Come il mare in un bicchiere
di Chiara Gamberale
Feltrinelli, giugno 2020
pp. 128
€ 13,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Ma quindi dov'è, il confine fra la persona che siamo e la posizione che riusciamo a trovare per stare in questo mondo? E a che cosa ci riferiamo, quando diciamo: io? A quello che prescinde dal Là Fuori o a quello che lo prevede? Solo domande, nessuna risposta. Come succede se in questi giorni accendi la televisione, leggi un giornale, vai su internet: solo domande, nessuna risposta. (p. 68)
In questo periodo stanno uscendo quaderni, diari, taccuini con riflessioni sul tempo della quarantena (proprio ieri, ad esempio, Sabrina Miglio ha scritto la recensione sul libro di Paolo Rumiz, Il veliero sul tetto), e nella congerie di proposte che ci sono arrivate in redazione, quasi per caso ci siamo ritrovati a scegliere ben poche di queste opere. Perché? Forse perché si corre il rischio di trasformare in un esercizio di angoscia un'esperienza personale, o forse perché in questa situazione straordinaria (ovviamente in senso etimologico, cioè fuori dall'ordinario) non sappiamo padroneggiare col giusto vaglio critico gli strumenti narrativi, o forse perché l'esperienza di uno è diventata l'esperienza di tutti. Dunque, ha senso scriverne? Il dubbio sulla pubblicabilità o meno del suo quaderno viene anche a Chiara Gamberale, che dichiara:
Per la prima volta in ventidue anni che faccio questo lavoro, ancora non ho idea se vorrò condividere queste pagine, e pubblicarle, o tenerle per me. Perché: ha senso? Mi domando. Ha senso usare una prima persona singolare in questi mesi, in questi giorni? (p. 107)
Al termine della lettura di Come il mare in un bicchiere, posso rispondere al suo quesito con un grande sì, ha avuto assolutamente senso portare in libreria e regalare a noi lettori questo piccolo libro coraggioso, denso di significato, di esperienza, di pensiero, di dubbi, di paure e di fantasmi che tornano. Chiara Gamberale dimette i panni della narratrice, rinuncia a nascondersi dietro ad altri nomi e altre storie per diventare semplicemente Chiara, e mostrarsi ai suoi lettori con quella schiettezza che già aveva conquistato nel suo Una vita sottile, anche se questo significa mostrarsi nuda, senza schermi. Dunque, non aspettatevi un romanzo: si tratta di pagine che raccontano la reclusione nella propria casa con una bambina di due anni, Vita, e con il padre nonché ex compagno, che viveva da tempo a Milano prima del lockdown, ma che era sceso a Roma in visita, per poi restare bloccato lì. Ci sono le prime giornate in cui a Roma non si comprende ancora la gravità della situazione, e si incontrano ancora gli amici, si salutano come se si dovessero rivedere di lì a poco. Poi, la presa di coscienza, i protocolli di sicurezza, le ansie e i numeri dei morti in continuo aumento. Ecco il ritorno di certi antichi fantasmi che fanno cercare un aiuto in terapia, ma le medicine non sembrano essere la vera risposta: come essere certi che non diano un ottundimento tale da rendere impossibile prendersi cura di Vita come si deve? Vita ha bisogno di una mamma che le faccia anche un po' da maestra, che si inventi ogni giorno una storia da vivere insieme, con costumi colorati, per una quotidianità almeno in apparenza serena con mamma e papà.
I giorni passano, le notizie si avvicendano, così come i numeri devastanti e le preoccupazioni per chi non c'è, ovvero per gli amici, che trovano ugualmente un modo tutto loro per farsi sentire vicini almeno per telefono. Ma questa è anche l'occasione per imparare a scremare, fare delle rinunce e porsi delle domande (perché annullare i tanti impegni presi porta spesso a sentirsi estremamente sollevati e non a rimpiangere l'occasione persa?), per poi imparare a ridefinire il proprio concetto di priorità, di tempo.
E ci sono anche le paure più strane, quelle che si infilano facendoci quasi sentire in colpa:
«Ho paura di tornare com'ero prima, quando tutto finirà.
Persa, nella raccolta indifferenziata dei giorni.
Nel frullatore pazzo.
Vittima dei bisogni degli altri fino al punto di spacciarli per desideri miei» (p. 92)
Chi non lo ha pensato almeno una volta nei mesi passati? In queste pagine trovano spazio anche lacerti dal mondo esterno, corsivi delle notizie che ci hanno portato angoscia, ma anche conforto, da quei luoghi comuni che tutti abbiamo letto e riletto, fino a quei commenti sul presente che resteranno a lungo impressi nella nostra memoria. È il modo che trova l'autrice per proiettarsi fuori dal suo mondo e dalla sua realtà familiare, per guardare agli altri. E alla fine del libro qualche pagina vuota aspetta le nostre parole, i nostri ricordi e le sensazioni che non vogliamo che vadano persi, trasformando così il quaderno di Chiara Gamberale in un quaderno anche nostro. Condiviso, come abbiamo spesso condiviso i pensieri che è riuscita a scolpire con una semplicità esemplare, paradossalmente difficilissima da ammettere.
Desidero aggiungere in calce a queste parole, che considerano il libro in sé come è d'uso su CriticaLetteraria, anche la seguente nota: il ricavato delle vendite sarà devoluto allo spazio di accoglienza per i bambini e la famiglie di CasaOz in situazione di emergenza Covid-19. Un'occasione in più per far sì che le parole possano aiutare non soltanto noi, ma anche gli altri.
GMGhioni
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