di Valeria Parrella
La nave di Teseo, 2020
pp. 44
€ 7,00 (cartaceo)
€ 1,99 (ebook)
È una lettura breve e intensa quella a cui si presta il racconto di Valeria Parrella, appena riedito da La nave di Teseo. Una lettura da condurre matita alla mano, tanto è densa la prosa, piena di passi da mettere in rilievo. Sul banco degli imputati c’è una giovane Clitemnestra napoletana, che si rivolge a una giuria silenziosa, da cui aspetta un verdetto che sarà in realtà lei stessa a formulare.
A salvarla dal monologo sono gli interventi di Agamennone, che ritorna in forma di voce, memoria, coscienza. Elementi tipici del teatro shakespeariano – le mani insanguinate di Lady Macbeth, il fazzoletto di Desdemona, lo spettro che torna da Amleto – vengono qui risemantizzati, calati in una attualizzazione del classico, peraltro amara (il classico diventa semplicemente “vecchio”, storia consueta di ogni tempo): “So tutto”, dirà a un certo punto Clitemnestra ai suoi giudici silenti: “So tutto, è storia antica, no: non antica, è storia vecchia che si ripete nel suo squallore e non merita antichità” (p. 31). Eppure la storia di Clitemnestra è in realtà fin dalle sue origini moderna, modernissima, nel porre al centro una donna e il suo rapporto disfunzionale con un marito-padrone, che sacrifica tutto e tutti ai suoi desideri e alle sue esigenze: “la lucidità non esiste dove c’è Agamennone: dove c’è Agamennone esiste solo Agamennone” (p. 25).
Agamennone è il boss, che si invaghisce della ragazza borghese e ne fa la sua regina; l’uomo che la attira col suo sangue versato, che sa della sua città, della sua terra (“il sangue di quell’uomo [...], quella cosa lì mi diede il tempo e la misura della sua vita”, p. 15). La giovane donna capisce a sue spese (e ribadisce con forza davanti alla corte) che non è con il delitto che si versa il sangue. Clitemnestra è la sposa immolata sull’altare di un ego debordante (così come Ifigenia sarà l’innocenza sacrificata alle lotte di Camorra): “lui era Agamennone, e io la femmina sua, il mio utero per moltiplicare la sua immagine” (p. 22). Quella di Clitemnestra è la storia di una dipendenza venefica, che porta all’annichilimento del sé e poi, con l’insorgere della sete di vendetta, alla tragedia. Solo la morte la può liberare, la sposa lo sa bene – poco importa allora che sia quella di lui o la propria (e, in verità, le due dopotutto coincidono). I giudici, che ragionano in base alla logica, alle leggi, non potranno mai capire fino in fondo le oscurità che si nascondono nell’intimo di una donna innamorata e tradita, questa è la principale linea di difesa – o di autoaccusa – che Clitemnestra adotta per sé.
Nel dramma evocato dalle sue parole, il presagio non è più un lascito della sola Cassandra: anche Clitemnestra vede e sente, si allinea al destino già inscritto nelle cose. Quel che succederà è già impresso nella sua natura, fatta di “atti definitivi” – a cui la conduce la legge del sangue che la domina dal suo incontro con Agamennone. Valeria Parrella fa del suo racconto un pungolo con cui scavare nel sentire del lettore, scuoterne le certezze, mentre porta in scena (letteralmente) una visione profondamente disturbante della femminilità e delle relazioni amorose, che parte dal mito per parlare direttamente al nostro presente.
Ciao maschio
di Valeria Parrella
La Nave di Teseo, 2020
pp. 55
€ 7,00 (cartaceo)
€ 3,99 (ebook)
Anche per quanto riguarda Ciao maschio ci troviamo davanti a libretto dalla struttura fortemente teatrale, ma questa volta, a differenza di quanto avviene per Il verdetto, sul banco dei "testimoni" non si erge una figura mitologica, ma una donna, cinquantenne, che si trova a una singolare resa dei conti. Tra sogno, delirio e memoria vede comparare davanti a sé gli uomini del suo passato che la accusano senza tanti giri di parole di essere diventata «la donna che non saresti voluta essere», Leitmotiv che rintocca all'interno dell'opera. Se di primo acchito le voci maschili sembrano unite in un coro, poi gli individui (veri e propri fantasmi del passato) appaiono con la loro individualità, col loro pezzo di vita che hanno condiviso con la protagonista.
«Come ho demolito io bene gli amori amati, come ho saputo incastrarli a perfezione nell'errore perché vacillassero di loro natura, visto che io non avrei saputo farne a meno» (p. 24), si trova a commentare amaramente la donna. Il ricordo del passato è, spesso, un'occasione per un'analisi a tratti impietosa e raramente autoapologetica, una sorta di ragionamento a voce alta, particolarmente coinvolgente per le scelte lessicali e stilistiche adottate, talvolta caratterizzate da una forte componente immaginativa («Eravamo due mondi che si sorridevano, una forza vederci sottobraccio», p. 27). Ma poi gli amori finiscono, qualcosa infrange l'illusione del "per sempre" e la protagonista si rivolge di volta in volta ai suoi vecchi amori e amanti sottolineando cosa è mancato, ma anche ricordando, in pagine più morbide, che cosa ha reso indimenticabile l'unione. Sono pezzi di vita andata, quelli raccontati senza tanti fronzoli e - forse ancor più per questo - con una liricità originale, vera caratteristica di Valeria Parrella. Un esempio:
Ti chiamavo, dopo che ci eravamo lasciati, per sentire la tua voce qualunque: la voce che hai quando non sai di dover parlare con me, quella non incrinata dall'emozione, dall'inganno, non intrisa di aspettativa o di odio, o di amore. La tua voce seduttiva di sempre, quella che usi con tutti, quella di cui mi sono innamorata e che non è mai più stata la stessa, non per me. Quella che hai registrato in segreteria. Quella. (p. 31)
C'è però la piena consapevolezza che «non fummo sbagliati da soli, lo siamo stati insieme» (p. 43), e dunque farsi la guerra e continuare a puntare il dito contro l'altro è solo un tentativo puerile per scaricare sull'altro o sull'altra la responsabilità del fallimento. La soluzione? Si scoprirà nelle ultimissime pagine.
Va però notato che questa serrata conversazione teatrale (o soliloquio della memoria?) non va interpretata in chiave femminista, non pare affatto questa l'intenzione; la donna protagonista non si trova a interloquire con un coro di tutti gli uomini, ma con l'insieme di «tutti gli uomini della sua vita» (p. 44). Come precisa l'autrice nella nota che chiude l'edizione, «è lo stato mentale di una persona che si chiama a ragionare su se stessa. Una persona, non tutte le persone» (p. 54), dunque scansiamo qualunque tentazione di interpretare Ciao maschio in chiave ideologica e godiamoci invece questo scioccante, commovente e appassionato incontro-scontro tra una donna e gli uomini del suo passato.
GMGhioni
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