di Beth Morrey
Garzanti, 2020
Titolo originale: Saving Missy
Traduzione di Stefano Beretta
pp. 333
€ 17,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
La seconda vita di Missy Carmichael si presenta al lettore con un inizio inusuale. Innanzitutto perché la protagonista è una donna di settantanove anni (quindi non proprio la tipica eroina romantica) che, dopo aver già trascorso la maggior parte della sua vita, pare ora congelata in una vecchiaia solitaria e abbastanza mesta: ha perso un marito molto amato con cui segretamente continua a dialogare, ha un figlio che si è trasferito in Australia e una figlia con cui i rapporti sono tesi. Passa il tempo impiegata in attività modeste: la lettura dei necrologi (che “è un rischio generazionale, con i coetanei che cadono uno dopo l’altro, e ogni annuncio è una camera vuota nella mia piccola rivoltella”, p. 13), qualche passeggiata nel parco, la ricerca di attività che la facciano sembrare più attiva di quanto non sia: “alla fine, avevo deciso di andarci, così avrei avuto qualcosa da raccontare ad Alistair. La mia vita era diventata così circoscritta che cominciavo a preoccuparmi che mi considerasse banale” (p. 15). Il secondo elemento curioso è proprio la meta del suo iniziale andare: un laghetto in cui un gruppo di operatori specializzati praticherà un “elettroshock alle carpe”, per poterle più agevolmente spostare altrove. Mentre assiste al curioso, ma anche inquietante spettacolo, Missy ha un mancamento che le apre inaspettatamente delle possibilità: l’incontro con l’irruente Sylvie e con la più rude Angela fa rinascere in lei un dapprima sospettoso, trattenuto, poi sempre più marcato desiderio di socialità.
L’abilità dell’autrice è quella di sapere descrivere questo cambiamento con assoluta verosimiglianza: Missy è una donna che è vissuta per lungo tempo da sola, che ha dedicato la sua vita a figli e marito e che, anche prima, non aveva spiccate abilità relazionali. Quindi il suo avvicinamento al mondo esterno è goffo, lento, e spesso si inceppa sui suoi dubbi e la sua timidezza. Grazie alle sue nuove amicizie, così come all’arrivo imprevisto della cagnetta Bob, “presenza vivace e schietta” che la introduce alla gratuità del rapporto affettivo, Missy riesce a ricostruire la “casa” che in qualche modo sentiva essersi disgregata negli anni, togliendole ogni punto di riferimento:
[Quello di oikos era] un concetto importante nell’antica Grecia. Non era un’idea semplice da spiegare, poiché poteva significare diverse cose. Una casa o una dimora, ma anche i suoi abitanti. La casa e il focolare. La parte del focolare mi aveva sempre interessata perché consideravo l’oikos una specie di roccia: la roccia sulla quale si costruiva una famiglia. Ma quanto doveva essere grande la famiglia per conseguire questo obiettivo? (p. 54)
Al contempo, Missy inizia a riflettere sulla natura dell’oikos, e su quanto sia stato in realtà imperfetto quello che credeva di avere. Nonostante il grande amore che l’ha legata a Leo e ai figli, infatti, il suo vissuto è stato tutt’altro che privo di pietre d’inciampo, e questa verità emerge progressivamente, nel corso delle pagine, al di là di ogni tentativo di rimozione da parte della protagonista (“A volte era meglio non pensare a certe cose – le bollette, le telefonate, le discussioni – perché così si potevano tenere a distanza di sicurezza, forse per sempre”, p. 281).
Nonostante l’ironia e lo sguardo lieve, delicato sulle cose, infatti, la protagonista è capace anche di uno scavo interiore, che la porta a raggiungere nuove consapevolezze, per esempio il fatto che il matrimonio con Leo sia stato per lei rifugio, ma l’abbia anche portata a chiudersi in una bolla (“Non per la prima volta provai vergogna per il mio limitato interesse verso il mondo esterno e le persone che non erano Leo”, p. 125).
La caratterizzazione del personaggio si definisce attraverso il suo narrare nel presente e continui flashback sulla sua vita passata – che restituiscono un’immagine della donna spessa e profondamente coerente. La Missy del presente è un esito degli eventi, delle scelte, degli incontri del suo passato (di cui il lettore è messo progressivamente a parte, in un mosaico che poco alla volta si ricompone). E a sua volta quanto le accade al tempo della narrazione innesca una progressiva, ulteriore trasformazione.
Il romanzo è un’epopea del femminile, che si scopre forte e autonomo, che si libera di vincoli imposti dall’esterno e impara a realizzarsi indipendentemente dal mondo maschile, e questo vale non solo per la protagonista, che realizza di essere molto più che la moglie di, la madre di, la nonna di, ma anche per le altre donne che affollano la storia (Melanie, Sylvie, Angela...). Con il suo romanzo d’esordio, Beth Morrey riesce a scrivere una storia profondamente positiva, una storia di accettazione, di riscoperta della meraviglia di sé e delle proprie infinite potenzialità, al di là degli ostacoli che la vita pone sul cammino:
Avevo perduto quelle versioni di me stessa – la bambina nelle cantine, la studentessa, la moglie, la giovane madre –, ma ora scorgevo tracce di quelle precedenti identità incise nelle rughe sul mio volto e provai affetto per ciascuna di esse. (p. 266)
Carolina Pernigo
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