Sepolcri di cowboy
di Roberto Bolaño
Adelphi, 2020
Traduzione di I. Carmignani
pp. 176
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Entrare nell’universo letterario di Roberto Bolaño è come imboccare una strada senza ritorno, perché Roberto Bolaño non è solo quello che ha scritto, ed è una produzione sterminata, ma anche e, soprattutto, è quello che ha letto: l’inimmaginabile.
di Roberto Bolaño
Adelphi, 2020
Traduzione di I. Carmignani
pp. 176
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Entrare nell’universo letterario di Roberto Bolaño è come imboccare una strada senza ritorno, perché Roberto Bolaño non è solo quello che ha scritto, ed è una produzione sterminata, ma anche e, soprattutto, è quello che ha letto: l’inimmaginabile.
Se Borges si dichiarava orgoglioso più dei libri che aveva letto che di quelli
che aveva scritto, anche Bolaño, nell’autoritratto che fa di se stesso in
apertura del saggio “Tra parentesi”, dichiara candidamente di essere “molto più
felice quando leggo che quando scrivo” e di ciò hanno dato conferma nelle
interviste rilasciate i grandi scrittori che lo hanno conosciuto:
Villoro e Fresàn su tutti.
Lasciamo da parte quello che ha letto (non si finirebbe mai di citare opere e
scrittori) per concentrarci su quello che ha scritto. E qui viene da porsi una
domanda: siamo proprio sicuri di essere a conoscenza di tutta la produzione
letteraria di Roberto Bolaño? Stando a tutti gli inediti che sono stati
pubblicati dopo la sua morte avvenuta diciassette anni fa direi che no, non ne
siamo affatto sicuri. Oltre al monumentale “2666”, tra l’altro rimasto incompiuto, “Il gaucho insopportabile”, “Il
terzo Reich”, “I dispiaceri del vero
poliziotto”, “Lo spirito della
fantascienza” e i tanti articoli pubblicati su riviste e giornali, si
aggiunge ora, sempre pubblicato da Adelphi e come i precedenti tradotto
magistralmente da Ilide Carmignani, “Sepolcri
di cowboy” nel quale sono raccolte tre bozze di romanzi rimasti incompiuti;
pertanto non è compito facile poterne trarre una trama o quantomeno parlarne
senza evidenziare i temi, i luoghi e i personaggi che lo ricollegano ad altre
opere precedentemente pubblicate.
Un’altra domanda si aggiunge alla prima: con “Sepolcri di cowboy” si esaurisce
la produzione letteraria di Bolaño? Le date riscontrate nelle carte ritrovate
lasciano presupporre di no.
“Sepolcri di cowboy”, che dà il titolo al libro, risale al 1995/1998; “Patria”,
la seconda bozza, al 1992/1993 e “Commedia dell’orrore di Francia”, la terza
bozza, al 2002/2003. Le tre bozze sono state raccolte in unico volume solo nel
2017 e sappiamo con certezza che negli anni che vanno dal 1992 al 2003 Roberto
Bolaño ha scritto e pubblicato tante altre opere molto più importanti e ormai
entrate nell’Olimpo della grande letteratura. Catalogare quindi in maniera
temporale le sue opere è un’impresa oserei dire ardua, non solo per la grande
quantità di materiale che continua a pervenirci, quanto per il fatto che dei
tanti personaggi da lui creati troviamo tracce disseminate che si incrociano di
libro in libro. Solo il suo alter ego Arturo Belano è presente in quasi tutti i
suoi libri; degli altri avvertiamo la presenza ora in questo ora in quell’altro
libro.
Succede anche in “Sepolcri di cowboy” di imbattersi in Juan Cherniakovski un
personaggio che i lettori più attenti di Bolaño ricorderanno di aver incontrato
prima sia in “Stella distante” che
in “La letteratura nazista in America”. Vale
lo stesso per Carlos Wieder, fiancheggiatore del regime nazista e pilota che traccia versi nel cielo col suo aereo,
conosciuto sempre in “Stella distante” e che in “Sepolcri” avvertiamo la sua
presenza pur non essendo nominato espressamente. Nasce il sospetto,
addirittura, che il personaggio sia lo stesso. Per non parlare del
raccapricciante racconto del traffico di organi presente in “Sepolcri” che
lascia presupporre un collegamento con l’atroce cronaca dei femminicidi narrati
in “2666”. Personaggi e argomenti utilizzati come tasselli di un puzzle da
collocare nel punto giusto.
Le prime due bozze di “Sepolcri” sono prettamente incentrate sulla giovinezza
dell’autore, da quando si trasferirà in Messico - quella che poi sarà la sua
patria di adozione - e dove conoscerà Mario Santiago Papasquiaro di cui diremo
più avanti, fino al ritorno in Cile qualche giorno prima del terribile golpe
militare di Pinochet e proprio al golpe dedica un capitolo di “Sepolcri”:
“Furono due delle ore peggiori della mia vita quelle che passai seduto in una
via dove non c’era un’anima, immerso nella contemplazione delle case sbarrate.
Sapevo anche io di essere sorvegliato e per di più capivo la curiosità e in
qualche modo la ragione di chi mi sorvegliava: solo un pazzo sarebbe rimasto
seduto in una via deserta, assorto a contemplare il nulla, col rischio che
passasse una jeep dell’esercito e lo arrestasse…”
In “Patria”, invece raccontando la storia di Patricia Arancibia affronterà
l’inquietante caso dei “desaparecidos”. Temi che in precedenza abbiamo
riscontrato in quella che viene considerata la sua “opera culto” e cioè “I detective selvaggi” e dove il già
citato Mario Santiago Papasquiaro sarà conosciuto con il nome di Ulises Lima il
poeta che con Arturo Belano darà vita al movimento poetico del
“realvisceralismo” di ispirazione surrealista che si contrappone alla poesia
tradizionale che vede il suo capostipite nel borioso Julio César Alamo nel
quale i critici hanno riconosciuto il poeta messicano Octavio Paz. Poesia e
surrealismo che ritornano prepotentemente anche in quest’ultimo libro. Se in
“Sepolcri”, qualora ce ne fosse bisogno, Bolano esalta la poesia di Nicanor
Parra in particolare “Poemas y antipoemas”, nel bellissimo “Commedia
dell’orrore di Francia”il protagonista Diodoro Pilon viene in modo del tutto
“surreale” contattato e reclutato telefonicamente (doveroso mi sembra ricordare
che “Chiamate telefoniche” è il
titolo di un altro suo bellissimo libro) da un fantomatico Gruppo Surrealista
Clandestino di chiara ispirazione bretoniana e dal suo interlocutore, che lo
chiama da Parigi, verrà messo al corrente di un fatto che si svolge nelle fogne
della grande città francese e che vede come protagonisti André Breton,
fondatore del Movimento, e cinque giovani poeti di diversa nazionalità. È un
vero peccato che quest’ultimo romanzo sia rimasto incompiuto. Le poche pagine
che ci sono pervenute sono a dir poco meravigliose e da esse si evince
l’immensa cultura poetica di Bolaño.
Questi e tanti altri esempi si potrebbero fare. Ecco perché viene difficile,
molto difficile, catalogare in ordine temporale le sue opere. E per lo stesso
motivo mi trovo in imbarazzo quando qualcuno mi chiede da quale libro iniziare
per accostarsi a questo grande autore. Si può cominciare da questo o da
qualsiasi altro suo libro. Ciò che conta è leggerlo perché con la sua scrittura,
le sue parole e le sue frasi semplici e mai banali, ma che contengono una
intensità indicibile, come per magia, ci ipnotizza, ci cattura e ci avvolge
nella tela delle sue opere che ha intessuto e intrecciato con la stessa abilità
di un ragno. La sua grande capacità, come dicevo sopra, di disseminare le
tracce dei suoi personaggi nei vari libri ci dà la chiara e netta percezione
che di Bolaño stiamo leggendo un unico grande romanzo. Temi, luoghi, scene e
personaggi si ripetono nel tempo per confluire tutti in una sola “grande
opera”.
Solitamente di un autore si dice che o si ama o si odia, per Bolaño questo
detto non è coniugabile. Bolaño si ama soltanto, perché quando ci si immerge
nelle sue storie e nei suoi scritti in generale dà immediatamente l’impressione
di voler condividere con i suoi lettori la sua vasta e enciclopedica cultura;
la mette a disposizione e poi sta a chi legge saperne approfittare e trarne
gioia e divertimento. Questo è quel che succede con ogni suo libro e “Sepolcri
di cowboy” non fa certo eccezione. Diciassette anni sono passati dalla sua
scomparsa, ma la “stella distante” dell’universo letterario di Bolaño splende
sempre e continuerà a splendere ancora per molto tempo.
Liborio Volpe
Liborio Volpe