di Luis Sepúlveda
Guanda 2017
A cura di Ranieri Polese
Traduzione di Ilide Carmignani
pp. 304
€ 11,20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Il giorno più bello della storia del Cile spuntò coperto di nuvole. La primavera alle porte, atterrita dall'orrore che si avvicinava, aveva deciso di negarci i primi tepori. Alle sei del mattino Salvador Allende, il Compagno Presidente, ricevette le prime informazioni sul golpe imminente e diede ordine alla scorta, al GAP, di lasciare la residenza di calle Tomás Moro per raggiungere il palazzo della Moneda. Un contingente del GAP - Gruppo di Amici Personali - rimase a garantire la sicurezza della residenza e il resto si mise in marcia armato di kalashnikov (p.15).
Tra le eredità peggiori di questo doloroso periodo vi è senza dubbio la morte a causa del Covid-19 dello scrittore cileno Luis Sepúlveda, autore, tra le tante opere, della celebre Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (Salani, 1996).
Avevo solo 8 anni quando uscì nelle sale cinematografiche il cartone animato tratto da questa splendida favola: se i bambini se ne innamorarono, forse furono i grandi ad apprezzare ancora di più l'autenticità del messaggio di uguaglianza e accettazione proposto dall'autore, che nel film prestò la voce al personaggio del Poeta.
Da allora ho seguito con interesse sempre maggiore la vicenda letteraria, umana e politica di Sepúlveda, così quando la raccolta Storie ribelli è arrivata anche in edicola per Paper First, ne ho approfittato per leggerla e percorrere per la prima volta con commozione e ammirazione la lotta non violenta che lo scrittore cileno ha condotto contro il regime dittatoriale di Augusto Pinochet.
Storie ribelli è appunto un'antologia di racconti scritti nell'arco di quarant'anni, in un complesso intreccio tra la Storia moderna del Cile e le vicissitudini personali di Sepúlveda.
Ciò che inizialmente colpisce è una data, quella dell'11 settembre del 1973. Se però il medesimo giorno del 2001 è tristemente noto per la tragedia delle Torri Gemelle, nel libro si fa strada un'altra sciagura: quella del golpe militare cileno, appoggiato dagli Stati Uniti e capeggiato dal generale Pinochet, col quale viene deposto il Presidente legittimamente eletto Salvador Allende e viene instaurata una delle più terribili dittature che la Storia moderna ricordi.
Per diciassette anni gli abitanti del Cile sono vittima di ogni genere di sopruso e violenza; perfino Sepúlveda e sua moglie, la poetessa Carmen Yáñez, vengono prima imprigionati e torturati (lei si salva perché, creduta morta, viene gettata in una discarica), e poi costretti ad abbandonare la loro terra in ragione dell'attività di opposizione alla dittatura (lui nel 1977, lei nel 1981). Addirittura all'autore nel 1986 viene revocata la nazionalità in ragione delle «attività sovversive e antipatriottiche» (p. 9).
Dopo oltre trent'anni nel corso dei quali è stato considerato apolide, solo nel 2017 Sepúlveda riesce a riottenere la cittadinanza cilena. Sarà grazie alla sua fede politica, al profondo senso di giustizia e alla sete di verità che continuerà a battersi fino alla fine dei suoi giorni contro «l'infame storia dell'infamia», rifiutando qualsiasi forma di omertà e privazione nei confronti dei più deboli:
La più grande espressione di complicità con l'infamia è l'omertà, il silenzio calcolato degli usurai della politica. In un paese come il Cile, in chiara regressione culturale, il discorso demagogico che offre soluzioni facili e disprezza la complessità sociale incontra orecchi ricettivi e si autoconvince di rappresentare un'alternativa (p. 43).
Con uno stile semplice, lineare e diretto e per questo ancor più chiaro e graffiante, con la «forza militante della parola» Sepúlveda si scaglia con veemenza non solo contro la dittatura e i suoi sostenitori, ma anche contro chi colpevolmente vuole sotterrare, insabbiare quegli anni di soprusi e orrori, contro coloro che vogliono dimenticare.
Così, finché il Cile non ritroverà anche l'ultimo dei suoi desaparecidos, finché non si saprà quando e come è morto, chi sono i suoi assassini e soprattutto dove sono i suoi resti, la ferita rimarrà aperta, ed è compito degli uomini onesti tenerla aperta e pulita, perché quella ferita è la nostra memoria storica (pp. 29-30).
Nel corso delle pagine scopriamo come anche il significato più autentico della parola "amicizia" rivesta un ruolo particolare: molte sono infatti le storie che ricordano i compagni dello scrittore barbaramente trucidati nel corso degli anni della dittatura, oltre alla misteriosa scomparsa del poeta Pablo Neruda e alla profonda ammirazione tributata all'autore Manuel Vázquez Montalbán.
Questo libro, dunque, è un testo fondamentale non solo per gli amanti della letteratura sudamericana, ma anche per tutti coloro che intendono acquisire una maggior consapevolezza dei fatti di una Storia che non può incasellarsi nel "passato remoto" della nostra memoria, ma che rimane assai vicina a noi e al nostro tempo.
Dalle righe di Storie ribelli trapelano tutto l'orgoglio e la dignità di un uomo che ha trascorso sette mesi della sua vita in una cella ove non era possibile sdraiarsi né stare in piedi, di un uomo che non ha mai dimenticato gli orrori che lui, sua moglie e il suo popolo hanno subìto, né il dolore per la morte del Presidente Salvador Allende e il dispiacere per il sogno di un Cile socialista scomparso insieme a lui.
Storie ribelli costituisce un tributo potentissimo a tutti gli amici, i compagni, i fratelli desaparecidos dopo le atroci torture patite, al loro ricordo e allo loro gesta.
Sepúlveda (la cui preziosa eredità letteraria non verrà mai dimenticata) sembra volerci dire che non basta aver condannato Pinochet per crimini contro l'umanità per risanare le vecchie ferite, ma le grida di quanti hanno perso la loro vita non devono smettere di risuonare nella nostra anima, perché quello che è stato non sia mai più.
Non sono mai stato, né mai sarò, un uomo dalle convinzioni religiose, perché questo lederebbe le mie convinzioni morali, ma del cristianesimo recupero la formidabile affermazione che dice: «In principio era il Verbo», verità più linguistica che teologica, dove la parola è in sè un atto di fondazione e le cose esistono a forza di essere nominate (p. 100).
Ilaria Pocaforza
Ricordiamo che l'edizione di Paper First è disponibile in edicola