I Camillas
People, 2020
pp. 112
€ 14,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
C'è stato un periodo di circa settant'anni, iniziato più o meno nel 2950, nel quale la musica non è stata più ascoltata. Potevi però spalmarla sulla pelle. C'erano queste creme che, una volta messe a contatto con l'epidermide, permettevano di sentire la musica direttamente, senza utilizzare le orecchie. A ogni crema corrispondeva un'atmosfera musicale, un'emozione, un'energia, un affaticamento, un odio. Rilasciavano piccoli luccichii sulla pelle, luminosità artificiale.
È difficile parlare della Storia della musica del futuro, un po’ come è difficile, oggi, parlare dei Camillas.
Fino a qualche mese fa si sarebbe potuto raccontare a cuor leggero dei loro concerti come esplosioni colorate, sarabande allegre, suoni e confusione e risate e ogni volta uscire felici e sudatini canticchiando quando a casa tornerai / vienimi a trovar / posso sempre offrirti il pane (uno dei loro brani più famosi, ndr).
E pensare ai testi delle loro canzoni e ai libri - il primo, La rivolta dello zuccherificio, uscito qualche anno fa per Il Saggiatore e questo da poco pubblicato da People - come a operazioni di pura fantasia, rassegne di mondi inventati à la Rodolfo Wilcock (per non scomodare Borges o Cortázar) raccontati col gusto per il racconto stesso, per la sperimentazione linguistica, per l’iperbole, l’assurdo, il dada.
Questo erano, questo sono e in fondo saranno per sempre i Camillas.
Quel che rende difficile parlarne proprio adesso è il fatto che Zagor Camillas, al secolo Mirko Bertuccioli, si è ammalato improvvisamente ed è morto il 14 aprile 2020.
E dunque La storia della musica del futuro è divenuto suo malgrado l’ultima occasione possibile di sentire insieme la voce e le storie di Zagor e Ruben, Mirko e Vittorio, I Camillas.
È ironico e malinconico insieme pensare che, come scrive Ruben Camillas nella nota finale, avessero passato così tanto tempo nel futuro «raccontandolo come fosse già passato» perché il presente gli sembrava «noioso, come uno stivale beige piantato nel fango, una specie di seme sterile e mimetizzato.»
«[...] E ridevamo del presente, lo colpivamo con leggere manate sulla nuca e poi fuggivamo ridendo, certi che l’avremmo di nuovo trovato distratto. Gli facevamo le coccole, lo chiamavamo con nomi che non capiva e si ritrovava scritti addosso aggettivi iperbolici e inaspettati.»
Poi il presente «si è rivoltato, con la calma che caratterizza l’attimo, quando vuole farti capire bene che cosa sia l’esistenza», come una festa interrotta bruscamente, la musica spenta, le luci accese.
Per quanto questo getti - almeno per chi, come me, li seguiva da anni - un’ombra triste sul libro, leggerlo è il modo di portare avanti la festa ancora un po’, come quando Vittorio sale sul palco da solo, durante le presentazioni, con la chitarra, e fa quello che fanno gli artisti, fa andare avanti lo show, perché questo è il modo migliore, o l’unico a disposizione, forse, di ricordare Mirko.
E l’unico approccio possibile a questa raccolta deliziosa di storielle bizzarre, tessere di un puzzle esploso fatto di pezzi di canzoni, comunicati stampa, dichiarazioni e interviste a cantanti, lettere dei fan, classifiche, tutta un’ipotetica storia della musica del futuro insomma, senza farsi spezzare il cuore è pensare che dal viaggio spaziotemporale sia tornato solo Ruben e Zagor invece sia ancora là a galleggiare nel futuro sonoro, in mezzo a pagliacci di zucchero filato, con la sua tastierina e i suoni e i versi buffi di Bisonte.
Giulia MarzialiLe poesie non tornano / si affacciano e poi cadono
Le poesie non sembrano / Sono carni che si muovono[Il ritornello di Maestro di doni, cantata da I COLPEVOLI al Festival Eurafricano del 4429 a Capocolossobianco.]
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