Il Soffitto dipinto
di Maria Teresa Guerra Medici
Enciclopedia delle donne, maggio 2020
pp. 158
€ 18
Quando ho sentito per la prima volta la storia della Badessa
Giovanna del Monastero di San Paolo a Parma, mi ero trasferita da poco in
questa città e vagavo per le vie senza nomi del centro. Al Museo Bodoni, prima
tappa scelta per conoscere le ricchezze che la “piccola Parigi” emiliana
conserva nel suo grembo, come doni spontanei per i suoi cittadini, un gentile
signore dall’aria bonaria, che si offrì di farmi da guida e raccontarmi la storia
del carattere tipografico tra i più celebri al mondo, mi fece conoscere questa
affascinante figura.
Nei racconti orali, si sa, ogni dettaglio ne genera altri
dieci, più o meno veritieri. La misura dell’autenticità dell’oggetto tramandato
diventa, di fatto, poco importante: ciò che conta è il fascino e l’inquietudine
che le narrazioni sono in grado di provocare. E così la badessa Giovanna, nel
racconto del gentile signore, divenne un’ammaliatrice maliziosa, che nella sua stanza
– affrescata da un giovane Correggio - adiacente al monastero di San Paolo,
riceveva uomini, intellettuali e commercianti, in gran numero e per scopi non
sempre innocenti. La sua sala dipinta da Correggio rimase chiusa per secoli,
proprio, secondo il mio narratore, come punizione per il comportamento lascivo
della religiosa.
La storia mi aveva grandemente affascinato e, quando se ne è
presentata l’occasione, ho accolto con piacere la proposta di lettura di un
romanzo, Il Soffitto dipinto di Maria Teresa Guerra Medici, che prometteva di
far chiarezza nei racconti ascoltati e regalarmi i particolari di una vicenda
così intrigante. La promessa non è stata disattesa.
A metà strada tra saggio e romanzo, Il Soffitto dipinto ha il
rigore storico dell’uno e l’ampio respiro dell’altro. L’autrice dimostra di
padroneggiare con sapienza la storia del Rinascimento italiano, che affresca
con brevi ma ricchissime pennellate in grado di regalare al lettore un quadro
vivido e dinamico della realtà italiana dell’epoca.
Un’Italia divisa in mille e più stati, ducati, regni, in
conflitto tra loro, alleati con grandi potenze estere che osservano con
cupidigia un territorio cruciale nello scacchiere europeo, indebolito dalle sue
molteplici identità. In questa descrizione minuziosa, concentrata per lo più
nella zona emiliana e nella città di Parma, rischia di perdersi la narrazione
delle vicende della Badessa Giovanna e del suo incontro con Antonio Allegri,
meglio conosciuto come Correggio. Fulcro della storia, ma dettaglio nei
dettagli, il fascino della lettura viene reso soprattutto dalla capacità di illustrare
con chiarezza espositiva le mille maglie e gli intrecci della fitta rete di
relazioni che reggeva le sorti del nostro Paese.
Giovanna Piacenza assume giovanissima la carica di badessa al
monastero di San Paolo, ad appena 28 anni. Sotto la sua guida il monastero
conoscerà un periodo di saggia gestione e floridità economica. Non solo, si
aprirà all’esterno e alle influenze politiche e culturali caratteristiche del
primo Cinquecento, agli albori dell’Umanesimo. Nelle sue stanze, Giovanna
riceve dame eleganti e personaggi di spicco nel quadro socio-politico italiano;
si mostra sensibile alle avanguardie artistiche e nel 1518 commissiona a un
giovane Correggio, semisconosciuto all’epoca, l’affresco sopra la cappa del
camino della sua sala.
Il punto di svolta sarà rappresentato dal soggetto del dipinto:
non più a carattere religioso, come sempre era stato fino a quel momento per le
decorazioni dei monasteri, ma un dipinto dal sapore classico, di ispirazione
romana e greca: ghirlande di fiori e frutti, Amorini giocosi rappresentati nudi
e felici… al centro, lei: la Badessa Giovanna, trasformata nella dea della
caccia e della castità, Diana. Non c’è nulla di religioso nel dipinto, è un
saluto alla modernità umanista che avanza, un nuovo inizio nella storia dell’arte
italiana.
Eppure… eppure, quel dipinto che avrebbe potuto fare la
fortuna di Correggio, rimane nascosto, chiuso sottochiave per secoli, colpito suo
malgrado dalla svolta rigida che investe le istituzioni monastiche: basta
convegni, basta aprirsi alla città e alle forze secolari. Dagli anni venti del
Cinquecento tutto cambia all’interno del monastero di San Paolo e quel dipinto
sensazionale resta ingoiato, fin quasi ai giorni nostri, nelle tenebre della
clausura imposta… A riprova, se mai ce ne fosse bisogno, che una donna mecenate,
capace di aprire la strada all’Arte moderna, suscitava inevitabilmente paura e
vergogna.
Barbara Merendoni