L'uovo di Barbablù
di Margaret Atwood
Racconti edizioni, giugno 2020
Traduzione di Gaja Cenciarelli
pp. 316
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
€ 9,99 (ebook)
Ci sono autori, autori eccellenti, che sembrano scrivere e riscrivere ancora la stessa storia, mutata nella struttura narrativa, talvolta nella forma letteraria scelta, ma di cui si avverte più o meno immediata quella comune visione di fondo. Penso, per esempio, a uno dei miei personali miti letterari, Richard Yates, e all’eco di Revolutionary Road che avverto in ogni sua opere successiva, tanto romanzo quanto racconto, in una ripresa di tematiche e spunti tutt’altro che ripetitiva per la maestria con cui riversa parole, atmosfere e sensazioni sulla pagina, ma riconoscibile.
Margaret Atwood avrebbe potuto scrivere e riscrivere ancora il suo romanzo più celebre, Il racconto dell’ancella, dentro il quale condensa tutte le tematiche a lei più care e crea LA distopia femminista per eccellenza. Eppure, Atwood per me è tra quegli autori sempre capace di sorprendere il lettore confrontandosi con forme e spunti differenti, un po’ come Percival Everett o Joyce Carol Oates, tanto per fare due esempi. Resterà sempre legata a quel romanzo, tornato in vetta alle classifiche quando qualche anno fa ne è stata tratta una serie televisiva di successo, e il discorso sul femminile ritorna spesso nella sua produzione letteraria, ma sceglie ogni volta di provare un’altra storia, un altro sguardo, un’altra forma espressiva, quasi sempre con risultati eccellenti.
È il caso anche di questa ultima pubblicazione, la raccolta L’uovo di Barbablù, pubblicata da Racconti edizioni, che comprende dodici racconti tra inediti e nuove traduzioni, magistralmente resi in italiano da Gaja Cenciarelli che per la casa editrice romana aveva già curato la raccolta precedente di Atwood, Fantasie di stupro. Tra spunti autobiografici, racconti puri e testi a confine tra narrativa, saggio e riflessione personale, L’uovo di Barbablù contiene dodici storie che si collocano in un tempo narrativo molto ampio, dall’immediato dopoguerra fino alla fine degli anni Ottanta, l’ambientazione geografica circoscritta a comunità rurali o piccole cittadine canadesi, in cui la natura, il paesaggio, i luoghi sono parte integrante della storia.
Al centro della narrazione, naturalmente, il discorso sul femminile, tra i temi più cari all’autrice, che declina in forme e identità molto differenti, creando ogni volta rappresentazioni non stereotipate dell’essere donna, amante, madre, compagna. Donne fuori dagli schemi, di cui Atwood racconta fasi diverse della vita, dalla pre-adolescenza fino all’età più matura, in ogni caso con eguale intensità, attenzione, profondità psicologica. Al discorso sul femminile si intreccia la rappresentazione di sentimenti, relazioni, famiglia, confronto generazionale. Le relazioni quasi sempre complicate da incomprensioni, piccole meschinità quotidiane, distanze, sentimenti ancora acerbi o desiderio di libertà.
[…] L’amore è solo un’altra forma di dipendenza. (Il sorgere del sole, p. 289)
È il problema originale, l’incapacità di comprendersi, comunicare, che fornisce spunti inesauribili alla riflessione letteraria; l’identità, la maschera che scegliamo di indossare, il ruolo che interpretiamo per gli altri:
Qualche volta pensa che stiano tutti recitando, crogiolandosi in una mascherata da adulti alla fine della quale non si conclude niente. (Scorfana, p. 102)
A legare i racconti, oltre ad alcune tematiche ricorrenti – femminilità, sentimenti, la riflessione sul tempo – la sensazione di qualcosa che sta per esplodere, di cui Atwood non ci mostra mai sulla pagina la scena ma ci lascia percepire tutta la tensione, il senso di precarietà e di qualcosa che è destinato di lì a poco a cambiare, finire per sempre, che sia la storia tra due adolescenti o l’ennesimo trasferimento in qualche zona sempre più remota.
Un certo grado di indefinitezza, quindi, che si intreccia alla ricchezza di trame e sotto trame in cui le seconde sono talvolta l’elemento più importante della storia, il punto di vista privilegiato da cui osservare.
La narrazione de L’uovo di Barbablù, quindi, da la sensazione di acqua solo all’apparenza calma, ma che appena sotto la superficie scava e cela misteri più complessi, a partire da quello stesso mistero della scrittura e dell’arte, spunti che ricorrono in diverse storie, ogni volta in forme diverse, ma che rappresentano anche una più generica riflessione su codici espressivi, polifonia della narrazione, traduzione. Ci addentriamo nel testo dimenticando – e questo è un plauso all’ottimo lavoro di traduzione – la complessità e la ricchezza della voce di Atwood, i rimandi, i giochi di parole che ci si dispiegano davanti con apparente naturalezza.
Laddove manca tra i personaggi di queste storie la condivisione di un codice espressivo comune, la capacità di comprendersi davvero, ecco, a noi lettori è stato fornito, per addentrarsi nell’universo di Atwood, nei suoi racconti e nelle pieghe dell’animo umano da lei magistralmente rappresentate.
Di Debora Lambruschini