Devo essere brava
di Alessandro Q. Ferrari
DeA, 2020
pp. 320
€ 15,90 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
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Devo essere brava è un monito che Sara si ripete nei momenti di stress, quelli in cui la realtà la opprime e lei vorrebbe spaccare qualcosa, o scappare via, o disattendere le aspettative che tutti sembrano avere su di lei. Devi essere brava è quello che le hanno detto e ripetuto, facendo ricadere su di lei la responsabilità di rimettere insieme una famiglia distrutta. Una mamma depressa e alcolizzata; un fratellino lontano, in una “prigione” da cui riesce comunque a mandare fantasiosi messaggi vocali, nell’attesa che la sorella vada a liberarlo; un padre che ha deciso di scappare di casa, abbandonando la figlia sedicenne a se stessa. Solo Sara resta, perché è la cosa più difficile, ma anche la più coraggiosa da fare. Perché qualcuno deve pur essere maturo, se gli adulti non ce la fanno.
Ho dei brutti pensieri. Ho la rabbia e i brutti pensieri. Mi mordo le dita imprimendo i denti nella pelle, non sanguino mai per quanto stringa. Me ne posso andare anche io, non è così eroico andarsene, ma se me ne vado Rocky da chi torna?
Sara resta, anche se il paese, con i suoi palazzi fatiscenti, le fabbriche abbandonate, la piccola chiesa sbarrata e il grigiore dilagante e contagioso, accresce il suo malessere e pare un destino, una condanna:
Poi tornerò a far parte del paesaggio, una delle pecorelle nel presepe di don Walter, nate qui da genitori di qui che parlano il dialetto di qui e non se ne andranno mai da qui. Non me ne andrò mai da qui, non si può evadere da Roveto.
Alessandro Ferrari conferma la sua capacità di entrare in profondità nell’anima dei suoi protagonisti, di portarne alla luce i più intimi movimenti, che a volte risultano laceranti per il lettore adulto; si comprende quindi con un lampo di consapevolezza l’immedesimazione di Sara con la statua della Madonna delle Piogge, anche lei “brava” e dimenticata, congelata in un’attesa perenne, o il suo intenso bisogno di un miracolo, che la porta prima a baciare le labbra di marmo, poi a desiderare di portare la scultura con sé, non tanto per assecondare un impulso di vandalismo, quanto per avere un po’ di sacralità a portata di mano, anche se questo decisamente significa non essere brava per il mondo. Si riconoscono tutte le domande che saltano alla sua mente adolescente, su qualunque cosa, ma soprattutto sui propri sentimenti non ancora ben chiari, o pienamente padroneggiati. Ossessionata dalle verità sulle persone, che coglie in dettagli che nessun altro nota e che per lei sono invece fondamentali, Sara naufraga nella sua solitudine, lanciando segnali disperati che nessuno coglie: non l’amica Lavinia, con cui da troppo tempo non c’è un vero dialogo, non la professoressa Chierici, l’unica ad averle riservato in passato un po’ d’attenzione, non certo la madre, che è rimasta ma è troppo presa da se stessa per curarsi di lei. E per quanto la ragazza cerchi in tutti i modi di comportarsi bene, ogni inevitabile scivolone pesa il doppio perché compromette il ritorno di Rocky, che è la cosa a cui lei tiene di più, ed è questa la sua verità (“Non voglio tornare a casa, non ho sonno, la verità mi aspetta dietro la porta. Mio fratello, mio fratello, mio fratello”):
Sono fregata. Sono fregata perché a Roveto tutti sanno che Fumo rubava nelle scuole, tutti sanno che a un certo punto ha iniziato a spacciare, forse lo fa ancora, e se esco con uno che spaccia non sarò mai adeguata per Rocky. È così che dicono le regole, le fanno apposta per costringere le persone a essere brave. Il problema è che non puoi far capire alle regole che non è così, che a volte quelli che le rispettano sono solo furbi, mentre quelli che non le rispettano non hanno scelta. Non puoi spiegare niente alle regole perché non ti ascoltano.
Forse proprio per questa “sordità” dei regolamenti alle esigenze della vita vera, forse per l’inettitudine degli adulti che la circondano, la narratrice sempre più sente il bisogno di infrangerle, le regole, sprofondando in una spirale di rabbia che si sfoga contro chiunque le si avvicini, ma che soprattutto rischia di essere autodistruttiva. Sara digrigna i denti fino a farsi male, ha l'impulso di divorare il mondo (e questo si riflette nella continua fame nervosa che l'attanaglia, esponendola talvolta alla cattiveria gratuita dei coetanei). L’abbandono da parte di tutti coloro che dovrebbero amarla basta a farla andare in giro a prendere a calci tutti i pali del paese, per renderli storti come si sente storta lei (“Roveto sarà il paese dei pali storti. Così tutti là fuori si accorgeranno che qualcosa non va e non potranno più fare finta di niente.”), a farla sentire sempre più spesso come “quando h[a] un sapore nero in bocca e dev[e] mordere qualcosa, qualsiasi cosa, per cacciarlo”. Sara inizia quindi a fare le cose sbagliate, a frequentare i ragazzi sbagliati, a fare la lotta con i mostri che le si annidano dentro, e non si accorge di quante persone intorno a lei invece cerchino di aiutarla, di un aiuto gratuito, generoso. La ragazza è talmente presa dal suo sentire incontrollabile da non notare che, mentre dentro di sé implora un aiuto che non riesce a chiedere, c’è chi glielo sta offrendo. Magari perché quello che le serve è imparare ad aiutarsi da sola, a guardarsi con occhi nuovi – e per farlo bisogna disobbedire, andare controcorrente, osare l’impensabile.
Potevo essere brava, [...] potevo fingere fosse solo un dubbio, potevo dimenticarmene col tempo, potevo non dargli importanza. Invece l’ho fatto. Perché se non trovo l’importanza io chi la trova per me?
Quello che agisce da propulsore nei romanzi di Ferrari è proprio il fondo di speranza che anima la storia, quella luce che scorre tra le righe e che ci dice che i personaggi hanno in sé le risorse per salvarsi, o che esistono relazioni positive in grado di rischiarare la via a chi sa aprirsi ad esse. Un aspetto, questo, che ci aveva fatto profondamente amare Le ragazze non hanno paura (recensito qui) e che ora affeziona il lettore a Sara e ai suoi amici scombinati, ma in qualche modo profondamente veri. Anche qui, grazie agli occhi ingenui di Rocky, la realtà assume confini labili, diventa fiaba, leggenda. Anche qui è necessaria una ricerca disperata, una folle corsa d’amore, il cui esito è all’inizio tutt’altro che certo, perché tutti i pezzi possano combinarsi in una forma finalmente armonica. Perché la protagonista si renda conto di cosa è davvero importante.
Carolina Pernigo