di Carla Fiorentino
Fandango Libri, 2020
pp. 205
€ 16,00 (cartaceo)
€ 4.99 (ebook)
Titolo assai curioso per questo secondo romanzo di Carla Fiorentino (anche il precedente non era da meno, Che cosa fanno i cucù nelle mezz'ore). Eppure non è stato questo il motivo che mi ha spinto a leggere il romanzo, la prima molla è stata l'ambientazione. Cornice della trama è infatti l'Isola di San Pietro, un piccolo isolotto sardo (o forse sarebbe meglio dire tardo genovese e poi scopriremo perché) che si arrocca poco al largo da Portovesme, nella Sardegna sud-occidentale. Un'isola che amo moltissimo, battuta dal vento, capace di colori ineguagliabili, terra di tradizioni antichissime, come invero tutta la Sardegna, ma qui di più, patria dei tonni. Più che patria, ultima spiaggia per tanti di loro che terminano qua, chiusi nella tonnara, la loro corsa alla riproduzione. E infatti il tonno rosso che passa a queste latitudini si chiama proprio così, "tonno di corsa". Qui, sull'isola di San Pietro, è ancora in funzione una delle ultime tonnare del Mediterraneo. Un'attività che sull'isola scandisce il tempo, determina figure tradizionali, movenze tipiche e gestualità antiche.
Proprio in questo contesto, a Carloforte, unico centro abitato dell'isola, è ambientato "I tonni non nuotano in scatola" di Carla Fiorentino. E con i colori dell'isola negli occhi, mi sono tuffata nel libro. Dopo alcune pagine , in realtà, l'avrei buttato a mare... No, è solo un'iperbole scherzosa naturalmente, giusto per restare in tema. Non la prenda a male l'autrice, ma in me hanno destato perplessità frasi come: "Era una mattina strana, senza vento, di quelle che nell'isola sono rare come banconote da duecento euro nelle tasche di uno studente" o "Maria era stata acchiappata da un'onda mentre lanciava la lenza con la stessa naturalezza con cui mia madre stendeva il bucato". O ancora "una turista continentale a cui le domande sgorgavano dal cuore come chiacchiere dalla bocca di una vedova" e per continuare "la soluzione folle e convenzionale del matrimonio. La soluzione che sapeva benissimo essere per me paragonabile a una seduta estetica superiore alle due ore. O alle unghie lunghe con gli smalti decorati". Ecco, comparazioni di questo genere, appiattite sul quotidiano o sul modo di dire, corrono il rischio, a mio parere, di abbassare la qualità narrativa della scrittura.
Per fortuna la verve comparatistica dell'autrice è andata esaurendosi con il proseguire della storia. La cui trama si dipana così: Vetta (diminutivo di Violetta) è una giornalista romana che lavora in una rivista di viaggi, fanatica della piscina e refrattaria, in modo quasi parossistico, al matrimonio, convenzione sociale che le fa orrore. Condivide, fortunatamente per lei, questa avversione con il fidanzato Federico.
A rompere la quotidianità un piccolo avvenimento, che assume i contorni di una tragedia greca: cercando nella giacca di Federico un biglietto dell'autobus, Vetta tocca un oggetto che ha le fattezze indiscutibili di una scatoletta da anello di fidanzamento. E quindi, pensa lei, successivo inevitabile matrimonio. Presa dal panico, Vetta si fionda in redazione e si fa spedire dal direttore lontano, via da Roma, dalla scatoletta, dal fidanzato fedifrago, che, comprandole un anello, ha osato infrangere il loro antico patto. Ma dove? L'istinto la porta a indicare l'isola di San Pietro, dove aveva vissuto lunghe estati da bambina nella casa avita. Con la promessa di tornare con uno splendido articolo sulla tonnara. Non appena mette piede sull'isola il caso, un po' forzosamente fortuito, le fa incontrare Pietro, un bell'isolano che di lavoro fa il sommozzatore proprio alla tonnara. Vincendo le resistenze dell'uomo, Vetta si fa invitare al rito della mattanza e lì avviene ciò che dà il la a tutta la vicenda. Insieme ai corpi lucidi e guizzanti dei tonni che inconsapevolmente stanno andando a morire, Vetta scorge una cosa strana, incongrua, che in mezzo ai tonni non ci dovrebbe stare, il corpo di una donna. E si mette a gridare.
Il vero intreccio del romanzo si diparte da qui. C'è un mistero apparente che veleggia sull'isola. Donne spariscono tra i flutti e il mare, padrone dell'ambiente, tutto tiene per sé. "Il paese sa tutto", sono le parole che più spesso Vetta sente ripetere da Caterinetta, la fin troppo franca e schietta padrona di casa presso la quale alloggia. Ma che cosa sa il paese? E perché tutti schivano le sue domande? Una giornalista che si guarda attorno e chiede informazioni sembra dare fastidio. Il romanzo si avvia così verso la parte più bella, il soggiorno sull'isola di Vetta durato 23 giorni. Tanti le ci vogliono a scoprire che cosa si nasconde dietro la facciata colorata delle case dell'isola.
L'autrice ha definito questo suo secondo romanzo un "comedy-noir", con una netta prevalenza, a parer mio, della prima sul secondo.
Nonostante alcune perplessità personali dovute a un linguaggio, a mio parere, a volte troppo schiacciato sul quotidiano, alla poca caratterizzazione psicologica dei personaggi, racchiusi in cliché che rischiano di diventare un po' scontati, e ai dialoghi, qua e là forzosi, il libro in realtà si lascia leggere piacevolmente, trovando le sue pagine migliori nelle descrizioni dell'isola. I carruggi di Carloforte (antica reminiscenza urbanistica di un passato genovese), tanto piccoli che ci si passa a malapena, tanto stretti che gli odori, forti e saporosi, delle cucine ristagnano nell'aria, non trovando una facile via d'uscita. Il porto, con il suo andirivieni di traghetti, persone, merci. Gli anziani seduti sulle panchine, i cosiddetti baruffi, intenti a commentare il presente e a ricordare il passato. Quel profumo buono, portato dal vento, di mare, di sale, di pesce, di carburante delle barche, di porto che richiama immediatamente l'estate. E il mare, onnipresente sull'isola, vero dominus incontrastato, con i suoi colori, dal blu profondo della lontananza al verde tranquillo delle cale fino al bianco spumeggiante delle onde agitate dal vento.
Se siete sdraiati pigramente sulla sabbia o cullati dal beccheggiare di una piccola barca, la lettura di questo romanzo non potrà che amplificare tutto il bene che vien dal mare.
Sabrina Miglio