Il più grande criminale di Roma è stato amico mio
di Aurelio Picca
Bompiani, 2020
pp. 256
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Non mi sono mai sposato. Non ho figli. Anzi, molto giovane mi nacque una bambina. Di figli avrei potuto averne molti. Però le donne hanno abortito. (p. 11)
Ebbene in quelle due interviste era
palpabile nelle parole e negli sguardi di Picca tutto l’amore e l’odio che
quest’uomo prova per questa città. Un amore sconfinato per le vie maestose del
centro, ma anche per i vicoli delle periferie; un odio smisurato per le
condizioni in cui, secondo lui, versa la Città eterna.
Quello stesso amore e quello stesso odio sono rinvenibili nel suo ultimo romanzo. L’amore, questo sentimento potentissimo e ingovernabile, si mescola in ogni singola pagina con un altro sentimento altrettanto potente e altrettanto dominante, ossia la nostalgia. La Roma di cui parla Picca è una “Roma sparita”: l’autore stesso accenna a quei quadri che ogni tanto si trovano negli androni nei palazzi, nei negozietti del centro, nei ristoranti, che ritraggono una fontana di Trevi, una piazza Navona, una via dei Fori Imperiali colme di carretti, mendicanti e bambini intenti a divertirsi con giochi appartenenti a un altro mondo.
La sua nostalgia è qualcosa di compassionevole, di patetico
nel senso originario del termine, in grado di smuovere anche gli animi più
aspri. È la consapevolezza di amare qualcosa che non esiste più, non nel modo
in cui lo si è vissuto. È, al contempo, una nostalgia legata alla gioventù, a
un passato che, per quanto recente, non tornerà. E non importa se la Roma degli
anni settanta e ottanta è stata anche – soprattutto, dal punto di vista di
Picca – una Roma criminale, terra di bande e batterie che ovunque, dai Parioli
a Ostia, smerciavano eroina e corrompevano politici. Alfredo
Braschi, alter ego letterario di Aurelio Picca, ha vissuto in quella Roma. La ferocia del "più grande criminale di Roma", Laudovino De Sanctis detto Lallo lo Zoppo, che da nessuno si faceva chiamare
Lalletto se non dal suo amico Alfredo, fa parte del fascino di questa città. D’altronde,
come negare che anche l’Impero romano, a suo tempo, sia stato fondato e abbia
visto il proprio massimo fulgore col sangue dei nemici di Roma?
Alfredo Braschi non si arrende all’avanzare dei tempi. Preferisce
utilizzare termini ormai in disuso (e italianissimi) al posto del nuovo slang
da social network, e vestire come si faceva prima. Anche i pochi amici
superstiti sono gli stessi della gioventù. Vive, insomma, veramente in una Roma
sparita.
Inutile dire che il punto centrale del libro di Picca non è
il presente: la massima parte delle pagine è rivolta alla Roma di Laudovino De
Sanctis, ai suoi crimini, alle lotte per la salvezza, alle aule del Tribunale.
Pochissimo spazio resta per i giorni attuali, per quella vendetta che, in
incipit come in chiusura, avrebbe dovuto invece essere il motore dell’azione. Il
presente è solo un ricordo, l’ultimo canto di un cigno che ha perso le
piume e fatica a restare a galla.
La vendetta, l’odio, il rancore: tutte queste cose così
attuali, così vicine, sono nulla in confronto ai giorni perduti, lontani eppure scintillanti. Allora, in definitiva, meglio non parlarne. Meglio tacere.
David Valentini
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