Memorie d'una ragazza perbene, prima parte dell'autobiografia di Simone de Beauvoir, già nel titolo condensa i punti chiave di uno sfaccettato percorso esistenziale e narrativo.
Nella parola "memorie" si esprime la scrittura dell'io: de Beauvoir scrive se stessa attraverso il ricordo, si definisce nell'analisi e nella rievocazione di un passato tutto personale che la porta a dire al lettore: ecco chi ero ed ecco chi sono.
Nell'immagine "d'una ragazza perbene" trova voce una lunga ricerca. Il punto di partenza del viaggio è l'ambiente sociale dell'alta borghesia francese; il punto di arrivo sta nella somma di tutte le esperienze che hanno fatto di lei una delle più grandi scrittrici, saggiste, filosofe e femministe del Novecento.
Nella parola "memorie" si esprime la scrittura dell'io: de Beauvoir scrive se stessa attraverso il ricordo, si definisce nell'analisi e nella rievocazione di un passato tutto personale che la porta a dire al lettore: ecco chi ero ed ecco chi sono.
Nell'immagine "d'una ragazza perbene" trova voce una lunga ricerca. Il punto di partenza del viaggio è l'ambiente sociale dell'alta borghesia francese; il punto di arrivo sta nella somma di tutte le esperienze che hanno fatto di lei una delle più grandi scrittrici, saggiste, filosofe e femministe del Novecento.
Queste memorie sono l'autobiografia di una donna eccezionale non tanto per i suoi natali o per la posizione che ha ricoperto nel pantheon della cultura francese, ma perché costituiscono ancora oggi un'occasione di accesso privilegiato alla coscienza femminile nel suo svilupparsi.
L'autrice decide con coraggio di mettersi alla prova con il mondo e con se stessa e ci regala un diario biografico, tanto ufficiale quanto intimo, che racconta come da una ragazza perbene possa prendere forma una donna desiderosa di "combattere l'errore, trovare la verità, dirla, illuminare il mondo, magari contribuire addirittura a cambiarlo."
L'autrice decide con coraggio di mettersi alla prova con il mondo e con se stessa e ci regala un diario biografico, tanto ufficiale quanto intimo, che racconta come da una ragazza perbene possa prendere forma una donna desiderosa di "combattere l'errore, trovare la verità, dirla, illuminare il mondo, magari contribuire addirittura a cambiarlo."
Lo sviluppo di questa storia è cronologico ma non è a un tempo solo.
Due linee corrono parallele: il tempo esteriore della crescita - scandito dalle esperienze, dalle scuole, dal corpo che cambia, dalle azioni di gioventù - e quello interiore della coscienza che molto presto impara a ragionare su se stessa. "Da quando avevo cominciato a riflettere avevo scoperto in me stessa un potere infinito e limiti irrisori", scrive.
L'infanzia viene raccontata nei colori e nelle impressioni: la stanza dai mobili laccati in bianco nella quale il 9 gennaio 1908 arriva al mondo; l'appartamento rosso dei primi anni; i mobili del padre in pero scurito; le guance rosee della nonna; il verde dei giardini del Lussemburgo; il nero di tenebra della nicchia sotto la scrivania. E poi la presenza rassicurante della tata Louise che se fosse stata un colore sarebbe sicuramente stato caldo.
Simone de Beauvoir si racconta come una bambina vivace, "testarda come un mulo" e anche un po' vanitosa: "crescevo e sentivo d'essere condannata all'esilio: cercavo rifugio nella mia immagine". Passa i primi anni di vita rannicchiata negli angoli di una casa di famiglia che la protegge dal mondo.
Crescendo è esposta ai rapporti con i genitori che plasmano la sua visione delle cose: dalla madre, in particolare, apprende i princìpi della dedizione e dell'austerità, impara a restare nell'ombra, a controllare il linguaggio e a censurare i desideri. Le ragazze perbene non rivendicano niente e osano ben poco, anche quando leggono. Per questo la mamma le consegna dei libri che sono spillati in alcune pagine e lei non ha mai l'ardire di togliere le spille ma continua a chiedersi: di che cosa si tratterà? Dai libri proibiti si passa a quelli finalmente scelti, che le danno le ali per volare più in alto.
È l'emozione immensa di scoprire che ci sono scrittori che sembrano parlarti all'orecchio: Gide, Claudel, Sainte-Geneviève...
Me le memorie sono soprattutto memorie di relazioni: Simone è un punto in un sistema di rapporti emotivi e sociali che la definiscono, spesso ingabbiandola.
Le bigotte maestre di scuola, il cugino Jacques, inafferrabile e ondivago, che le regala un'educazione sentimentale in potenza. Ma ci sono anche rapporti pieni di energia che, come i libri, aiutano a rafforzare le sue ali, uno tra tutti quello con Zazà, l'amica e compagnia preferita che le fa scoprire nuovi significati dell'amore: "Non immaginavo nulla di meglio al mondo che essere me stessa, e amare Zazà".
Simone de Beauvoir patisce i limiti e le trappole dell'universo borghese in cui è chiusa, eppure a un certo punto trova in se stessa la giustificazione sufficiente per mettersi in cammino e approdare altrove. Arrivano le prime prove di scrittura e con esse la consapevolezza che mettere in parole la propria esperienza aiuta a viverla di più; poi arriverà la filosofia che, mirando alla totalità del reale, le consentirà di aspirare a quel tutto che lei da sempre sente dentro come "un ordine, una ragione, una necessità."
L'infanzia viene raccontata nei colori e nelle impressioni: la stanza dai mobili laccati in bianco nella quale il 9 gennaio 1908 arriva al mondo; l'appartamento rosso dei primi anni; i mobili del padre in pero scurito; le guance rosee della nonna; il verde dei giardini del Lussemburgo; il nero di tenebra della nicchia sotto la scrivania. E poi la presenza rassicurante della tata Louise che se fosse stata un colore sarebbe sicuramente stato caldo.
Simone de Beauvoir si racconta come una bambina vivace, "testarda come un mulo" e anche un po' vanitosa: "crescevo e sentivo d'essere condannata all'esilio: cercavo rifugio nella mia immagine". Passa i primi anni di vita rannicchiata negli angoli di una casa di famiglia che la protegge dal mondo.
Crescendo è esposta ai rapporti con i genitori che plasmano la sua visione delle cose: dalla madre, in particolare, apprende i princìpi della dedizione e dell'austerità, impara a restare nell'ombra, a controllare il linguaggio e a censurare i desideri. Le ragazze perbene non rivendicano niente e osano ben poco, anche quando leggono. Per questo la mamma le consegna dei libri che sono spillati in alcune pagine e lei non ha mai l'ardire di togliere le spille ma continua a chiedersi: di che cosa si tratterà? Dai libri proibiti si passa a quelli finalmente scelti, che le danno le ali per volare più in alto.
È l'emozione immensa di scoprire che ci sono scrittori che sembrano parlarti all'orecchio: Gide, Claudel, Sainte-Geneviève...
Me le memorie sono soprattutto memorie di relazioni: Simone è un punto in un sistema di rapporti emotivi e sociali che la definiscono, spesso ingabbiandola.
Le bigotte maestre di scuola, il cugino Jacques, inafferrabile e ondivago, che le regala un'educazione sentimentale in potenza. Ma ci sono anche rapporti pieni di energia che, come i libri, aiutano a rafforzare le sue ali, uno tra tutti quello con Zazà, l'amica e compagnia preferita che le fa scoprire nuovi significati dell'amore: "Non immaginavo nulla di meglio al mondo che essere me stessa, e amare Zazà".
Simone de Beauvoir patisce i limiti e le trappole dell'universo borghese in cui è chiusa, eppure a un certo punto trova in se stessa la giustificazione sufficiente per mettersi in cammino e approdare altrove. Arrivano le prime prove di scrittura e con esse la consapevolezza che mettere in parole la propria esperienza aiuta a viverla di più; poi arriverà la filosofia che, mirando alla totalità del reale, le consentirà di aspirare a quel tutto che lei da sempre sente dentro come "un ordine, una ragione, una necessità."
La prima persona della scrittura nelle Memorie è attivissima nell'indagine, scandaglia l'io con la lucidità di chi si guarda indietro senza dimenticare tutto il dolore che risiede nei momenti di passaggio. Le transizioni in questa vita scritta sono tante: dell'età, della sessualità, dell'intelletto.
Non mancano ovviamente le prime prese di coscienza femminile e politica, nonché l'interrogarsi costante sulla possibilità di un rapporto uomo-donna alla pari che sembrerà impossibile fino all'incontro con Jean Paul Sartre, "meraviglioso allenatore intellettuale" e compagno di una vita.
L'autobiografia è un punto di ingresso straordinario al laboratorio creativo di de Beauvoir perché ne offre essenzialmente una prospettiva umana.
In queste pagine si condensa l'esperienza di una giovane donna che negli anni della sua maturazione ha cercato di spazzare via dolorosamente le frontiere che le avevano costruito attorno.
Quando finalmente il rancore si trasformerà in rivolta si garantirà il diritto di costruirsi un posto nel mondo e dirà: "non esistevo che in me stessa e per me stessa."
È proprio questa la lezione che le donne che leggono ancora oggi le sue opere vi ritrovano: la spinta a mettersi alla ricerca delle vere sé.
Non mancano ovviamente le prime prese di coscienza femminile e politica, nonché l'interrogarsi costante sulla possibilità di un rapporto uomo-donna alla pari che sembrerà impossibile fino all'incontro con Jean Paul Sartre, "meraviglioso allenatore intellettuale" e compagno di una vita.
L'autobiografia è un punto di ingresso straordinario al laboratorio creativo di de Beauvoir perché ne offre essenzialmente una prospettiva umana.
In queste pagine si condensa l'esperienza di una giovane donna che negli anni della sua maturazione ha cercato di spazzare via dolorosamente le frontiere che le avevano costruito attorno.
Quando finalmente il rancore si trasformerà in rivolta si garantirà il diritto di costruirsi un posto nel mondo e dirà: "non esistevo che in me stessa e per me stessa."
È proprio questa la lezione che le donne che leggono ancora oggi le sue opere vi ritrovano: la spinta a mettersi alla ricerca delle vere sé.
Edizione di riferimento: Simone de Beauvoir, Memorie d'una ragazza perbene, traduzione di Bruno Fonzi, Einaudi, 1960
Papà diceva spesso: - Simone ha un cervello d'uomo; Simone è un uomo -. Però mi trattava da ragazza. Jacques e i suoi compagni leggevano i veri libri, erano al corrente dei veri problemi; vivevano a cielo aperto: io ero confinata in una nursery. Ma non disperavo. Confidavo nell'avvenire. V'erano state delle donne che per merito del loro sapere e del loro talento s'erano fatte un posto nell'universo degli uomini. Ma mi spazientivo del ritardo che mi veniva imposto. Quando mi capitava di passare davanti al collegio Stanislas mi si serrava il cuore; evocavo il mistero che si celebrava dietro quei muri: una scuola di ragazzi, e mi sentivo esiliata.
Ritrovavo, trattati da signori seri, nei libri, i problemi che avevano impensierito la mia infanzia; d'un tratto, il mondo degli adulti non andava più così liscio, c'era un dritto e un rovescio, vi s'insinuava il dubbio; se ci si spingeva più in là, che cosa ne sarebbe rimasto? Non ci si spingeva più in là, ma era già abbastanza straordinaria, dopo dodici anni di dogmatismo, una disciplina che poneva problemi, e li poneva a me. Poiché ero io, cui non s'era mai parlato altro che per luoghi comuni, ero io che mi trovavo d'un tratto in causa. Di dove veniva fuori la mia coscienza? Di dove traeva i suoi poteri? La statua di Condillac mi fece sognare vertiginosamente quanto quella vecchia giacca a sette anni. Sbalordita, vidi che le coordinate dell'universo si mettevano a vacillare. Le teorie di Henry Poincaré sulla relatività dello spazio e del tempo mi tuffarono in meditazioni infinite. Mi commossi alle pagine in cui egli evocava il passaggio dell'uomo attraverso il cieco universo: null'altro che un lampo, ma un lampo che è tutto! Per molto tempo fui perseguitata dall'immagine di questo grande fuoco ardente nelle tenebre.
Parlavamo di una quantità di cose, ma in particolare d'un argomento che m'interessava sopra tutti: me stessa. Gli altri, quando pretendevano di spiegarmi, mi annettevano al loro mondo, e m'irritavano; Sartre, al contrario, cercava di situarmi nel mio proprio sistema, mi comprendeva alla luce dei miei valori, dei miei progetti. Mi ascoltò senza entusiasmo quando gli raccontai la mia storia con Jacques; per una donna allevata com'ero stata allevata io, forse era difficile evitare il matrimonio: ma lui non ne pensava gran che di buono. In ogni caso, io dovevo salvaguardare ciò che v'era di più stimabile in me: il mio amore della libertà, della vita, la mia curiosità, la mia volontà di scrivere. Non soltanto m'incoraggiava in quest'impresa ma si proponeva di aiutarmi. Di due anni più grande di me - due anni che aveva saputo mettere a profitto - partito meglio e molto più presto di me, la sapeva più lunga su tutto; ma la vera superiorità che si riconosceva, e che mi saltava agli occhi, era la passione tranquilla e forsennata che lo gettava verso i suoi futuri libri.
Negare tutti i limiti e tutte le separazioni, uscire dalla mia classe, uscire dalla mia pelle: questa parola d'ordine mi elettrizzò. E pensavo non si potesse meglio servire l'umanità che dandole luce, bellezza.
A cura di Claudia Consoli