di Eshkol Nevo
Neri Pozza, 2017
pp. 253
€ 16,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Titolo originale: Shalosh Komot
Traduzione di Ofra Bannet e Raffaella Scardi
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SECONDO PIANO: L'IO
... e ho cominciato a piangere e fra un singhiozzo e l'altro ho provato a spiegare, non so cosa mi sta succedendo, nell'anima, c'è quella cosa che tiene uniti tutti i pezzi, la cosa che ricorda, che guida, che organizza, da cui tutto viene e a cui tutto va, un'essenza, quella cosa che è noi, una specie di spina dorsale ma non di ossa, è di sentimenti, capisci? (p. 150)
Ho letto Tre piani di Eshkol Nevo in poco più di ventiquattro ore.
Nel momento in cui l'ho finito ho assaporato la (rara) sensazione di sentirmi completamente sopraffatta da una storia e dai suoi personaggi, talmente sopraffatta che la lettura sembrava aver preso una sua direzione, autonoma rispetto a me. Sfuggendo alle incombenti gabbie del tempo esteriore, questo libro rispondeva alle necessità di un tempo tutto interiore che ha definitivamente prevalso sull'altro.
Nei giorni successivi mi sono presa più tempo per rileggere quelli che per me sono alcuni dei punti cruciali del romanzo. Li ho marchiati rapidamente - con una piccola X segnata a matita - senza pensarci troppo. L'ho fatto per non dimenticarmi, un domani, i passi che hanno acceso il mio istinto quando avevo trentadue anni. Perché sono sicura che rileggendolo tra anni le X andrebbero in punti diversi; probabilmente dovrò scegliere un diverso colore per differenziarle.
Questo preambolo per dire che Tre piani è un libro che genera o attiva qualcosa nell'anima.
Una connessione, un nodo, un sordo rumore che ha sede da qualche parte, chissà dove.
Eshkol Nevo, voce di spicco della letteratura israeliana contemporanea (che ha trovato consacrazione sulla scena internazionale con romanzi come La simmetria dei desideri e Nostalgia), ha dato corpo a una brillante intuizione narrativa: scrivere tre storie che incarnano le tre istante intrapsichiche freudiane di Es, Io e Super-Io.
Seguendo le tracce del padre della psicoanalisi, Nevo crea tre potenti piani di racconto che si fanno spazio nel cuore delle relazioni umane. Su una premessa scientifico-filosofica l'autore innesta un'operazione letteraria che finisce per inglobarla in modo talmente convincente da fare coincidere le due prospettive. Viaggi di segno opposto (dalla letteratura alla psicoanalisi) furono compiuti dallo stesso Sigmund Freud quando scrisse i suoi commenti a opere come la novella Gradiva dello scrittore tedesco Wilhelm Jensen, testo consigliatogli da Jung.
Con il suo commento Freud trasforma il caso letterario in un caso clinico-psichiatrico e dà così vita alla corrente della critica letteraria psicoanalitica, basata sulla convinzione che i princìpi che regolano la semantica e la sintassi del linguaggio dei sogni possano coincidere con quelli che governano la tematica e la costruzione formale delle opere letterarie.
Nei giorni successivi mi sono presa più tempo per rileggere quelli che per me sono alcuni dei punti cruciali del romanzo. Li ho marchiati rapidamente - con una piccola X segnata a matita - senza pensarci troppo. L'ho fatto per non dimenticarmi, un domani, i passi che hanno acceso il mio istinto quando avevo trentadue anni. Perché sono sicura che rileggendolo tra anni le X andrebbero in punti diversi; probabilmente dovrò scegliere un diverso colore per differenziarle.
Questo preambolo per dire che Tre piani è un libro che genera o attiva qualcosa nell'anima.
Una connessione, un nodo, un sordo rumore che ha sede da qualche parte, chissà dove.
Eshkol Nevo, voce di spicco della letteratura israeliana contemporanea (che ha trovato consacrazione sulla scena internazionale con romanzi come La simmetria dei desideri e Nostalgia), ha dato corpo a una brillante intuizione narrativa: scrivere tre storie che incarnano le tre istante intrapsichiche freudiane di Es, Io e Super-Io.
Seguendo le tracce del padre della psicoanalisi, Nevo crea tre potenti piani di racconto che si fanno spazio nel cuore delle relazioni umane. Su una premessa scientifico-filosofica l'autore innesta un'operazione letteraria che finisce per inglobarla in modo talmente convincente da fare coincidere le due prospettive. Viaggi di segno opposto (dalla letteratura alla psicoanalisi) furono compiuti dallo stesso Sigmund Freud quando scrisse i suoi commenti a opere come la novella Gradiva dello scrittore tedesco Wilhelm Jensen, testo consigliatogli da Jung.
Con il suo commento Freud trasforma il caso letterario in un caso clinico-psichiatrico e dà così vita alla corrente della critica letteraria psicoanalitica, basata sulla convinzione che i princìpi che regolano la semantica e la sintassi del linguaggio dei sogni possano coincidere con quelli che governano la tematica e la costruzione formale delle opere letterarie.
I Tre piani del titolo di Nevo sono quelli di un borghese condominio che sorge nei dintorni di Tel Aviv. "Un'isola di pace" dove tutto occupa un suo posto:
Il parcheggio, ordinatissimo. Numerato. Il logo del posto di lavoro appiccicato sul paraurti di tutte le auto. Le piante perfettamente potate all'ingresso. Il citofono appena rinnovato. Le caselle della posta, nemmeno una rotta. Nessuna con più di due cognomi. Le biciclette sorprendentemente ordinate. Non c'era musica ad alto volume. Da nessun appartamento arrivavano le voci di un litigio. Insopportabile. Un'isola di pace, chiamavo orgogliosa la nostra periferia. (p. 181)
In ognuno dei tre piani prende vita la storia di una famiglia.
Al contrario di quanto appare da fuori, dentro le case regna un caos interiore che ha sede nelle personalità dei personaggi. Ognuno dei protagonisti racconta la storia in prima persona a un "tu" che di volta in volta cambia. Questo dialogo, questa necessità di un'alterità sembra richiamare la dinamica - più o meno cosciente - di una seduta psicoanalitica.
Ciascun personaggio si racconta come può e, nel farlo, dà voce ai tanti pezzi della sua anima, a quella "spina dorsale di sentimenti" che organizza e orienta il nostro sentire e le nostre azioni.
PRIMO PIANO: L'ES
Ciascun personaggio si racconta come può e, nel farlo, dà voce ai tanti pezzi della sua anima, a quella "spina dorsale di sentimenti" che organizza e orienta il nostro sentire e le nostre azioni.
PRIMO PIANO: L'ES
Arnon e Ayelet sono una giovane coppia. Hanno due figlie.
Di tanto in tanto, per fare fronte alle necessità di tutti i giorni, affidano una delle loro bambine, Ofri, alle cure dei due anziani vicini Ruth e Hermann, persone educate, giunte in Israele dalla Germania. Un pomeriggio come tanti Hermann, che da tempo si comporta in modo strano e mostra i primi sintomi dell'Alzheimer, porta Ofri a fare un giro fuori di casa, in quello che al padre della bambina sembra un vero e proprio rapimento. Una volta ritrovati, Arnon si convince che durante le ore trascorse insieme tra il vecchio e la bambina sia successo qualcosa di terribile. Cerca invano di leggere la verità negli occhi assenti della sua bambina o di trovare spiegazione nei gesti oscuri di Hermann.
Nel farlo, dà sfogo a tutte le pulsioni contrastanti che albergano in lui, a quei comportamenti egoistici dettati dalla pressione al bisogno. Non c'è logica, non ci sono schemi di valore.
Arnon rappresenta l'inconscio, la rincorsa di un piacere che ha sede soprattutto nel rimosso.
Il personaggio si racconta allo scrittore che dà forma alla sua storia; a lui fa appello in uno stato di quasi incoscienza, in un flusso di pensieri che corre impazzito verso un (impossibile) finale positivo.
Di tanto in tanto, per fare fronte alle necessità di tutti i giorni, affidano una delle loro bambine, Ofri, alle cure dei due anziani vicini Ruth e Hermann, persone educate, giunte in Israele dalla Germania. Un pomeriggio come tanti Hermann, che da tempo si comporta in modo strano e mostra i primi sintomi dell'Alzheimer, porta Ofri a fare un giro fuori di casa, in quello che al padre della bambina sembra un vero e proprio rapimento. Una volta ritrovati, Arnon si convince che durante le ore trascorse insieme tra il vecchio e la bambina sia successo qualcosa di terribile. Cerca invano di leggere la verità negli occhi assenti della sua bambina o di trovare spiegazione nei gesti oscuri di Hermann.
Nel farlo, dà sfogo a tutte le pulsioni contrastanti che albergano in lui, a quei comportamenti egoistici dettati dalla pressione al bisogno. Non c'è logica, non ci sono schemi di valore.
Arnon rappresenta l'inconscio, la rincorsa di un piacere che ha sede soprattutto nel rimosso.
Il personaggio si racconta allo scrittore che dà forma alla sua storia; a lui fa appello in uno stato di quasi incoscienza, in un flusso di pensieri che corre impazzito verso un (impossibile) finale positivo.
SECONDO PIANO: L'IO
Hani, madre di due bambini e moglie di Assaf (marito assente, costantemente in viaggio per lavoro), combatte una battaglia silenziosa contro la solitudine e la paura di impazzire, sorta in lei da quando sua madre è stata ricoverata in una struttura psichiatrica. Un giorno si presenta alla sua porta Eviatar, il cognato che non vede danni e che cerca riparo in casa loro per sfuggire ai creditori e ai malviventi che lo stanno cercando a causa delle truffe di cui è responsabile.
Il loro incontro, inatteso e imprudente, le offrirà una tregua dalla solitudine ma moltiplicherà le domande su di sé e sulla propria vita.
Tormentata dai dubbi e sempre preda di spinte opposte, Hani rappresenta l'Io, stretto tra il fuoco bruciante dell'Es e le regole asfissianti del Super-Io.
"Servitore di tre padroni", per usare l'espressione dello stesso Freud, è il luogo in cui pulsioni, codici di comportamento e spinte del mondo esterno cercano una difficile convivenza.
Il personaggio si racconta in una lunga lettera a un'amica irraggiungibile, sia nel ricordo che negli standard che da sempre per lei incarna.
TERZO PIANO: IL SUPER-IO
Il loro incontro, inatteso e imprudente, le offrirà una tregua dalla solitudine ma moltiplicherà le domande su di sé e sulla propria vita.
Tormentata dai dubbi e sempre preda di spinte opposte, Hani rappresenta l'Io, stretto tra il fuoco bruciante dell'Es e le regole asfissianti del Super-Io.
"Servitore di tre padroni", per usare l'espressione dello stesso Freud, è il luogo in cui pulsioni, codici di comportamento e spinte del mondo esterno cercano una difficile convivenza.
Il personaggio si racconta in una lunga lettera a un'amica irraggiungibile, sia nel ricordo che negli standard che da sempre per lei incarna.
TERZO PIANO: IL SUPER-IO
Dvora è una giudice in pensione che ha perso il marito Michael e che da anni non vede il figlio Adar. L'ombra di una colpa si allunga sul loro passato pieno di recriminazioni, sentenze e tribunali improvvisati. Mentre attorno a lei Tel Aviv si accende di giovani proteste, la donna trova il coraggio di dire al marito tutto quello che non è riuscita a dirgli mentre era in vita.
Per farlo affida il suo racconto a una vecchia segreteria telefonica.
L'anima di Dvora è governata dal Super-Io, il terreno nel quale vengono interiorizzati tutti i codici di comportamento, le norme, i divieti, le dicotomie bene/male, giusto/sbagliato.
È la visione di noi più esteriorizzata, quella alla quale spesso tendiamo a discapito della nostra realizzazione più profonda.
Per farlo affida il suo racconto a una vecchia segreteria telefonica.
L'anima di Dvora è governata dal Super-Io, il terreno nel quale vengono interiorizzati tutti i codici di comportamento, le norme, i divieti, le dicotomie bene/male, giusto/sbagliato.
È la visione di noi più esteriorizzata, quella alla quale spesso tendiamo a discapito della nostra realizzazione più profonda.
Le tre storie non sono statiche, ma cangianti e in movimento lungo le scale del condominio. Strisciano sotto le porte ed entrano dalle finestre socchiuse.
Ci sono dei momenti in cui si intrecciano perché i personaggi si guardano, si abbracciano, si spiano ed è una partitura che commuove perché ci mostra anime che procedono in cerchi, condannate a "cadere e ricadere nelle stesse buche".
Ci sono dei momenti in cui si intrecciano perché i personaggi si guardano, si abbracciano, si spiano ed è una partitura che commuove perché ci mostra anime che procedono in cerchi, condannate a "cadere e ricadere nelle stesse buche".
Oltre alla sua pregiata costruzione narrativa, ciò che colpisce di Tre piani è la sua finezza nell'indagine delle paure e degli errori umani.
Eshkol Nevo ci dipinge nell'atto di giustificarci (che quasi mai, ahimè, equivale a perdonarci), mentre feriamo le persone che amiamo, mentre copriamo le nostre debolezze, mentre non accettiamo il peso delle storie familiari che sempre definiscono il nostro DNA emotivo.
Lo fa con la brutalità feroce della realtà, ma anche con la tenerezza, proprio come succede quando un paziente e uno psicoanalista arrivano insieme ai nodi dell'anima, quelli che fanno più male.
Eshkol Nevo ci dipinge nell'atto di giustificarci (che quasi mai, ahimè, equivale a perdonarci), mentre feriamo le persone che amiamo, mentre copriamo le nostre debolezze, mentre non accettiamo il peso delle storie familiari che sempre definiscono il nostro DNA emotivo.
Lo fa con la brutalità feroce della realtà, ma anche con la tenerezza, proprio come succede quando un paziente e uno psicoanalista arrivano insieme ai nodi dell'anima, quelli che fanno più male.
Il lettore che è andato almeno una volta nella sua vita in terapia riconoscerà nella struttura letteraria di Tre piani le dinamiche sottese - quasi una danza di emozioni - che hanno luogo nella psicoanalisi (che compare a un certo punto anche nelle scene del libro), un percorso a cui spesso ci si rivolge in preda al dolore ma che dona la possibilità di liberarci da tutti i pensieri negativi che si cerca di nascondere al mondo, quelli che "ti si avviluppano addosso fino a soffocarti".
Siamo preda di istinti che vorremmo cancellare ma non riconoscere gli istinti è più pericoloso che soccombervi, dice a un certo punto Dvora.
E questa danza dell'anima si legge anche nella storia di Israele che qui compare costante ma più sullo sfondo rispetto agli altri romanzi dello scrittore, con il suo livello più profondo che naturalmente è la Shoah come trauma impossibile da elaborare.
Attraverso le vicende dei suoi personaggi, Nevo ci ricorda che l'onestà verso noi stessi è una forma di educazione e richiede esercizio.
Solo esercitarla può renderci capaci di amare più in profondità (noi e chi ci circonda):
Che questo avvenga nei rapporti sentimentali, nell'amicizia, nella famiglia o nella terapia ha poca importanza.
Perché i tre piani dell'anima non esistono solo dentro di noi, ma esistono soprattutto nello spazio tra noi e l'altro, tra la bocca che dice e l'orecchio che ascolta.
In questo punto sta il cuore del libro: nella fondamentale accettazione della nostra fragilità ma anche nel riconoscimento di una vitale opportunità:
Siamo preda di istinti che vorremmo cancellare ma non riconoscere gli istinti è più pericoloso che soccombervi, dice a un certo punto Dvora.
E questa danza dell'anima si legge anche nella storia di Israele che qui compare costante ma più sullo sfondo rispetto agli altri romanzi dello scrittore, con il suo livello più profondo che naturalmente è la Shoah come trauma impossibile da elaborare.
Attraverso le vicende dei suoi personaggi, Nevo ci ricorda che l'onestà verso noi stessi è una forma di educazione e richiede esercizio.
Solo esercitarla può renderci capaci di amare più in profondità (noi e chi ci circonda):
Se mi chiedi cos'è l'amore, direi: la certezza che esiste, in questo mondo bugiardo, una persona completamente onesta con te e con la quale tu sei completamente onesta, e fra voi è solo verità, anche se non sempre dichiarata. (p. 202)Tre piani ci dice anche che amarci significa concederci all'altro attraverso il racconto.
Che questo avvenga nei rapporti sentimentali, nell'amicizia, nella famiglia o nella terapia ha poca importanza.
Perché i tre piani dell'anima non esistono solo dentro di noi, ma esistono soprattutto nello spazio tra noi e l'altro, tra la bocca che dice e l'orecchio che ascolta.
In questo punto sta il cuore del libro: nella fondamentale accettazione della nostra fragilità ma anche nel riconoscimento di una vitale opportunità:
L'importante è parlare con qualcuno. Altrimenti, tutti soli, non sappiamo nemmeno a che piano ci troviamo, siamo condannati a brancolare disperati nel buio, nell'atrio, in cerca del pulsante della luce. (p. 253)
Claudia Consoli