Tornare a galla
di Margaret Atwood
Ponte alle grazie, giugno 2020
1^ edizione originale: 1972
Traduzione di Fausta Libardi
pp. 240
€ 16,80 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Nessuno può aspettarsi altro da me. Ho controllato tutto, ho tentato; ora sono dispensata dal sapere. Dovrei informare qualche autorità, riempire formulari, farmi aiutare come si fa di solito nei casi d'emergenza. Ma è come ricercare un anello perso su una spiaggia o nella neve: futile. Non posso fare altro che aspettare. (p. 65)
1972: in libreria arriva Tornare a galla, in cui Margaret Atwood propone alcune delle tematiche che ritroveremo anche nella sua produzione successiva, ma in un'ambientazione ben diversa, in un romanzo che potrebbe essere un thriller, ma che a mio parere è difficile rinchiudere in un unico genere.
Nelle prime pagine facciamo la conoscenza di una giovane pittrice, cartellonista per la precisione, che parte dalla città in cui vive per andare a cercare suo padre, scomparso. L'uomo viveva sull'isoletta sperduta del Québec dove la protagonista ha trascorso l'infanzia e l'adolescenza, in una casa priva di elettricità, e dunque di acqua corrente, di frigorifero e di qualsiasi comodità moderna. Tornare non è semplice: alle pareti restano gli oggetti appesi dalla madre, anni prima; l'orto ha già nuove erbacce, ma tradisce la cura di poco tempo prima; strani disegni e appunti del padre sono affastellati in casa e forse contengono qualche possibile indizio sulla sua sparizione. La protagonista è ancora intenta a osservare quel che è sempre uguale e sempre diverso nella sua vecchia casa, mentre i suoi accompagnatori - l'uomo con cui sta, Joe, e una coppia di amici, Anna e David - iniziano a osservare quel mondo così privato, così racchiuso su di sé come se fossero in una vacanza un po' esotica, lontana dalla civiltà.
Il movimento nel passato è tutto, inevitabilmente, della protagonista, che si trova via via a fare i conti su chi è diventata: una donna che ha rinunciato a suo figlio, affidato all'ex marito («un pezzo della mia vita, tagliato via da me come un gemello siamese, la mia carne cancellata. Errore, ricaduta, devo dimenticare», p. 61); una donna che non ha neanche sentito l'esigenza di condividere questo suo segreto con chi le sta accanto; una donna che voleva fare la pittrice, contro le aspirazioni dei genitori, e si è trovata a ripiegare sulla pubblicità, pur di guadagnare qualcosa. Una donna che è lì con un uomo che forse ama o forse no, e fa di tutto per rimandare la risposta.
Attorno a loro, una natura fagocitante, che si fa solo in parte modificare dall'uomo per poi essere subito pronta a tornare rigogliosa e selvaggia, ingovernabile. La morte aleggia sul lago: corpi di animali, pesci pescati più o meno legittimamente, non sono che un'inquietante fonte di riflessione per la protagonista; per gli altri? Un semplice spettacolo della morte, da immortalare con la videocamera.
E la natura lavora sotterraneamente, conquistando con la sua libertà paradossalmente tiranna anche la protagonista, che si allontana sempre di più dagli screzi tra Anna e David, il cui matrimonio è tenuto insieme dall'odio più che dall'amore, in un rapporto sadomasochistico in cui la donna è continuamente umiliata e vessata dalle regole che il marito continua a cambiare. E la protagonista si fa sempre più lontana anche da Joe, con cui la comunicazione verbale si fa sempre più stentata, inefficace.
L'ambiente naturale, invece, prende piede, lasciando intravvedere più volte lo spauracchio di una natura-matrigna pronta a vendicarsi per l'invasione illegittima di questi uomini; il lago, con le sue acque risucchianti, appare più volte come una minaccia; i rumori notturni con gli animali sempre più vicini ai personaggi sembrano l'ennesimo invito a lasciare l'isola, prima che sia troppo tardi. Ma troppo tardi per cosa? Per trovare il padre della protagonista? Per tornare alla vita di prima, ignari del cambiamento che è ormai irrimediabilmente cominciato nella protagonista?
I rapporti tra gli amici e all'interno della coppia sembrano sempre più collassare - ma non dirò di più, mentre la protagonista si inselvatichisce, cerca un modo per liberarsi delle sue sovrastrutture per fondersi progressivamente con la natura. Una metamorfosi panica l'attende, ma una metamorfosi che ha in sé qualcosa di assolutamente selvaggio e incontrollato, quasi di animale. Anche su questo è meglio non dire altro; mi limiterò a notare che tutta la terza sezione del libro è sempre più rapida, vorticosa, come se le due parti precedenti fossero una premessa a un cambiamento inimmaginabile, mentre attorno aleggia un'atmosfera da horror, alternata a quella da romanzo fantastico. E l'obiettivo del viaggio - trovare il padre - finisce quasi in secondo piano, quasi fosse un pretesto per un percorso interiore che noi lettori non potremmo mai pronosticare, stando alle prime pagine del libro.
Se ancora oggi il romanzo ha il potere di lasciarci sgomenti in più punti, posso solo ipotizzare l'effetto sui lettori degli anni Settanta: i rapporti di coppia apparentemente liberi, celebrati in quegli anni, vengono qui visti nella loro problematicità; la questione ambientale, oggi molto trattata, è già al centro di un romanzo che sembra drammaticamente profetico. E lo stile di Atwood? Già tagliente, forse più dedito al dettaglio di oggi, curato e con la capacità di far riflettere a lungo, anche quando la il romanzo vorrebbe fingersi "solo" un thriller.
GMGhioni
Se ancora oggi il romanzo ha il potere di lasciarci sgomenti in più punti, posso solo ipotizzare l'effetto sui lettori degli anni Settanta: i rapporti di coppia apparentemente liberi, celebrati in quegli anni, vengono qui visti nella loro problematicità; la questione ambientale, oggi molto trattata, è già al centro di un romanzo che sembra drammaticamente profetico. E lo stile di Atwood? Già tagliente, forse più dedito al dettaglio di oggi, curato e con la capacità di far riflettere a lungo, anche quando la il romanzo vorrebbe fingersi "solo" un thriller.
GMGhioni