Storia di una passione nell'Europa del Settecento
di Philipp Blom
Marsilio, 2020
Traduzione di F. Peri
pp. 311
€ 19,00 (cartaceo)
€ 11,99 (e-book)
Un saggio travestito da romanzo... o viceversa. Difficilissimo dare un'etichetta a "Un viaggio italiano" di Philipp Blom. Un libro che fa della stratigrafia narrativa il suo peculiare mezzo di espressione. E più il lettore scava più trova elementi di interesse.
Blom non è nuovo a esperimenti di questo genere (ricordiamo Il primo inverno e La grande frattura, libri in cui la narrazione si dipana a partire dal nocciolo, una piccola era glaciale fra 1570 e 1700 nel primo libro, e il ventennio tra 1918 e 1938 nel secondo, allargandosi a cerchi concentrici verso molteplici esperienze dell'animo umano, culturali e metafisiche e verso racconti storici, filosofici, paesaggistici). In quest'ultima opera il nocciolo è costituito dal suo violino, lo strumento di cui Blom si innamorò la prima volta che lo vide nella bottega di un liutaio di Vienna. Un violino dall'aria misteriosa, dall'aspetto inconfondibilmente italiano, ma con elementi di chiara fattura tedesca. E con un'etichetta completamente sbagliata, che lo attribuiva al liutaio milanese Carlo Giuseppe Testore, 1605. Cosa assai difficile, considerato che il maestro nacque nel 1665. Un mistero. Philipp Blom, grandi doti da musicista oltreché di scrittore, non appena ebbe tra le mani lo strumento sentì che si attagliava perfettamente a lui, come un compagno ritrovato, l'anima gemella. Da qui, dall'inizio di questa storia d'amore musicale, nacque quell'ossessione che lo portò, per svariati anni a seguire, alla ricerca del liutaio misterioso, quell'artigiano che, probabilmente di nascita tedesca e di formazione italiana, dette vita a quello splendido strumento. Determinando così un incontro di mani, di dita, quelle che modellarono il legno e quelle che da quel legno trassero suoni, fino ad arrivare a Blom, ultimo in ordine di tempo, ma non in assoluto. Dopi di lui altre mani lo toccheranno e altri suoni ne usciranno, attraverso i secoli.
Ed è proprio sulle tracce del misterioso liutaio che Blom ci spinge pagina dopo pagina, digressione dopo digressione. La struttura del testo è, come detto, costituita da strati vari di profondità. E se talune pagine saranno apprezzate più che altro da cultori della musica, risultando magari un poco impervie o noiose per chi non conosce in modo approfondito l'arte di Euterpe, il lettore più "comune" (nelle cui file mi annovero) rimarranno incantati dai racconti sull'attraversamento delle Alpi tra '600 e '700, che nulla aveva di turistico, ma per la pericolosità dei luoghi e le avversità meteorologiche diventava una vera e propria prova da superare. Rimarranno ad ascoltare il cicaleccio della Venezia del tempo, tra suoni di strumenti, chiacchiere tra calli e campielli, ammiccamenti di giovani ragazze e urla di venditori. Quasi come tuffarsi in un quadro di Canaletto. Rimarranno a bocca aperta davanti alla Danza macabra di Fussen, il ciclo pittorico che, su dieci tavole di legno, raffigura la morte, in veste di scheletri ghignanti, che viene a chiamare personaggi di ceto e censo diversi, dall'oste al papa, e tutti a passo di danza, incalzati dalla musica. A sospingere l'oste verso il suo destino è uno scheletro che, comodamente seduto su una botte, sottolinea il momento cruciale con le note di un violino. Perché è proprio da Fussen che parte il viaggio, nel tardo '600, patria di liutai che, quasi tutti, migrarono verso luoghi più munifici. Sarà partito proprio da questa piccola città dell'Algovia il nostro liutaio misterioso?
Queste sono soltanto alcune delle divagazioni, o dissertazioni, che accompagnano il lettore nella ricerca del volto dell'artigiano, autore del violino di Blom. Un'ossessione che porta lo scrittore in giro per l'Europa a mostrare il suo prezioso strumento ai massimi esperti del settore. Alla ricerca di qualsiasi notizia, appiglio, opinione che possa raccontare le origini di questo violino, che deve avere una storia, parte della quale è inscritta nel suo legno, nei segni di utilizzo che porta, nei suoi trecento anni di vita.
Possono succedere molte cose in trecento anni. Il destino si traduce in suono, la loro storia diviene parte della risonanza, e a volte capita perfino che la voce di uno strumento migliori dopo la riparazione di un grave danno. E perché no? I violini sono esseri viventi (p. 244)
Il destino si traduce in suono... una bellissima immagine che rende antropomorfo lo strumento, il quale, esattamente come un uomo, porta su di sé i segni del tempo e corre, cammina, vive, parla a seconda della vita che ha avuto.
Come finisca la ricerca di Blom non lo svelo. Al lettore il piacere di lasciarsi trasportare in giro per l'Europa e a spasso nel tempo, accompagnato da una lingua che è sapientemente scelta, anche nella traduzione, per sostenere questa architettura alta e raffinata. In un paesaggio fatto di artigiani, bottegai, principi, suonatori, osti, boscaioli, viaggiatori, cortigiane e pittori.
Ho ritrovato anche qualche accenno alla mia città, Cremona, patria dei più grandi violini al mondo, gli Stradivari, i Guarneri del Gesù... qualche veloce allusione solo per definirla la patria dei grandi maestri, ma un po' isolata e fuori dalle rotte economiche del tempo. Allora, come adesso.