Le alternative non esistono.
La vita e le opere di Tommaso Labranca
di Claudio Giunta
il Mulino, 2020
pp. 229
€ 23 (cartaceo)
€ 15,28 (ebook)
Gli archetipi sia nella grande letteratura sia nel più prosastico mondo del giornalismo abbondano e, ogni tanto, anche se non ce ne accorgiamo subito, vengono fuori nelle circostanze più inaspettate. Questo è esattamente il caso di Le alternative non esistono. La vita e le opere di Tommaso Labranca di Claudio Giunta, pubblicato da il Mulino. Iniziamo subito a dire che questo è un saggio ottimo, specie dopo il primo capitolo (ma lo spiegheremo meglio in seguito) perché, una volta per tutte, mette ordine nel magmatico universo di Labranca, che, giusto per parlare di archetipi, più passano gli anni più pare avere svolto il ruolo, magari volentieri, magari no, del genio sregolato. Ma andiamo a analizzare meglio questo ottimo saggio.
Come conferma il sottotitolo, la volontà di Giunta è quella di spiegare, sia al lettore già conscio dell'eredità, se vi è stata, di Labranca sia a quello che magari lo ha solo sentito nominare, le opere del giornalista, scrittore e autore televisivo che, nella sua vita, ha fatto della parcellizzazione, della divisione in istanze anche microscopiche, nelle infinite declinazioni e sotto-declinazioni la vera e propria caratteristica principale della sua vita.
Da un lato quindi questo aspetto, potremmo affermare, accademico e di collazione, ovvero mettere ordine di in una vita professionale disordinata. Ma, dall'altro lato, c'è anche un amico e sodale che vuole mettere ordine, questa volta nella vita intima di Labranca, altrettanto caotica. Ecco, a nostro avviso, questa parte, condensata per lo più nel primo capitolo, è la più debole del brillante libro di Giunta perché, quasi in maniera paradossale, più ci si vuole avvicinare per conoscere "il mistero Labranca" e più egli ci sfugge.
Infatti Labranca, che è passato dalle fanzine punk al ruolo di autore di "Anima Mia" su RaiDue con Fazio e Baglioni, incarna, senza se e senza ma, il prototipo dell'intellettuale del nuovo Millennio, che non solo è a-partitico ma, quasi totalmente, a-politico. Infatti Labranca si interessava di mille cose, la tecnologia, la televisione, ovviamente il trash (che lui stesso ha inventato come categoria dello spirito e del pensiero), dei fumetti, delle canzoni pop, della moda etc., ma mai e poi si è interessato di politica, se non per criticarla, anche aspramente. Nella sua vita professionale e non, infatti, tutta rivolta a "svellere i luoghi comuni", Labranca ha sferzato con durezza specie le posizioni di Sinistra, volendo smascherarne il qualunquismo e puerilità diffusi. Ma abbiamo un attimo tergiversato, dicevamo che più ci si avvicina a Labranca, meno lo si conosce.
Questo è vero se si legge il già citato primo capitolo, in cui ricordi personali di Giunta si mescolano a resoconti di amici, ex amici e compagni di ventura di Labranca. Ecco, qui il saggio si slabbra un poco e perde il ritmo calzante, che invece acquisterà successivamente. Il lento diradarsi della fama di Labranca, per colpa e del mutato clima culturale e sociale (le chiusure delle riviste, la pubblicità che in televisione perde colpi e il web che, piano piano, rosicchia spazio) e delle sue scelte personali, è bene raccontato da Giunta ma in modo discontinuo e spesso il lettore si perde nel rivolo di mille, più o meno concreti, pettegolezzi sul conto di Labranca. Intendiamoci: tutto è scritto benissimo e si legge con piacere ma questa prima parte affatica, potrebbe affaticare il lettore che non conosce a menadito non solo l'opera ma anche il milieu culturale e le frequentazioni di Labranca.
Poi, dal secondo capitolo, il saggio, letteralmente, decolla. Giunta inizia a macinare chilometri e ci porta lontano con Labranca, facendoci capire la specificità e l'unicità di questo scrittore che, in poco meno di dieci anni, è passato da essere un autore televisivo affermato a uno dei tanti collaboratori di “Cronaca Vera”. Ma, all'inizio del nostro pezzo, parlavamo di archetipi letterari. Beh, più si va avanti nella lettura di Le alternative non esistono, più la sensazione di avere davanti il "genio sregolato" fa capolino nella nostra mente. Poi, nello splendido capitolo dodicesimo, arriva, fortissima, una nuova sensazione, che sarà la sensazione dominante con la quale chiuderemo l'intero libro.
Il suo è stato uno "dei nuovi realismi" più realistici che abbiamo avuto, perché ha saputo raccontare aspetti della vita italiana contemporanea su cui pochi sino ad allora avevano fermato veramente l'attenzione, perché in mezzo a questa realtà viveva senza patemi intellettualistici, e perché aveva una capacità di visione unica, piena di pietà ma quasi sempre scevra di moralismo. L'acutezza di certe sue analisi ha pochi eguali nelle pagine dei sociologi contemporanei: che nei licei italiani si glossino i truismi di Bauman anziché l'intelligenza di Labranca è un vero peccato, oltre che un segno.
Ecco, abbiamo finalmente capito: Labranca non è stato, o meglio non è stato solo, un genio pieno di sregolatezza. No, non solo appunto. Lui è stato soprattutto un argonauta del pensiero, potrebbero definirlo un "ranger delle lettere", se intendiamo ranger come una delle categorie di Dungeons&Dragons, ovvero un esploratore, una vedetta, uno scout, appunto. Perché se una cosa Labranca ci ha insegnato (senza mai volerlo fare), è stata l'importanza di saper tenere unito l'alto e il basso, il pop e l'accademico, per comprendere la nostra società contemporanea. Una cosa non da poco, che, almeno in Italia, è ascrivibile praticamente in toto a Labranca. E questo saggio di Claudio Giunta lo ribadisce con una forza e una grazia mai letti e visti prima d'ora.
Mattia Nesto
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