Gli affamati
di Mattia Insolia
Ponte alle grazie, 2020
pp. 176
€ 14 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
Il compito di Paolo era proteggerli. Sé stesso e Antonio. Ma non ne era in grado e se ne rendeva conto sempre troppo tardi. Tutte le volte che il mondo faceva incursione nella loro vita. Che qualcuno cercava di schiacciarli. Tutte quelle volte lui capiva di non essere all'altezza del compito, e lo capiva sempre quando era tardi. Era capace solo di aggiungere caos al caos, nella speranza che la confusione li salvaguardasse. E quando le forze gli venivano meno, non poteva far altro che arrendersi. Lasciarsi andare. (p. 143)
Prendete due fratelli che sono dovuti diventare grandi tutti d'un colpo, perché la madre li ha abbandonati e il padre è stato trovato morto in casa, dopo una pesante sbronza. Prendete Paolo Acquicella, che a ventidue anni lavora in un cantiere edile pur odiando ogni giorno quello che fa, e non vedendo l'ora di rilassarsi alla domenica, quando, senza forze, ha giusto voglia di una canna e qualche birra in panciolle. Prendete un fratello minore di tre anni, Antonio Acquicella, che non sa cosa farà della propria vita, perché si sente inadeguato tanto nello studio, quanto nelle relazioni, e non riesce neanche a trovarsi un lavoretto per sbarcare il lunario. Le loro uscite per evadere? I soliti amici, il solito fumo, i soliti posti, il solito alcol e, semmai, qualche ragazza di passaggio. Niente che resti. Forse per questo, o forse per due grandi e gravi segreti che i fratelli non sanno confessarsi, la frustrazione è sempre acquattata accanto a loro, pronta a sbranarli e a trasformarsi in una rabbia cieca. Gli accessi di violenza - una violenza inspiegabile, folle, che non sa fermarsi - coglie a volte Paolo alla sprovvista, in un crescendo impossibile da giustificare (e alcuni episodi risultano difficili da digerire per il lettore), per quanto vi si annidino traumi irrisolti ed enormi richiami d'aiuto. Qualche volta questo stare "sempre incazzato", come viene detto in più occasioni nel romanzo, fa sì che Paolo perda le staffe anche con Antonio: d'altra parte, il fratello minore gli chiede soldi e non fa nulla per contribuire.
Ok, a questo punto avete più o meno un'idea di come trascorre la vita in un paesino immaginario del centro-sud italiano. Ma quel che non sapete ancora è che nelle primissime pagine scopriamo un evento scioccante, leggiamo di un terribile incidente, del sangue, e nel corso del libro non facciamo che chiederci che cosa sia accaduto. Per scoprirlo, dovremo percorrere i due mesi precedenti, attraverso un lungo flashback che è il centro pulsante del romanzo: lì entriamo nelle vite dei fratelli Acquicella, vite alla giornata, sì, ma anche vite difficili, in cui c'è poco spazio per la gioia. Questa si intravede, ed è sempre fatta di cose semplici, commisurate al tenere bene i piedi fissi a terra, senza mai possibilità di chissà quali sogni pindarici. Andarsene da lì e ricominciare daccapo? Un'utopia, che qualche volta solletica la fantasia di Antonio, soprattutto perché i suoi amici, figli di famiglie agiate, hanno davanti tante scelte. Lui, semmai, ha come prospettiva quella di cercarsi un lavoro per accontentare Paolo, e sperare nell'amore di una ragazza. Ogni volta, però, è la stessa storia: nessuna si ferma. E Antonio si abbrutisce di più.
Paolo, invece, è più fortunato, se vogliamo, rimedia qualche uscita ma non cerca nulla di più. Il suo presente è fatto di doveri, a cominciare dal proteggere il fratello, ed è forse per questo che i piaceri, quando li vuole, Paolo li strappa via a morsi, come se non sapesse in quale altro modo appropriarsene. E quando ha lacerato quei piaceri, ecco che è stanco, indolente, nervoso. Una bestia, persino.
Forse questo è il risultato di un'infanzia difficile, fatta di ricordi sfocati che nel corso del romanzo lasciano immaginare che la madre non se ne sia andata senza motivo. Ciò non toglie che quando la madre si ripresenta in paese, e all'improvviso, senza avvisare, entra nella sua vecchia casa, Paolo e Antonio si coalizzano - chi con più veemenza, chi con qualche dubbio - contro la donna che li ha abbandonati, la stessa che non ha neanche presenziato al funerale del marito.
Questo ritorno non è che la prima delle tante crepe che andranno a formarsi nell'equilibrio precario che i due fratelli si sono costruiti: tutto sembra accelerare verso uno schianto, lo schianto di cui leggiamo nelle prime pagine, certo, ma anche uno schianto interiore, fatto di delusioni, scoperte sconvolgenti, segreti che affiorano e altri che, intuiti da tempo, trovano semplice conferma.
Gli affamati è un romanzo che non risparmia nulla: l'esordio narrativo di Mattia Insolia è tutt'altro che prevedibile, è tanto concreto da far male in alcune pagine, più psicologico in altre. Anche nei passaggi in cui troviamo apparentemente solo la quotidianità dei personaggi, si cela in realtà la cupa inquietudine che ammanta tutte le loro giornate: la mancanza di uno scopo che non vada oltre il semplice "tirare a campare". Non meraviglia affatto che l'autore si sia laureato con una tesi sul movimento letterario dei Cannibali: nelle sue pagine echeggiano inequivocabilmente le loro influenze, ma occorre sottolineare che la storia di Insolia è originale e proprio questo è un grande pregio, così come l'essersi sempre evitato di scagionare i suoi personaggi. C'è violenza - verbale, fisica, mentale - in Gli affamati, così come c'è un grido d'aiuto e di disperazione che sembra trovare risposta - almeno temporaneamente - in un abbraccio tra fratelli.
GMGhioni
Forse questo è il risultato di un'infanzia difficile, fatta di ricordi sfocati che nel corso del romanzo lasciano immaginare che la madre non se ne sia andata senza motivo. Ciò non toglie che quando la madre si ripresenta in paese, e all'improvviso, senza avvisare, entra nella sua vecchia casa, Paolo e Antonio si coalizzano - chi con più veemenza, chi con qualche dubbio - contro la donna che li ha abbandonati, la stessa che non ha neanche presenziato al funerale del marito.
Questo ritorno non è che la prima delle tante crepe che andranno a formarsi nell'equilibrio precario che i due fratelli si sono costruiti: tutto sembra accelerare verso uno schianto, lo schianto di cui leggiamo nelle prime pagine, certo, ma anche uno schianto interiore, fatto di delusioni, scoperte sconvolgenti, segreti che affiorano e altri che, intuiti da tempo, trovano semplice conferma.
Gli affamati è un romanzo che non risparmia nulla: l'esordio narrativo di Mattia Insolia è tutt'altro che prevedibile, è tanto concreto da far male in alcune pagine, più psicologico in altre. Anche nei passaggi in cui troviamo apparentemente solo la quotidianità dei personaggi, si cela in realtà la cupa inquietudine che ammanta tutte le loro giornate: la mancanza di uno scopo che non vada oltre il semplice "tirare a campare". Non meraviglia affatto che l'autore si sia laureato con una tesi sul movimento letterario dei Cannibali: nelle sue pagine echeggiano inequivocabilmente le loro influenze, ma occorre sottolineare che la storia di Insolia è originale e proprio questo è un grande pregio, così come l'essersi sempre evitato di scagionare i suoi personaggi. C'è violenza - verbale, fisica, mentale - in Gli affamati, così come c'è un grido d'aiuto e di disperazione che sembra trovare risposta - almeno temporaneamente - in un abbraccio tra fratelli.
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