Nella balena
di Alessandro Barbaglia
Mondadori, 2020
di Alessandro Barbaglia
Mondadori, 2020
pp. 228
€ 17 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Siamo sempre e solo il risultato degli incontri che facciamo. Siamo sempre e solo la storia delle nostre storie d’amore. (p. 156)
Alessandro Barbaglia è un abilissimo cantastorie. Un libraio-poeta, che incidentalmente scrive romanzi, tutti attraversati da quella vena lirica, pervasi da un’immaginazione vivace e un confine sempre più labile fra realtà e finzione, spunti storici e ispirazione letteraria. Questo suo ultimo romanzo, Nella balena, edito come sempre da Mondadori, è Barbaglia all’ennesima potenza e più di ogni altro rifugge etichette e rigide classificazioni. Per me, che sono decisamente ancorata al realismo, alle scritture minime, essenziali, ogni libro di Barbaglia è una sfida e uno slancio verso qualcosa di ignoto, una libertà di immaginazione e voli empirici attraverso le parole con cui l’autore sa sempre magistralmente giocare. Arrivati qui, al terzo romanzo che leggo, riconosco alcuni tratti della scrittura di Barbaglia in quello che a mio avviso è il suo libro più interessante, maturo, che si poggia su una struttura narrativa solida in cui si intrecciano due storie, due piani temporali distinti e una serie di tematiche e spunti differenti, che trovano in qualche modo alcuni punti di contatto. Su tutti, Goliath, la balena. Barbaglia gioca con uno dei simboli più amati dalla letteratura occidentale, magnificamente reso nel capolavoro di Melville ma di cui la narrativa è ricchissima, riprendendo un certo immaginario del mistero, del fascino che questi grandi mammiferi suscitano nell’uomo e nei lettori, ergendolo a simbolo, custode di imperscrutabili verità e segreti, e riuscendo a creare la propria versione originale, in cui i rimandi letterari sono un omaggio all’interno di una narrazione del tutto nuova, fresca e avvincente.
Due storie, si diceva, in qualche modo intrecciate fra loro: quella di Cerro, un giovane uomo che si prende cura del padre malato, nella grande dimora di famiglia dove sono custoditi segreti e ricordi perduti di tempi più felici, di cui ora restano più di tutto le assenze e le distanze; quella di Herman, figlio del circo, custode di quell’immensa balena che a metà del secolo scorso attirava folle di curiosi in tutta Italia pronti a entrare letteralmente nella pancia della balena. Una balena che, pur priva di vita, porta intatta la sua grandiosità, il fascino del mistero e dell’avventura.
Cerro ed Herman, così diversi e lontani, non si incontreranno mai, ma a legarne i destini è proprio Goliath.
Alla storia di Cerro e a quella di Herman, quindi, Barbaglia intreccia tematiche, spunti interessanti con cui il lettore è chiamato a confrontarsi, punti di vista originali e guizzi di fantasia, costruendo un romanzo-favola in cui la realtà e ciò che è vero sono sospesi. Se accettiamo questa sospensione, se ci lasciamo avvincere dalla storia e dalla poesia di cui è intrisa ogni pagina, allora potremo scrutare un po’ più da vicino il mistero e il fascino di una tanto ricca immaginazione, godendo della meraviglia di certe storie.
Ecco, la meraviglia: mi è parsa una delle chiavi di lettura più interessanti di questo romanzo, una qualità che certo non manca all’autore, lo sguardo sempre curioso, infantile – non certo in senso dispregiativo – che traspone sulla pagina spingendo ad osservare il mondo che ci circonda, la realtà più reale, con lo stesso entusiasmo e senso di meraviglia di quando eravamo bambini. Qualcosa che molte persone con il tempo tendono a perdere, concentrati sulla quotidianità, eppure così essenziale per non lasciarsi sopraffare dai problemi della vita adulta. La letteratura, i libri, da sempre ci aiutano in questo senso e le storie di Barbaglia senza dubbio allenano la nostra fantasia.
Curiosità e scrittura immaginifica, il confine sempre più labile fra realtà e finzione, che si intrecciano anche a riflessioni profonde e un velo di malinconia che pervade la storia, tanto quella di Cerro quanto di Herman. Cerro, quest’uomo di quasi quarant’anni che da sempre per avvicinarsi al padre sfuggente ne indossa i vestiti, ne porta gli oggetti, col buffo risultato di sembrare un giovane di mezza età, tenero nel suo disperato bisogno di sentire in qualche modo la presenza di un padre che sta perdendo la memoria, ma la cui distanza è qualcosa di più radicato e antico della malattia.
Dov’eri quando non ci sei stato? Perché hai un segreto di cui non vuoi parlarmi? Negli anni in cui stavi bene, dove ti sei nascosto? Perché non sei mai venuto a cercarmi? (p. 21)
Emilio, suo padre, che ha perso l’amore della vita e da allora non sa come fare a vivere, come fare a crescere quel bambino in cui riconosce lei, Caterina, portata via dall’acqua, lei che proprio davanti all’acqua – e a quel gigante catturato – aveva incontrato.
E adesso come faccio, io, da solo, a crescere questo sconosciuto? Perché sembrerà cattiveria, ma chi è più solo al mondo di un padre che ha in braccio un figlio in cui non riconosce niente e nessuno, se non l’infinito amore che ha perso? (p. 80)
Una distanza sempre più grande tra padre e figlio, le assenze, le parole che mancano o non sono mai quelle giuste; i ruoli che si invertono, il figlio che si ritrova a prendersi cura del padre la cui memoria scivola via. Buffo, proprio lui che era stato un grande psichiatra si ritrova a fare i conti con una malattia degenerativa che gli offusca la mente, la capacità di dare un nome alle cose, di ricordare.
La perdita, il lutto, il ricordo cui aggrapparsi, forme diverse di solitudine.
Forme diverse di amore: l’amore che è cura, l’amore che custodisce segreti, l’amore che va oltre il razionale. L’amore che, per qualcuno, è paragonabile a una lotta:
L’amore è solo un altro tipo di lotta. La vita è sempre questione di due che si cercano, si stringono, si abbracciano, si uniscono in un feroce e dolcissimo corpo a corpo. (p. 51)
È l’amore che impara Herman nelle parole dell’Uomo Elefante. In quel circo dove è cresciuto, anzi, dove è proprio nato, di forme d’amore ce ne sono così tante, come tante sono le persone di quella famiglia itinerante, forme di espressione e diversità. Ecco, ancora, uno spunto interessante che nasce da questa storia, il confronto con la diversità, in ogni sua forma, il desiderio di andare oltre apparenze e discrepanze con ciò che comunemente è considerato “normale”, che sia un dettaglio fisico o un certo modo di vivere e sentire.
Nella balena ci porta quindi negli abissi del nostro sentire, ci mette di fronte al pregiudizio, alla fragilità dell’uomo, alle distanze che talvolta sembrano incolmabili; è racconto di un grande amore perduto e di uno che sta nascendo, di legami affettivi che vanno oltre le apparenze; è un grande omaggio ad archetipi e tradizioni letterarie che non smettono di affascinare i lettori; è volo di fantasia talvolta difficile da seguire, lirismo sfrenato a invadere la pagina, ma a cui arrendersi.
È una storia d’amore. Degli incontri che facciamo. Di «canto, di abisso, di poesia»: come la balena.
Di Debora Lambruschini
Alessandro Barbaglia presenterà il libro, insieme a Debora Lambruschini, questa sera alle 19, in diretta Facebook, nell'ambito della rassegna letteraria Spritz-ziamo cultura, organizzata da Debora per il centro culturale Villa Sottanis. Potete seguire la diretta collegandovi alla pagina Facebook di Villa Sottanis