Il tempo che faceva
di Aldo Boraschi
AltreVoci, 2020
pp. 192
€ 15,90 (cartaceo)
€ 6,93 (ebook)
L'impressione che si ha guardando quella coppia intenta a mantecare il gelato non è quella che stiano salvando delle tradizioni secolari, ma un modo di pensare il mondo. Stanno restaurando un tempo in cui il tempo non conta, ma essenziale è il risultato finale. (p. 82)
Se avete abitato anche voi in un paesino, saprete bene quante storie vivono e sopravvivono al tempo, quanti personaggi riprendono vita con i loro soprannomi o le loro strambe abitudini, quanti volti non smetteranno di essere ricordati dopo la loro scomparsa, quante dicerie resteranno attaccate alle schiene delle persone senza rimedio. Senzaunnome, diviso tra una zona lido e una arroccata sui monti, è l'ambiente in cui camminano, agiscono, vivono, amano, soffrono, riprendono ad amare i personaggi di Il tempo che faceva, il romanzo di Aldo Boraschi appena uscito per la neonata casa editrice AltreVoci.
Le vie di Senzaunnome sono state percorse tante volte da Gelinda Rustichetti, prima che la donna scegliesse di chiudere la sua gelateria per trasferirsi in una casa di riposo. Ha visto gli anni passarle davanti tra una conca di gelato e un'altra, ha portato un po' di dolcezza ai suoi compaesani, abituandosi a condividere un pranzo con uno e una chiacchiera con l'altro. Dalla sua vetrina privilegiata, Gelinda ha partecipato all'esistenza di Senzaunnome difendendo tuttavia la sua vita privata dalle maldicenze. Anche in casa di riposo, adesso, la signora Gelinda non ha certo smesso di interessarsi di ciò che accade nel suo paese, né ha disimparato a sopportare le stramberie degli altri: infatti condivide la camera con la signora Pesce, prozia di un importante rappresentante di un partito xenofobo:
"La vita è proprio strana", suole dire Gelinda parlando della sua compagna di stanza. "D'improvviso ti trovi a condividere la tavola e il bagno con chi, fino a ieri, nemmeno ti salutava. Credo che sia una prerogativa delle persone sole sapersi trovare. Qualcuno getta funi invisibili intorno alle persone e le fa avvicinare", chiosa. (p. 10)Prevenuta verso gli stranieri, la signora Pesce non fa che rimbrottare Mirca, la donna rumena che fa compagnia a Gelinda, e Anton, inserviente della casa di riposo, d'origine ungherese. Gelinda sopporta, cerca di mettere a tacere la compagna con la sua consueta finezza di spirito, in attesa che arrivino i suoi affetti in visita per preparare nuovi gelati. Infatti, la direzione della casa di riposo le permette di tanto in tanto di creare gusti di gelato per gli ospiti e per i loro parenti. In particolare, Gelinda è ben lieta di offrire un cono gelato a Beata e Primo, due bambini a cui si è affezionata come se fossero i suoi nipoti; per la ragazzina, in particolare, sente un amore particolare, perché per tutti è 'la scema del villaggio', tanto bella esteticamente quanto 'sprecata'. In realtà, Beata ha sì subito un trauma da piccola, ma non sembra averne risentito al punto da non poter sperare che gli altri smettano di vederla per ciò che non è. Ha una sua bontà e un suo bagaglio di desideri, e come tutte le bambine prima e le adolescenti poi, condivide il sogno di avere amici e di sentirsi pienamente parte del paese.
Due generazioni diverse, due modi di prendersi cura l'una dell'altra, due vite tra passato e presente: nel romanzo, Aldo Boraschi alterna ciò che sta avvenendo sulla scena a pagine di diario scritte da Gelinda anni prima. Attraverso l'avvicendarsi di queste parti, e a mano a mano che i fogli del diario si avvicinano al presente, capiamo perché Gelinda sia convinta che «l'amore è come il gelato: "una meraviglia imperfetta", perché non dura, si scioglie e in brevissimo tempo non rimane altro che un ricordo» (p. 186). Chi è l'amore di Gelinda? E perché la donna ha poi preferito la solitudine? E quali insegnamenti potrà trarre Beata dall'esperienza di questa nonna putativa?
Tra le pagine, che corrono lievi (anche se con qualche ricercatezza lessicale che non sembra sempre necessaria), incontriamo temi di primaria importanza, come l'emarginazione di chi è diverso, che sia per paese di provenienza (Mirca e Anton) o per il proprio vissuto (Beata). Aldo Boraschi non giudica mai i suoi personaggi, né possiamo considerare Il tempo che faceva un romanzo a tema; semmai, è un affresco di vite che si intrecciano per caso o per desiderio in un paesino di mare, e che faticano anche solo a pensare di dividersi.
I dialoghi non fanno che confermare la trasparenza di Gelinda nel confrontarsi con gli altri, in riflessioni che spesso ci portano a pensare, come la seguente:
"Strano, vero?"
"Cosa?"
"Che le persone spesso non si ricordano le date o addirittura gli anni di un determinato avvenimento, ma non possono scordare il tempo che faceva". (p. 113)
Ed è proprio facendo attenzione al tempo che faceva che Gelinda si prepara a un grande passaggio di testimone, atto che coltiva in punta di piedi. Non solo insegnare a Beata l'arte del gelato è un'enorme prova d'amore; è un dono anche condividere con lei il passato che ha tanto difeso e nascosto.
Aldo Boraschi con questo romanzo dal ritmo cadenzato, senza grandi strappi narrativi, omaggia il passato senza negare come certe sensazioni, certi eventi siano destinati a ripresentarsi, facendo via via acquisire alla nuova generazione saggezza e indipendenza.
GMGhioni
Aldo Boraschi con questo romanzo dal ritmo cadenzato, senza grandi strappi narrativi, omaggia il passato senza negare come certe sensazioni, certi eventi siano destinati a ripresentarsi, facendo via via acquisire alla nuova generazione saggezza e indipendenza.
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