Cara Ijeawele (ovvero quindici consigli per crescere una bambina femminista)
di Chimamanda Ngozi AdichieEinaudi, maggio 2020
Traduzione di Andrea Sirotti
pp. 96
€ 10 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
I ruoli di genere ci vengono inculcati così a fondo che spesso li rispettiamo anche quando cozzano contro i nostri veri desideri, i nostri bisogni, la nostra felicità [...] Anziché permetterle di interiorizzare l'idea dei ruoli di genere, insegnale ad avere fiducia in se stessa. Dille che è importante cavarsela sa sole e badare a sé. Falle provare a riparare gli oggetti quando si rompono. Diamo subito per scontato che le ragazze non siano capaci di fare molte cose. (p. 23)
Quante sono le domande che un neo genitore si pone nel momento in cui mette al mondo un figlio?
Innumerevoli: sarò in grado di proteggerlo/a? Di renderlo/a felice? Di trasmettere il valore delle cose che contano? E potremmo continuare all'infinito se pensiamo alla varietà di situazioni di fronte a cui ci mette la vita, imprevedibili anche quando ci sembra di vederne il corso.
Quando si diventa genitori di una bambina le domande rimangono le stesse, certamente, ma le risposte spesso cambiano perché l'esperienza che le donne fanno del mondo è diversa e come tale merita un angolo di osservazione proprio, dedicato.
Richiede una differenza di sguardo che non ha l'obiettivo di rendere ancora più profondo il solco della diversità uomini-donne ma, al contrario, di colmarlo attraverso la consapevolezza e la discussione.
Proprio questo è l'angolo che sceglie Chimamanda Ngozi Adichie per il suo Cara Ijeawele, libro che riprende e amplia una lettera che l'autrice aveva scritto per un'amica e neomamma che le aveva chiesto come crescere una bambina femminista.
La scrittrice e studiosa nata in Nigeria e premiata per lavori come L'ibisco viola, Metà di un sole giallo e Americanah, ha già scritto un pamhplet intitolato Dovremmo essere tutti femministi nel quale prendeva in esame gli insegnamenti che diamo ai nostri figli come leva fondamentale per costruire un mondo migliore in cui uomini e donne possano ambire a una maggiore fedeltà verso se stessi.
In Cara Ijeawele Adichie (definita "la Chinua Achebe del XXI secolo"), riprende questo spunto isolando quindici consigli che diventano punti di un manifesto programmatico che non è pura teoria ma pratica e vita vissuta.
Innumerevoli: sarò in grado di proteggerlo/a? Di renderlo/a felice? Di trasmettere il valore delle cose che contano? E potremmo continuare all'infinito se pensiamo alla varietà di situazioni di fronte a cui ci mette la vita, imprevedibili anche quando ci sembra di vederne il corso.
Quando si diventa genitori di una bambina le domande rimangono le stesse, certamente, ma le risposte spesso cambiano perché l'esperienza che le donne fanno del mondo è diversa e come tale merita un angolo di osservazione proprio, dedicato.
Richiede una differenza di sguardo che non ha l'obiettivo di rendere ancora più profondo il solco della diversità uomini-donne ma, al contrario, di colmarlo attraverso la consapevolezza e la discussione.
Proprio questo è l'angolo che sceglie Chimamanda Ngozi Adichie per il suo Cara Ijeawele, libro che riprende e amplia una lettera che l'autrice aveva scritto per un'amica e neomamma che le aveva chiesto come crescere una bambina femminista.
La scrittrice e studiosa nata in Nigeria e premiata per lavori come L'ibisco viola, Metà di un sole giallo e Americanah, ha già scritto un pamhplet intitolato Dovremmo essere tutti femministi nel quale prendeva in esame gli insegnamenti che diamo ai nostri figli come leva fondamentale per costruire un mondo migliore in cui uomini e donne possano ambire a una maggiore fedeltà verso se stessi.
In Cara Ijeawele Adichie (definita "la Chinua Achebe del XXI secolo"), riprende questo spunto isolando quindici consigli che diventano punti di un manifesto programmatico che non è pura teoria ma pratica e vita vissuta.
Il volume, che mantiene il tono caldo della lettera amicale (c'è un "tu" avvolgente che rimbalza dalla mittente alla destinataria lungo tutta l'argomentazione scritta), plana con leggerezza sui temi più cruciali della questione femminile senza la pretesa di fornire una narrazione esaustiva e cattedratica ma con l'unico obiettivo di scrivere "una lettera onesta e pratica".
I consigli ci appaiono quindi non come astratte dissertazioni sociali ma come tappe concrete della crescita di una femmina con tanto di esempi quotidiani che potrebbero portare molte lettrici a pensare: “è successo anche a me.”
I temi affrontati spaziano dalla completezza personale ("Sii una persona completa. La maternità è un dono fantastico, ma evita di definirti solo in termini di maternità.") all'importanza di una relazione paritaria con il proprio partner ("E per favore non ragionare in termini di aiuto. Prendendosi cura di sua figlia, Chudi non ti sta 'aiutando'. Fa quello che deve.")
E ancora dalla messa in discussione dei ruoli di genere e della lingua, ricettacolo dei nostri pregiudizi e delle convinzioni più radicate, alla lotta contro il bisogno costante di compiacere gli altri:
Insegnale a bandire l'ansia di compiacere. Il suo obiettivo non è rendersi piacevole agli altri, il suo obiettivo è essere pienamente se stessa, una persona onesta e consapevole della pari umanità degli altri. (p. 51)
Adichie mette in guardia dalle trappole che tutti noi - come donne e come uomini non fa differenza - incontriamo quando nel quotidiano affrontiamo le sfide connesse alla discussione e all'esperienza del genere. Stereotipi, preconcetti radicati sotto pelle, timore della diversità, strumentalizzazione della biologia come giustificazione delle norme sociali (si pensi ai privilegi di cui gli uomini godono in virtù della loro superiorità fisica). Ma ci invita a riflettere anche sulle trappole del cosiddetto "femminismo light", cioè l'idea di un'uguaglianza femminile condizionata, basata sui "ma", sugli "eppure" e sugli "anche se". Non esiste femminismo a metà.
Il volume non ha l'ambizione di esaurire in quindici punti il senso della questione femminile e pertanto resterebbe deluso il lettore che si aspetti una profonda argomentazione dei temi o una ricchezza di spunti intertestuali per approfondire.
Va letto con lo spirito di chi vuole accostarsi al tema partendo da quegli aspetti talmente fondanti da essere spesso messi da parte e dati per assodati laddove purtroppo non lo sono (ancora).
Più che per la scelta dei singoli temi il libro ha quindi a mio parere un principale punto di forza: fornisce un'argomentazione che potremmo definire universale.
Destinataria è Ijeawele, donna igbo, ma la lettera parlerebbe con la stessa forza ed efficacia a una donna di un'altra cultura, formazione, status sociale.
L'universalità del discorso di Adichie sta nello svincolare il "femminista" del titolo dalle realtà sociali e dai costrutti comportamentali che ne derivano per parlare prima di tutto di identità e di umanità.
Per questo i punti in cui l'autrice produce le note più vibranti sono quelli in cui sottolinea l'importanza di insegnare la differenza e l'alternativa.
Un mondo migliore per le donne non si costruisce solamente edificando attorno a loro tutte quelle strutture necessarie per farle vivere nel rispetto di sé, nella realizzazione delle proprie potenzialità e nell'esercizio di diritti e opportunità, ma prima di tutto spiegando alle bambine sin da piccolissime che tutti i sentieri che desiderano intraprendere sono validi e che i modelli di esperienza che in tanti (a casa, a lavoro, nelle reti sociali...) cercheranno di imporre loro non andranno mai universalizzati.
È solo interiorizzando la costante possibilità delle alternative che le faremo sentire libere di scegliere, nel successo come nell'errore, la propria strada.
E non si parla di quelle asfissianti alternative binarie che continuano a limitarci (madre/non madre; donna sposata/donna sola; donna in carriera/donna di casa; donna sessualmente libera/donna morigerata...), ma della coscienza che non c'è nessun ruolo predefinito da vestire per vivere la nostra vita.
Il volume non ha l'ambizione di esaurire in quindici punti il senso della questione femminile e pertanto resterebbe deluso il lettore che si aspetti una profonda argomentazione dei temi o una ricchezza di spunti intertestuali per approfondire.
Va letto con lo spirito di chi vuole accostarsi al tema partendo da quegli aspetti talmente fondanti da essere spesso messi da parte e dati per assodati laddove purtroppo non lo sono (ancora).
Più che per la scelta dei singoli temi il libro ha quindi a mio parere un principale punto di forza: fornisce un'argomentazione che potremmo definire universale.
Destinataria è Ijeawele, donna igbo, ma la lettera parlerebbe con la stessa forza ed efficacia a una donna di un'altra cultura, formazione, status sociale.
L'universalità del discorso di Adichie sta nello svincolare il "femminista" del titolo dalle realtà sociali e dai costrutti comportamentali che ne derivano per parlare prima di tutto di identità e di umanità.
Per questo i punti in cui l'autrice produce le note più vibranti sono quelli in cui sottolinea l'importanza di insegnare la differenza e l'alternativa.
Un mondo migliore per le donne non si costruisce solamente edificando attorno a loro tutte quelle strutture necessarie per farle vivere nel rispetto di sé, nella realizzazione delle proprie potenzialità e nell'esercizio di diritti e opportunità, ma prima di tutto spiegando alle bambine sin da piccolissime che tutti i sentieri che desiderano intraprendere sono validi e che i modelli di esperienza che in tanti (a casa, a lavoro, nelle reti sociali...) cercheranno di imporre loro non andranno mai universalizzati.
È solo interiorizzando la costante possibilità delle alternative che le faremo sentire libere di scegliere, nel successo come nell'errore, la propria strada.
E non si parla di quelle asfissianti alternative binarie che continuano a limitarci (madre/non madre; donna sposata/donna sola; donna in carriera/donna di casa; donna sessualmente libera/donna morigerata...), ma della coscienza che non c'è nessun ruolo predefinito da vestire per vivere la nostra vita.
Claudia Consoli