Tornare a casa
di Dörte Hansen
Fazi Editore, 2020
Traduzione di T. Ciuffoletti
pp. 440
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Che il concetto, inteso sia a livello filosofico che storico e sociale, di Heimat, ovvero di "piccola patria" per il mondo germanofo e in particolare tedesco sia un concetto chiave è cosa abbastanza scontata, tuttavia lo è molto meno attualizzare questo termine contraddistinto da una tradizione molto ampia, per il nostro tempo contemporaneo. Dörte Hansen con Tornare a casa, pubblicato da Fazi Editore, riesce in questa difficile impresa, grazie a una formula semplice ma perfetta nella sua realizzazione: ovvero innova il linguaggio, il modo di raccontare, non i temi. Ma andiamo a spiegare perché siamo davanti magari non a un libro perfetto ma, di sicuro, a un libro importante.
Abbiamo detto che Tornare a casa non è un libro perfetto, e ci piace iniziare dalla pars destruens perché di lodi il romanzo di Hansen ne avrà, meritatamente, più avanti. Il primo appunto è che la trama, o, per meglio dire, lo spunto della trama non è nulla di così originale, ovvero siamo di fronte alla classica storia di rivalsa di un protagonista che, dopo aver passato un'infanzia e un'adolescenza - per usare un eufemismo - non particolarmente tenere in un piccolo paese, se ne va e con la forza della propria abnegazione riesce, almeno apparentemente, a trovare il proprio posto nel mondo. Ovviamente, però, le circostanze della vita, cioè le precarie condizioni di salute dei nonni, gli impongono di ritornare a casa. Ecco lo spunto narrativo: niente di nuovo sotto il sole, vero?
Ma, dicevamo, il secondo appunto. Dörte Hansen, per tutto il libro, lungo oltre quattrocento pagine, non fuga, almeno a nostro avviso un dubbio piuttosto capitale: siamo di fronte a una scrittrice tout court oppure a una "specialista della lingua" prestata alla letteratura? La domanda non è capziosa se si pensa, e qui passiamo alla pars construens, agli incredibili punti di forza del libro. Ovvero, in prima analisi, quella particolarissima lingua, vividamente riprodotta anche in Italia, che permette al lettore di entrare a fondo nel microcosmo della Heimat del paese del protagonista.
Non è, anche qui, un espediente così innovativo, certo, ma per come è condotto, e questo è stato possibile grazie agli studi della scrittrice che, non a caso, è una linguista, a lasciare davvero stupefatti per la bravura. Un altro punto forte, fortissimo è che senza ricorrere alle classiche "macchiette" i personaggi sono tutti molto riconoscibili, sia dalla voce che dalla prossemica, per così dire, cosa non scontata.
In più - e questo forse motiva il fatto che Tornare a casa sia stato "il" caso letterario dell’anno in Germania, con oltre 400.000 copie vendute - nonostante la scrittrice non lo voglia mai "dire" apertamente, questo romanzo è un grande esperimento per fare i conti con la vera anima germanica. Di nuovo: questo tema è, ancora una volta, profondamente incastonato nella cultura e nella letteratura, anche filosofica, germafona, ma condotto in questo modo è qualcosa di innovativo.
E allora perché quella domanda, perché i dubbi sul fatto che Hansen sia o meno una vera "scrittrice": il motivo è presto detto, perché forse è stata troppo brava, troppo abile, troppo precisa nel dare una voce e un'anima ai propri personaggi dal dimenticarsi il corpo. La parte materica, in ultima analisi, è davvero la cosa che meno ci ha convinto del libro. Il paese lo vediamo, lo sentiamo e lo "capiamo" nel profondo (con quei tocchi di "malinconia bellezza" che ci sono piaciuti un mondo) ma raramente abbiamo avuto modo di "toccarlo" mentre leggevamo il lungo libro. Tuttavia, nonostante questo difetto non di poco conto, Tornare a casa è un libro importante. Non foss'altro perché scava in profondità nel nostro e nel vostro animo.
Mattia Nesto
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