di Ermanno Bencivenga
Feltrinelli, 2020
pp. 144
€ 16,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Se l’oggetto d’indagine è la rete, un intellettuale analitico ci giungerà dal passato: da idee di umanità, di società, di educazione e di comunicazione che sono sempre state e permettono di giudicare quel che il mondo ci offre adesso. […] Un intellettuale dialettico, invece, giungerà alle stesse problematiche dal presente, cercando di cogliere nell’intrecciarsi di messaggi e di istanze le linee tendenziali che sono già al lavoro e presto saranno evidenti a tutti, ma che per il momento sono ancora in buona parte celate. (p. 75)
Immaginate di entrare in libreria con l’intenzione di approfondire
un tema a voi caro, quello relativo alla rapida evoluzione del digitale e al
modo in cui i social network stanno riscrivendo le nostre attività quotidiane –
comunicare con amici e parenti, informarsi, studiare eccetera. Immaginate di
essere attratti da un libro intitolato Critica
della ragione digitale. Come ci trasforma la rivoluzione tecnologica: del libro
vi attira il titolo, ma anche la sua mole – sono poco più di centotrenta pagine
e voi avete poco tempo – e soprattutto quanto riportato dalle bandelle e dalla
quarta di copertina, che parlano di rapporto fra internet e stupidità, di rete,
di connessione; di come, in generale, le nuove tecnologie «cambiano la nostra
identità e la nostra postura nel mondo» (dalla quarta di copertina).
Immaginate di sfogliare le prime pagine e di
vedervi porre esattamente le domande e i dubbi per cui avete acquistato il
libro: internet è problematico? Come reagire alle fake news? L’accesso a
infinite informazioni ci rende meno intelligenti o meno abili a ricordare? E così
via.
Immaginate, poi, di arrivare al secondo capitolo, a
pagina 26, e di veder sparire dall’orizzonte quelle domande – e, con esse, tutto
ciò che riguarda la tecnologia digitale – per ritrovarvi ad affrontare un lunghissimo viaggio
nella storia della filosofia che, partendo da Platone, arriva a grandi linee
fino a Hegel. Questo viaggio, che ritenete interessante ma forse non
proprio incentrato sull’argomento che vi ha portato all’acquisto del
libro, termina a pagina 121, col capitolo Ritorno al futuro. Cinque pagine dopo, a pagina 126, il libro si
conclude e nulla – assolutamente nulla – è stato detto nel frattempo riguardo
«come ci trasforma la rivoluzione tecnologica» (sottotitolo del libro).
Ma, si obietterà, probabilmente in quelle circa cento pagine
d’indagine filosofica qualcosa sarà stato detto, no? Partire da Platone per
arrivare a Hegel a qualcosa sarà servito, giusto?
Ebbene, la risposta la troviamo nella citazione all’inizio
di questa recensione: quanto riportato è, in estrema sintesi, la posizione che
Bencivenga tiene per tutto il libro. Il filosofo prende due posizioni
antitetiche, quella di Platone e quella di Hegel, e da lì, attraverso quello
che si potrebbe definire un metodo deduttivo, deriva tutto. Sostiene infatti
che, dinnanzi a ogni cambiamento tecnologico – ma, come si vedrà a breve,
questo discorso può essere esteso a ogni
cambiamento in generale, dunque anche di matrice artistica, politica,
religiosa eccetera – possono esservi due reazioni: la prima, associabile a una
concezione “essenziale”/analitica/platonica del mondo, guarderà ai cambiamenti in modo
sospetto, in quanto vettori di un’alterazione dello status quo e di quei valori
che da sempre hanno caratterizzato l’ordine delle cose; la seconda,
riconducibile a una visione mutevole/dialettica/hegeliana del mondo, vedrà invece in quei
cambiamenti una manifestazione dello spirito del tempo proprio di ciascuna
epoca.
Ecco, la teoria di Bencivenga è tutta qui. Egli parte da
Platone e arriva a Hegel – attraversando Antico e Nuovo Testamento, la Scolastica,
la rivoluzione scientifica, l’Illuminismo tedesco di Kant, la logica di Frege e
la sua diatriba con Russell, ma anche la Dialettica
dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno e L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica di
Benjamin… insomma un bel pot-pourri di filosofia – per arrivare a una
conclusione che, se in primo luogo è piuttosto banale, in seconda battuta è talmente
generale da non apportare nulla al dibattito in corso. Perché, diciamocelo
chiaramente, non occorre scomodare i mostri sacri della filosofia per arrivare
a comprendere che davanti al cambiamento possono esserci due atteggiamenti, uno
conservatore e l’altro progressista.
Si potrebbe obiettare che nelle famose ultime cinque pagine Bencivenga
dica anche qualcos’altro. Dopo aver abbandonato per un centinaio di pagine quello
che avrebbe dovuto essere il tema principale del libro, nel capitolo Ritorno al futuro (in realtà: al presente), in effetti afferma
che:
1) «ogni
innovazione tecnologica […] trasforma radicalmente l’identità dei suoi
fruitori: ne fa complessi funzionali diversi (corpo umano+automobile, corpo
umano+telefonino) che hanno diversi livelli di efficacia e autonomia» (p. 125);
2) «un
giudizio di valore non neutrale può essere formulato da due prospettive
diverse» (ibid.);
3) «non
esiste un punto di vista superiore o esterno a queste due prospettive dal quale
motivare una scelta fra esse» (ibid.).
Mentre il primo punto fornisce al lettore una qualche
informazione (fra l’altro tramite un’argomentazione già anticipata nei primi
due capitoli, quella del sistema uomo+qualcosa), gli altri due si limitano a
dire che entrambi i punti di vista – quello conservatore e
quello progressista – hanno i propri pregi e i propri difetti, e sarebbe bene «rimanere
aperti a un certo grado di gioco con
la prospettiva diversa» (p. 126). Il primo punto dunque dice qualcosa sul
discorso che si voleva affrontare? Sembrerebbe, in effetti, se non fosse che si
riferisce, ancora una volta, non alla tecnologia digitale, ma a qualsiasi innovazione tecnologica. Il valore
di quell’affermazione, già di per sé molto scarno se lo andiamo a valutare a
seguito dell'indagine filosofica condotta, risulta dunque
nullo.
Personalmente non so cosa sia capitato con questo libro: se
il professor Bencivenga abbia avuto una propria idea e l’abbia sviluppata seguendo
una metodologia non convenzionale, o se invece chi si è occupato di sottotitoli,
bandelle e quarta di copertina abbia frainteso il senso di questo testo, o
magari ancora si sia voluta operare una classificazione (errata) del saggio per
renderlo più vendibile a un pubblico interessato più alle nuove tecnologie che
alla filosofia.
Non ne ho idea, sinceramente. Quello che so è che questo
libro è totalmente fuori fuoco rispetto al tema che avrebbe dovuto trattare. Se
fossimo al liceo, potremmo dire senza ombra di dubbio che lo studente è andato
fuori tema.
David Valentini
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