Spigole
di Tito Faraci
Feltrinelli, 25 giugno 2020
pp. 208
€ 16,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
“Sei un inventore di nomi?”“No, invento storie”.“Sei un bugiardo?”Ettore stava per dire una cosa, però ne disse un'altra: “Sì, sono un bugiardo”. (p. 82)
Chi è per voi uno scrittore di fumetti di successo? Un lavoratore soddisfatto? Non necessariamente: nel suo nuovo romanzo, Spigole, Tito Faraci crea un protagonista che, come lui, è un famoso scrittore di fumetti: Ettore Lisio. L'uomo è continuamente in dubbio sulla possibilità di fare qualcosa di buono, nonostante abbia avuto grande successo, anni prima, con "Doc Diablo" (un fumetto di cui oggi si vergogna) e il suo "Ranger", che fa ancora buoni numeri. Adesso però è difficile pensare a che cosa far fare al suo Ranger: dopo aver sperimentato qualsiasi forma di agguato, scazzottata, prigionia e liberazione, pare impossibile scovare qualcosa di nuovo. Molto spesso non gli resta che chiamare il suo amico Roberto e chiedergli consiglio; poi, poco conta che sia proprio Ettore a scovare la soluzione. Insomma, Ettore è un uomo che sente di non essere più a suo agio lì, teme di non essere all'altezza (soffre forse di sindrome dell'impostore?) e spesso abbandona l'ufficio per una birretta nella sua Milano. Una birra o un bicchiere di vino che si infila come aperitivo e poi si moltiplica sotto il suo naso. Quante volte sua figlia adolescente Patrizia si ritrova davanti un padre che rientra tardi, dopo aver alzato il gomito con i suoi amici?
Certo, Ettore non ha ancora accettato la morte improvvisa della moglie e deve fare i conti con un lavoro che non lo appassiona più. L'ispirazione? Una volta era la sua migliore amica, ma ora gioca sempre di più a nascondino con i suoi fumetti. Ecco perché durante una delle sue peregrinazioni per la zona più oscura dei Navigli milanesi, Ettore pensa a rivoluzionare la sua vita: scopre che una pescheria storica ha appena chiuso e affitta i locali; dentro, ci sono ancora i banconi del pesce:
“Voglio vendere pesce. Perché sono stanco di pensare... pensare in quel modo lì. Stanco di dover sempre avere nuove idee e dopo essere sempre criticato, magari perché sono troppo nuove... o troppo vecchie. O troppo medie. D'ora in poi non farò che chiedere: che cosa vuoi? Vuoi una spigola? Ti do una spigola, fine. Funziona così, con la gente semplice. Con la gente normale. Nessuno potrà venirmi a dire che la spigola di dieci anni fa aveva più mordente, più urgenza, più grinta... che si vedeva che ci credevo di più, nella spigola di dieci anni fa. Non diranno che, sì, questa spigola è buona, però le manca il tocco... ma che tocco?! Non c'è stata un'evoluzione, perché non può esserci nessuna evoluzione, in una spigola, in dieci anni. Nemmeno in cento. Forse in un milione. Ma io non c'entro. Chiedete a Darwin”. (p. 47)
Gli amici di Ettore provano a spiegargli che in realtà gestire una pescheria non è per niente facile, come potrebbe pensare lui, e richiede capitali, oltre che conoscenza del mercato. Ma Ettore commette l'errore che almeno una volta hanno fatto tutti coloro che lavorano nel campo creativo: sperare che un lavoro manuale, "concreto", possa allontanare una volta per tutte la dipendenza dall'ispirazione. Dunque, detto fatto: la chiamata parte un giorno come tanti altri; Ettore ignora che effettivamente quella conversazione cambierà per sempre la sua vita, ma non come avrebbe potuto immaginare! Dal dialogo emerge subito qualcosa di losco, che suggerisce di lasciar perdere, di non immischiarsi; eppure... Eppure Ettore decide di recarsi all'appuntamento in una delle classiche notti nebbiose milanesi e in men che non si dica si ritrova per terra, con qualche colpo ben assestato (che nella realtà fa decisamente male, altro che quello che avviene nelle avventure del suo Ranger!) e un paio di minacce ancor più terrorizzanti. Accanto all'uomo che ha aggredito Ettore, una donna straniera, che resta ostinatamente in testa al protagonista e che lo porta a voler chiarire una volta per tutte la situazione:
Ed Ettore si ritrovò a pensare di nuovo a quella donna. Non bella, ma nemmeno brutta. In pericolo. L'aveva già trasformata: da persona a personaggio, per non correre il rischio di avvicinarsi troppo e poi sparire? Lo psicologo, quando era ancora così furbo da andarci, raccomandava sempre a Ettore di non sceneggiare la propria vita. Anche perché la gente e le cose, quelle sceneggiature, non le avrebbero mai rispettate. Lo avrebbero deluso, peggio del più indisciplinato dei disegnatori. (p. 131)
Ecco che il romanzo, che fino a questo punto ha mostrato un volto da piacevole commedia umana a tratti ironica e altrove nostalgica (come già avevamo visto in La vita in generale, uscito nel 2015 sempre per Feltrinelli), piega un po' verso il noir: le atmosfere di una Milano poco raccomandabile confermano che presto Ettore si troverà davvero davanti al pericolo (e anche a qualche arma da fuoco!). E la suspense cresce, trasformando il romanzo in una sorta di fumetto che susciterà sorrisi e anche preoccupazione per la sorte dei personaggi.
Tito Faraci prende il suo Ettore, che si crede un inetto del mondo creativo, e lo trasforma in un eroe a tratti coraggioso oltre la razionalità e il buon senso, capace di attirare guai e di risolverli a modo suo, con la casuale avventatezza dell'uomo della strada. Tuttavia, al di là del divertimento che certamente è uno dei punti forti del libro, in Spigole figura anche lo spaccato del lavoratore creativo di cui ho già parlato più volte, vero punto focale del libro. Ettore sarà costretto dagli eventi a rivedere la sua posizione sul lavoro in pescheria (mostrando anche un crescente rispetto per le professioni più faticose e manuali) e a ripensare alla propria idea di felicità. Il tutto, in una Milano che non è solo sfondo, ma che talvolta prende la parola in capitoli che la vedono al tempo stesso teatro e regista dell'azione, che veglia sui personaggi del romanzo.
GMGhioni
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