di Graziano Graziani
Tunué, 2020
pp. 228
€ 14,50 (cartaceo)
Alle volte penso che la vita sia un tempismo imperfetto, e mancarsi non è meno nobile di prendersi. (p. 228)
È un libro da maneggiare con cura, Taccuino delle piccole occupazioni di Graziano Graziani. E forse non sono nemmeno la persona più adatta a parlarne, io che affondo le mani nel realismo e sono sempre un po’ restia di fronte ai guizzi del surreale, dell’ironia e di certi voli di immaginazione. Apprezzo le storie e la bella scrittura, però, e amo la frammentarietà del racconto, una forma letteraria con la quale il testo di Graziani ha molto in comune.
Quindi nel momento in cui mi sono avvicinata a questa storia ho stretto un patto silenzioso con l’autore e, come si dovrebbe forse fare sempre, accettato le sue regole, per perdermi dentro la vita di Girolamo, lo strampalato protagonista, seguirne i pensieri mai banali, le ossessioni, le avventure talvolta surreali ma sempre piene di umanità. Una vita raccontata per frammenti non ordinati cronologicamente, in cinquantacinque brevi capitoli che a tratti si ha la tentazione di considerare davvero come micro narrazioni a sé stanti, perché in fondo l’unitarietà non sembra essere lo scopo finale, quanto una collezione di attimi, di riflessioni. In questa finta biografia – di un uomo, ma che forse ne contiene molti altri dentro di sé – , infatti , quel che conta, più degli eventi, sono appunto gli istanti e le riflessioni del protagonista: osservatore attento, animo malinconico ma che si apre spesso all’ironia, Girolamo è un uomo che non smette mai di guardare il mondo, di interrogarsi sul senso – o forse sarebbe meglio dire sul non senso – delle cose, fra criticità e contraddizioni della società contemporanea e riflessioni più astratte sul senso della vita e dell’amore.
Il quartiere che cambia, la vita quotidiana, i rapporti, la politica, la religione, il consumismo, le contraddizioni della società contemporanea, il tempo e la storia, l’astrofisica e la letteratura: un susseguirsi di pensieri, riflessioni mai banali, nel tentativo di dare un senso alle cose, alla vita stessa. Osserva, è questa la dote principale di Girolamo, ma nell’osservare è come se in un certo senso mettesse un velo tra sé e il mondo, lo sguardo attento al dettaglio ma incapace di partecipare davvero alle cose, alla vita stessa; come in quell’episodio emblematico d’apertura, un Girolamo preda di episodi di narcolessia ogni volta che si trova di fronte a una decisione da prendere, ogni volta che è chiamato ad agire. No, l’azione non è del personaggio, Girolamo la vita la osserva ma non pare viverla davvero.
I rimandi letterari sono numerosi – Calvino, in primo luogo, Borges e molti altri – , un omaggio delicato alla formazione letteraria dell’autore, di cui intuiamo gusti e influenze, ma svelata in modo discreto, senza cadere nella pedanteria e nella citazione fine a sé stessa. Laddove il Taccuino si scontri con il mio personale gusto di lettrice e l’immaginario di Graziani si fa un po’ troppo ardito, resta sempre solida la scrittura: la scelta chirurgica di ogni parola, le frasi misurate, piane, che rivelano abissi di pensieri e riflessioni ben oltre la superficie. Girolamo, questo protagonista un po’ naif e malinconico, che talvolta sembra perdere il contatto con la realtà, è decisamente un personaggio letterario ma proprio nel suo esserlo si rivela la forza del libro.
Sono tanti, di conseguenza, gli spunti di riflessione e le tematiche con cui Girolamo si confronta e il lettore con lui, tra ironia e quel velo di malinconica osservazione per tutte quelle occasioni mancate di cui la sua vita sembra abbondare, per luoghi che non esistono più, per una semplicità di cose irrimediabilmente perduta.
Poi le cose cominciarono a cambiare, come sempre cambiano le cose. Un po’ alla volta. La città crebbe, la periferia si allontanò, il quartiere diventò un posto centrale, alla moda. E i prezzi delle case cominciarono a salire. (p. 26)
Ecco, la perdita, appunto, è una delle chiavi di lettura con cui tentare di svelare il mistero della scrittura, di questa storia: un tema che Graziani indaga da punti di vista differenti, che assumono di volta in volta contorni mutevoli. La perdita della persona amata, dei luoghi conosciuti, di una certa idea di possibile e assoluto che è propria della gioventù, delle persone care, fino alla perdita di sé stessi e dell’illusorio controllo che crediamo di avere sul tempo, sull’esistenza. Girolamo osserva gli ingranaggi di questa complicata macchina che è la vita – e la scelta della metafora non è casuale, come svelerà la lettura – attento al più piccolo cambiamento, per poi ampliare lo sguardo ben oltre il proprio microcosmo umano e urbano e spingersi a considerazioni sulla società contemporanea, di cui avverte tutto il peso dell’indifferenza, dell’egoismo, della violenza, i peccati del nostro tempo.
Le guerre, l’indifferenza, la disuguaglianza erano tali e tanto radicate nel mondo che sembrava impossibile fare davvero qualcosa. Davanti a tanto sfacelo aveva senso impegnarsi, o non era meglio seguire la sua nausea, cercare un modo per fuggire da tutto questo e diventare perfino non dico indifferenti, ma almeno anestetizzati? (p. 12)
Non manca l’ironia, si diceva, a tentare di compensare le note più amare della narrazione. Ironia che percorre ogni micro racconto, si insinua nelle avventure tragicomiche di Girolamo alle prese con la burocrazia o il sistema sanitario, nelle sue peregrinazioni in città sulle tracce del suo doppio, negli scambi praticamente a senso unico con il suo silenzioso amico orologiaio. Si interroga sul mondo e noi con lui, accettando che molte domande resteranno senza risposta, perché quello che conta, in fondo, è avere la sensibilità necessaria per porle.