Poirot a Styles Court
di Agatha Christie
Mondadori, 2020
Traduzione di Diana Fonticoli
pp. 226
€ 13 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
di Agatha Christie
Mondadori, 2020
Traduzione di Diana Fonticoli
pp. 226
€ 13 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
Una villa in campagna. Un’anziana e facoltosa signora. Un veleno. Sette sospettati pieni di segreti. Lettere nascoste e intrighi di famiglia. Gli elementi che hanno consacrato le opere di Agatha Christie nell’immaginario dei lettori appassionati di gialli sono già tutti qui, in “Poirot a Styles Court”, il primo giallo della carriera di quella che diventerà poi la scrittrice più tradotta nel mondo. Eppure la Christie non poteva avere idea di tutto questo, mentre scriveva il suo esordio. E si vede.
È sempre bello poter decostruire i propri miti letterari, andare oltre le loro opere per tentare di conoscerli come persone. Specie quando si tratta di una scrittrice così conosciuta e prolifica, la cui fama e mole di opere la precede, rendendola quasi un’ideale. Questa edizione, che include contenuti provenienti dall’archivio di appunti della scrittrice, ci consente di conoscere un’Agatha Christie diversa, una giovane infermiera appassionata di gialli che, come dice John Curran nella sua introduzione, si lancia nell’impresa di trasformarsi da lettrice a scrittrice del genere sull’onda di una sfida lanciatale dalla sorella Madge: “Scommetto che non sei capace di scrivere un bel romanzo poliziesco”. Bastò questo, e la giovane Agatha mise mano alla penna, per scrivere il primo dei suoi 66 romanzi.
Nel frutto di questo lavoro giovanile, praticato nel tempo libero lasciatole dal suo impiego come infermiera nell’ospedale di Torquay, la sua città natale, si può già intuire in controluce la figura dell’autrice. Non solo si rivelano tracce schiettamente autobiografiche, disseminate tra l’ospedale di Tadminster, dove a prestare servizio nel romanzo è la giovane Cynthia Murdoch, e la casa riservata ad esuli belga, tanto simili a quelli che lei vedeva a Torquay. Ma basta guardare l’appendice del romanzo, un estratto dei quaderni della Christie del 1941 in cui parla, da infermiera, del suo rapporto coi veleni nella scrittura e nella vita, per capire quanto l’autrice fosse investita nelle sue opere. La sentiamo rievocare con affetto il suo romanzo d’esordio di più di vent’anni prima: “Così sono state poste le fondamenta di quella che posso chiamare la mia carriera criminale!”, e la vediamo guardarsi intorno nel suo ambulatorio, scegliendo tra i veleni quello che “piacerebbe al mio vecchio amico, Hercule Poirot”.
Tutto questo traspare nella lettura di questo piacevolissimo romanzo, che ci tiene incollati alle sue pagine non solo in virtù della cascata di indizi che ci travolge e dell’estro di Poirot nelle sue uscite incomprensibili tanto a noi quanto a Hastings, ma soprattutto perché nonostante lo stile ancora verde si avverte una giovanile gioia di scrivere e di raccontare, di costruire ad arte gli abitanti di Styles Court e di inanellare la “catena” logica di fatti e deduzioni tanto importante per Poirot. Ci troviamo oggetto di un gioco intellettuale in cui Poirot (e la Christie) sembrano divertirsi un mondo a disarmarci, a sorprenderci, a mandarci fuori pista. E ci divertiamo un mondo pure noi.
Marta Olivi