibile di maturazione dell’empatia nei confronti della diversità in tutte le forme in cui si può manifestare.
Carolina Pernigo
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