«Prima si strafanno di droga e alcol e poi gli viene una fame che si sbranerebbero la madre».«Ah. Interessante. Cioè non stanno mica tanto a guardare se il crudo è marchiato Parma».«Ma figurati, dopo una certa ora si mangiano anche quello marchiato Sette Nani». (p. 14)
I territori della fu Serenissima sono terra di passaggio e di scambi. Esploratori, commercianti, merci da tutto il mondo hanno percorso in lungo e in largo i canali lagunari e si sono addentrati nelle riviere che arrivano fino alla città interne.
Lo sa bene Marconato Romeo, uomo di laguna dalla testa ai piedi che dopo un solido esordio con la Mala del Brenta al soldo di Felice Maniero si è lanciato nel settore alimentare. Dopo anni di consolidata contraffazione di alimenti, ha virato sullo street food con dodici furgoni con i nomi dei segni zodiacali, su cui capeggia Il leone, che sfamano con panini di dubbia qualità tutti i tiratardi e gli strafatti in fame chimica che transitano da Chioggia a Padova.
Perché da quelle parti continua a girare di tutto: non più mercanti con sete preziose, ma produttori di televisione trash dalla Svizzera italiana che cercano il modo di risollevare il loro programma di cucina ormai in crisi. Non esploratori, ma vecchie spie del KGB che non hanno perso il loro smalto: sono bionde, in forma e hanno una presa ferrea quando si tratta di spezzare colli. La capacità di fare affari, leciti o meno, scorre nel sangue dei figli della Serenissima e Romeo, alla guida del suo Leone, con tormentoni latinoamericani di sottofondo e con la Glock puntata alle palle di chiunque lo prenda per il verso sbagliato, è pronto a onorare la tradizione.
Marconato Romeo è erede letterario del Mazzarò verghiano. Cultura non propriamente accademica, presenza da piccolo boss della mala con tanto di camicia aperta e collane d'oro, passione per i tormentoni estivi latinoamericani, parlata che di grammaticale ha ben poco e testa come un brillante. Perché qualunque cosa Romeo faccia, lavorativamente parlando, la fa bene. Si trova al posto giusto alla nascita della mala del Brenta diventando autista indispensabile nelle prime imprese di Felice Maniero. Dismessi quei panni si lancia, con grande competenza, nel redditizio commercio della contraffazione alimentare.
Pratico come sempre, aveva individuato nell'olio extravergine e nella polpa di pomodoro due prodotti di largo consumo utili per testare sia la validità delle contraffazioni che, di riflesso, un ritorno economico sul breve periodo. L'olio extravergine d'oliva a marchio I Profumi del frantoio era stato tra i primi ad essere tagliato con olio di semi vari e colorato con clorofilla. Così come la polpa fresca di pomodoro L'oro del Sud aveva aperto la strada al triplo concentrato di pomodoro cinese tagliato con acqua veneta. (p. 12)
Una volta prosciugato il settore, passa alla vendita di street food, migliorando e onorando la lunga tradizione del "paninaro onto" che da sempre sfama il popolo nottambulo. E in ogni impresa riesce bene, ha successo, tanto che i suoi furgoni attirano l'attenzione di due produttori televisivi che vogliono farne il nuovo sfidante per lo chef dei semplici, Ruggero Vitiello, in un reality show a tema cucina ormai virato verso il trash più estremo.
Tutto riesce bene a Romeo, tranne i rapporti personali. I suoi collaboratori, vecchi e nuovi, sembrano rispettarlo solo se sotto minaccia alle parti intime o se convinti di poterlo fregare. Il suo matrimonio è malsano e infelice; l'unico figlio su cui sono riposte tutte le speranze in quanto portatore del cognome Marconato non ha la testa splendente del padre. Ed è proprio nel rapporto con il figlio che si avverte la devastante tristezza della vita di Romeo. I dialoghi tra i due sono ancora più violenti proprio perché arrivano in contrapposizione all'umorismo feroce che pervade il romanzo.
«Non mi piace andare al Leone con Carletto e Sabbia, ma mamma dice che ogni tanto devo andarci così non rompi i coglioni».«Tutte balle! Sono tutte balle. Se sono arrabbiato non serve dirmi che vai sul tetto. E se non vuoi andare al Leone a 'sto punto non importa. Ma casso, Moreno, perché te non me le hai dette prima tutte queste cose?».«Perché tu non me le hai mai chieste. Tu non parli mai con me. Mi dici solo di andare al Leone e che devo prendere in mano la baracca. Non facciamo mai gli agenti segreti».«E che casso devo dirti, Moreno? Gnente, che c'hai ragione». (pp. 130-31)
Nell'ammissione di incapacità di occuparsi del ragazzo, nel riconoscere il fallimento della sua figura come genitore sta la più profonda solitudine che un simile uomo ruvido, plasmato da una famiglia contadina poco incline all'affetto, non ammetterebbe mai.
Parliamo con ragione di umorismo, perché Zodiaco street food è fulminante nel ritmo delle battute. Battute che sono, per la parte di Romeo, potentemente segnate dai costrutti e dal rustego e sacrilego modo di parlare veneto. I "casso", i "gnente", lo "smartfón" (mi raccomando l'accento e la o chiusa) non lasciano dubbi sull'ambientazione del romanzo, ma non diventano nemmeno troppo pervasivi: le poche incertezze lessicali - e chi vi scrive ha avuto un instante di smarrimento alla frase "la topa è già pronta in acqua"- non impediscono ai foresti di godersi la parlata.
Romeo, che a voler essere sofistici si potrebbe definire antieroe, ma lui, in toni tutt'altro che urbani, rifiuterebbe un simile incasellamento, ha una sua etica, che è dura e da legge del taglione: leale fino a scontare tutta una condanna in carcere pur di non parlare, ricambia favore con favore, tradimento con tradimento. Ed è disperatamente solo, desideroso di un'assoluzione che nessuno intorno a lui sembra essere in grado di dargli.
Zodiaco street food ha dalla sua tre grandi elementi: l'umorismo crudo, un regionalismo che è quasi verismo ammodernato e un ritmo vertiginoso. Elementi che si intrecciano strettamente e che portano a divorare, anziché semplicemente leggere, le pagine. Divorarle con la stessa voracità che si avrebbe di fronte a un panino onto alle quattro del mattino.
Giulia Pretta
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