La linea del colore
di Igiaba Scego
Bompiani, 2020
pp. 384
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
L’ultimo libro di Igiaba Scego è uscito nel momento perfetto. Sembra impossibile, dato che è stato pubblicato circa un mese prima prima del lockdown, in un momento non certo propizio per tutta la filiera del libro e della sua promozione. Eppure così è, perché La linea del colore non solo riprende, sviluppandoli ancor più a fondo, i temi tipici della scrittura di Scego – la questione identitaria per i neri italiani, la rimozione del nostro passato coloniale, la violenza sui corpi e in particolare sui corpi delle donne, la città di Roma – ma ne aggiunge uno nuovo: la rappresentazione dei neri e delle nere – nonché la loro presenza autoriale – nella storia dell’arte italiana. Proprio nelle settimane in cui ci si chiedeva (e speriamo ce lo si chieda ancora) se sono arte le statue e i simboli che celebrano uomini razzisti e scelte razziste, se fosse giusto mantenerli, c’era già sugli scaffali delle librerie la storia di una donna nera statunitense che nell’Ottocento viene in Italia per inseguire il suo sogno di diventare un’artista. E per inseguire quel sogno studia, fa sacrifici. Non si sposa e non mette su famiglia, perché è ambiziosa e vuole fare carriera, e nell’Ottocento i due desideri potevano coincidere molto meno di quanto già poco possano oggi.
In Lafanu Brown si riconosce l’eredità dei personaggi femminili precedenti di Scego: quando per il dolore sul suo corpo non vede più i colori è Zuhra di Oltre Babilonia, quando vomita sul tappeto dopo avere saputo che sua cugina è stata stuprata è la protagonista di Salsicce. Come nei romanzi precedenti, anche in questo ci sono più voci – due per l’esattezza, quella di Lafanu Brown, di un secolo e mezzo fa, e quella di Leila, di oggi. Ma a differenza degli altri qui una voce in qualche modo racconta quella dell’altra. La storia di Lafanu è protagonista anche della storia di Leila, che studia, ricerca e ricostruisce la voce e la pittura della prima. Le prospettive delle due a volte coincidono, obbligandoci a fare i conti con la nostra di prospettiva: ad esempio quando osservano – in tempi lontani – lo stesso monumento, la Fontana dei quattro mori a Marino.
In Lafanu Brown si riconosce l’eredità dei personaggi femminili precedenti di Scego: quando per il dolore sul suo corpo non vede più i colori è Zuhra di Oltre Babilonia, quando vomita sul tappeto dopo avere saputo che sua cugina è stata stuprata è la protagonista di Salsicce. Come nei romanzi precedenti, anche in questo ci sono più voci – due per l’esattezza, quella di Lafanu Brown, di un secolo e mezzo fa, e quella di Leila, di oggi. Ma a differenza degli altri qui una voce in qualche modo racconta quella dell’altra. La storia di Lafanu è protagonista anche della storia di Leila, che studia, ricerca e ricostruisce la voce e la pittura della prima. Le prospettive delle due a volte coincidono, obbligandoci a fare i conti con la nostra di prospettiva: ad esempio quando osservano – in tempi lontani – lo stesso monumento, la Fontana dei quattro mori a Marino.
“Guardate meglio, vi prego… non vedete che queste quattro persone legate al palo e schiavizzate sono miei antenati?”
Silver si accorse per la prima volta dei quattro neri piegati in pose innaturali e incatenati al palo. Non si era mai reso conto, ed erano parecchi giorni che di tanto in tanto passeggiava attorno alla fontana, che quelle persone erano prigioniere.
“Non sono schiavi, sono stati schiavizzati. E quella donna mi somiglia talmente… non trovate?”
Una delle cose più stupefacenti di questo libro è che Lafanu Brown sembra realmente esistita. Viene istintiva la tentazione di cercare la sua biografia su internet, le sue opere, le foto. E invece no, è un personaggio di finzione. Ispirato però a due modelli reali: la scultrice Edmonia Lewis e l’ostetrica Sarah Parker Remond. Lafanu Brown sembra tanto vera anche perché a volta incontra persone vere, esistite realmente. Ad esempio Ulisse Barbieri – scrittore, patriota e avversatore della politica coloniale italiana. Il Barbieri di Scego non è esattamente coincidente con l’uomo della storia, ma la sua voce entra a piede teso nella narrazione: alla fine del prologo, quando a Roma arriva la notizia che quasi cinquecento soldati italiani sono morti a Dogali, agli occhi del popolo già martiri, uccisi dalla “gente negra” come lei, Lafanu Brown ha un mancamento. Barbieri la soccorre ed esclama quella che altro non è che una delle sue rime più celebri: “ma non capite, branco di cretini, che i veri patrioti sono gli abissini?”
La linea del colore è un libro pieno di spunti, di percorsi di analisi che si intrecciano a quelli già tracciati dagli studi sulla letteratura italiana postcoloniale, un campo di ricerca che fortunatamente si aggiorna a gran velocità. Non c’è nessuna pretesa di esaustività nei temi trattati nelle domande che ho posto a Igiaba Scego, ma solo un desiderio di provare a sistematizzare alcuni nodi critici, la ricerca di un confronto con una scrittrice che da oltre quindici anni ha contribuito a spostare più in là l’asticella dell’inclusività nella rappresentazione dei corpi e delle identità nella letteratura italiana.
La linea del colore è un libro pieno di spunti, di percorsi di analisi che si intrecciano a quelli già tracciati dagli studi sulla letteratura italiana postcoloniale, un campo di ricerca che fortunatamente si aggiorna a gran velocità. Non c’è nessuna pretesa di esaustività nei temi trattati nelle domande che ho posto a Igiaba Scego, ma solo un desiderio di provare a sistematizzare alcuni nodi critici, la ricerca di un confronto con una scrittrice che da oltre quindici anni ha contribuito a spostare più in là l’asticella dell’inclusività nella rappresentazione dei corpi e delle identità nella letteratura italiana.
Serena Alessi
@serealessi
Seguiteci la prossima settimana per leggere l'intervista di Serena Alessi a Igiaba Scego
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