Le donne di troppo
di George Gissing
Edizioni La Tartaruga, febbraio 2017
Prima edizione: 1893
Traduzione di Vincenzo Latronico
pp. 476
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Audiolibro disponibile
Coinvolgimenti romantici, eredità inaspettate, campagna inglese e ville londinesi. Tutto quello che ci si aspetta da un romanzo vittoriano, vero? Sì, ma no. Perché la storia che ci racconta Gissing ha uno scopo diverso. Non vuole parlare di quei lieto fine amorosi che i suoi contemporanei cercavano nei romanzi, quei romances che Virginia Madden, una delle protagoniste del romanzo, legge ubriacandosi di gin per dimenticare gli stenti e le infelicità della sua vita. Vuole parlarci di chi quei romanzi li cerca e in essi si rifugia, vuole parlarci delle vite che troppo spesso la letteratura e la memoria non ci ha tramandato; coloro che leggono i romanzi, coloro come Virginia Madden. Gissing, come anche Thomas Hardy e tanti altri, sancisce la fine dell’Ottocento vittoriano, abbattendo gli alti muri che rinchiudevano la percezione dei lettori e parlandoci delle altre donne. Di quelle che non potevano sposarsi, non solo per mancanza di mezzi o di possibilità, ma proprio per statistica:
"Ma sai che nel nostro felice Paese le donne sono mezzo milione in più degli uomini?" disse Rhoda."Mezzo milione!" le fece eco Monica.
Sono queste le “odd women”, le protagoniste del romanzo: Virginia, Alice e Monica Madden. Facciamo la loro conoscenza nel primo capitolo, in una scena di idilliaca felicità campestre: il loro padre, rimasto vedovo, farebbe tutto per vedere le proprie figlie vivere una vita più comoda possibile nella campagna inglese, una vita che non le costringa a uscire dalle mura domestiche per guadagnarsi il pane. Ma quella stessa sera, il padre muore in un tragico incidente. E le sorelle Madden devono unirsi alle schiere delle “donne di troppo”, in inglese “odd women”, con un gioco di parole che in italiano si perde; donne spaiate ma anche donne “strane”, paradossalmente strane, che pur essendo numerosissime in Inghilterra, non venivano ancora riconosciute dall’immaginario comune, tantomeno dalla letteratura, dalla politica o dal sistema economico, nonostante l’avanzata delle prime New Women, coloro che poi reclameranno il suffragio femminile e opportunità lavorative che andassero oltre il sempiterno ruolo di istitutrice o bambinaia.
Le sorelle Madden sono solo le prime dei mille interessantissimi personaggi che Gissing mette in campo; niente donne bellissime né affluenti gentiluomini, niente matrimoni trionfanti né brughiere tempestate dal vento. Quello che vediamo sono personaggi imperfetti, quasi banali, che non spiccano sullo sfondo della Londra di fine Ottocento; personaggi rovinati dai soldi o dalla loro assenza, che non godono delle loro eredità come faceva la upper middle class di tanta letteratura vittoriana, che si muoveva pacatamente per salotti di velluto senza chiedersi da dove venissero le loro rendite. Personaggi mossi da sentimenti amorosi o pseudoamorosi che poi non riescono ad avere compimento per un tempismo sbagliato o per mancanza di forza di volontà; personaggi invischiati in matrimoni basati su sentimenti vacillanti, personaggi che muoiono di morti ingiuste. Insomma, Gissing vuole parlarci non di quelle donne inglesi che, nella fin de siécle, si sposavano e dedicavano la loro vita ad essere un “angelo del focolare”, disinteressandosi del proprio sostentamento economico; vuole parlarci delle tantissime altre donne che non avevano questa scelta o che volontariamente sceglievano di vivere una vita profondamente diversa da questa. Vite agitate da piccoli e grandi dolori che passavano totalmente inosservati agli occhi contemporanei, pur essendo moltiplicati per migliaia di volte nella metropoli londinese e oltre. O forse proprio per questo. Un romanzo potente, da leggere per avere una visione alternativa dell’Inghilterra vittoriana che è ormai diventata un topos di suggestioni per molti di noi ancora oggi; consapevoli che un romanzo del genere non potrà avere un lieto fine, e si dovrà necessariamente concludere con un singhiozzo, e una lacrima.
Marta Olivi