di Paola Musa
Arkadia, 2020
pp. 128
€ 14,00 (cartaceo)
L’audacia era sempre stata la sua forza. Aveva dovuto anche soprassedere a certe scelte che gli provocavano un senso di disgusto, per raggiungere il suo scopo. Era tuttavia abbastanza sicuro che il suo progetto alla fine avrebbe avuto un buon risultato. In fondo, lo sapeva bene: la gente ama solo ciò che già conosce e in cui si riconosce. (p. 11)
La figlia di
Shakespeare di Paola Musa si inserisce all’interno di una cornice più
ampia: è infatti il secondo di una serie di sette romanzi dedicati ai sette
vizi capitali, preceduto da quell’Ora
meridiana, pubblicato nel 2019 sempre per i tipi di Arkadia, che vedeva al
centro il tema dell’accidia.
A dominare la scena di questo secondo testo è invece la
superbia, quello che la dottrina cristiana riconosce come il peggiore e più
grave dei peccati capitali, il quale viene attribuito a Lucifero stesso in
quanto angelo che si è ribellato a Dio. Volendo
spostare l’accento, pensiamo poi a quella hybris che tanto fa inciting
event, diciamo così, di molte tragedie, e che ben rappresenta il leit motiv di tanta cultura greca:
Icaro, volendo sfidare le leggi della natura per avvicinarsi al sole, ha
peccato di hybris; ma anche Achille,
Agamennone e Ulisse sono esempi perfetti di umani che hanno osato paragonarsi
agli dèi in un modo o nell’altro e perciò sono stati puniti. Di esempi in
letteratura, insomma, se ne potrebbero trovare a iosa.
Paola Musa decide di lavorare su un campo diverso, che già
il titolo suggerisce bene: Alfredo Destrè è infatti uomo d’arte che, all’epilogo
della propria carriera – dopo essersi "abbassato" a lavorare per la televisione
in una serie tv di scarso valore –, riesce nell’ambizioso progetto di
risollevare le sorti di un teatro e al contempo di riavvicinare il grande
pubblico a Shakespeare attraverso una rilettura in chiave contemporanea delle
opere del bardo inglese. Quando gli confermano di aver ricevuto un prestigioso premio alla carriera, ecco che il percorso che porta alla disfatta prende avvio.
A ben vedere, tutti gli altri personaggi, chi più chi meno, sono ben
consapevoli dell’alto valore artistico del progetto di Destrè, così come sono
consapevoli della bravura e delle capacità del maestro. Alfredo Destrè è, di
fatto, un uomo rispettato e riconosciuto dall’ambiente artistico italiano. Eppure,
di questo riconoscimento sembra non farsene nulla: egli in qualche modo
trae piacere nel riconoscersi da solo come uomo e artista. Qui il meccanismo psicologico è sottile e Paola Musa lo intende
bene: la superbia è un peccato perverso, in quanto solo in apparenza necessita
dell’altro per sopravvivere e nutrirsi. Nella realtà, la persona superba trova
dentro di sé – nei meandri della propria coscienza e del proprio vissuto – la linfa
vitale di cui ha bisogno: esistendo, guardandosi allo specchio, relazionandosi
con se stesso, il superbo si gonfia, si autoalimenta, la sua maestà si espande ben oltre i limiti consentiti.
Il supero non ha bisogno di nessuno, mai. E infatti Alfredo Destrè, non a caso,
è sempre solo: egli è circondato da ammiratori, amici e nemici, eppure lo
troviamo sempre a fare i conti con se stesso. Questa sorta di solipsismo
esistenziale che contraddistingue il superbo Paola Musa ha saputo rappresentarlo bene: proprio come un attore di teatro che recita un monologo
sul palco, Alfredo Destrè è al centro della propria vita solitaria, col
riflettore puntato addosso, e il resto delle sue conoscenze non sono altro che le teste anonime
degli spettatori, assisi sulle poltrone, distanti. A separarli, pochi metri e un'infinita differenza.
Allora poco importa quali siano le proprie origini, poco
importa che veniamo da un piccolo paesino, che i nostri genitori fossero
persone umili: ciò che è fondamentale è essere riusciti a staccarsi da terra, a
sollevarsi da quell’humus contadino e
che, proprio come Icaro, siamo riusciti a volare via, lontano, addirittura
cambiando cognome, addirittura rinnegando la famiglia. La superbia non
risparmia nulla: è un male che divora tutto per alimentare il proprio ego.
In chiusura, una nota personale: curiosa è stata, a mio avviso, la scelta di Paola Musa di scrivere
per secondo un romanzo sulla superbia che risulta, appunto, il peccato più grave. La sua rischia infatti di essere una scelta anticlimatica, se questo suo ambizioso progetto prevede un
percorso ben preciso. Staremo a vedere ciò che verrà: nel frattempo posso affermare che La figlia di Shakespeare è un gran bel
libro.
David Valentini
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